Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

vettero la consegna «di allattare i bambini, di far loro il bagno, di lavarli, ma di evitare assolutamente qualsiasi cicaleccio con loro». E neanche tra loro le nutrici dovevano parlare. Inoltre non potevano accarezzarli: tuttavia venivano lavati, fasciati e vestiti in condizioni corporali perfette. Ma al suo quesito l'imperatore sperimentatore non ottenne risposta: non solo nessuno dei bambini parlò, ma morirono tutti prima dell'età di otto anni18 . Non si tratta di un macabro fatto di cronaca da relegare nel dimenticatoio della storia. Ricerche meno lontane nel tempo hanno posto in evidenza le regressioni nel linguaggio e quelle biologiche di cui i bambini soffrono allorché per cause diverse - morte o abbandono dei genitori, prolungata ospedalizzazione per una terapia corporea - siano privati in misura maggiore o minore del «bagno» di linguaggio che accompagna, nell'essere parlante, la soddisfazione da parte dell'Altro dei bisogni talvolta chiamati «veterinari», a indicare che essi costituiscono la nostra comunanza con gli animali. Le ricerche di Spitz, David e Appel19 e quelle di Raimbault offrono una sicura dimostrazione della importanza di questo «bagno» di linguaggio. Il significante, la «lalangue» materna, sembra pertanto essere in pari misura protezione del corpo reale contro la sua degradazione sino a morirne, e fonte di sintomi, disturbanti, dolorosi, o mortiferi. D'altra parte, al costo della morte di quei quaranta bambini, sappiamo anche che non esiste una lingua prima, che non esiste una lingua più naturale-di un'altra, ma che il soggetto si nutre di parole come di latte e di pane, e che egli abita una lingua, quella che gli trasmettono i suoi Altri, i genitori. Ma tuttavia il corpo, si chiedono alcuni, non disporrebbe di una parola più naturale, di un linguaggio più vero, di una modalità di comunicazione più autentica? È una tesi difesa sino all'ultimo sangue da alcuni tera47

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