Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

l. Spiegare Una lingua di luce Il concetto di essere vivente ha la medesima indeterminatezza del concetto di linguaggio. (L. Wittgenstein, Zettel, 326) Leggendo il Paradiso dantesco si ha la percezione di una rete di strutture dinamiche grazie alle quali il testo letteralmente si anima. Oltre i limiti di un giudizio di riconoscibilità culturale, si apre un'esperienza vitale di superiore valore esegetico, così come la luce - essendo insieme il polo spaziale e la fonte della pensabilità - non è un tema letterario né un argomento filosofico, ma un principio'. Il mistico non rinuncia alla filosofia per suggerire di "credere" (cosa, poi?), al contrario, come dice di Wittgenstein A. Gargani2, «si tratta di pensare di meno e di guardare di più» - e così, sorprendentemente, come per l'autore delle Osservazioni e delle Ricerche, si apre una voragine gnoseologico-grammaticale. La lingua - quasi fosse uno spazio telepatico sufi - è un'«esperienza-viva». L'uso di figure dinamiche di pensiero, come anzitutto l'iperbato, è procedura fondamentale non solo per incontrare personaggi ed esempi vivi, nel testo, ma anche perché produce nell'autore-protagonista l' admiratio come presupposto della personalità non solo filosofica, ma anche di orientamento spaziale3 , metodo esegetico, come nelle strategie di visibilità per cui il «vero si spazia» (Par., IV, 126), come nella deformazione prospettica di Giotto, atta a mettere in primo piano la 55

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