Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

la disperazione e l'avversione nella sua mente,/germi di miseria, morte, morbo e delitto./[...] Il terrore ha abbandonato tutti gli esseri: l'uomo ha perso / la sua terribile prerogativa ed ora sta / eguale tra gli eguali...» (Shelley, Queen Mab (1813] 1965, V III, 211-218, 225-226). 22 William Cowper, vescovo di Galloway, 1629, cit. in Thomas (1983] 1987, p. 18). 23 Richard Overton, Mans Immortalitie, Amsterdam, 1644, p. 6; cit. in Thomas (1983] 1987, p. 123. Questa particolare interpretazione del mito biblico non solo limitava il diritto dell'uomo a dominare le altre specie ma finiva col negare che l'anima fosse indipendente dal corpo. Opinione, questa, largamente diffusa fra i cosiddetti «mortalisti» dell'Inghilterra puritana, i quali credevano che dopo la morte l'anima dormisse col corpo fino al giorno della resurrezione dei morti, in cui sarebbe risorta insieme con quello (v. Burns 1972, Hill 1979). I mortalisti erano accusati non solo di ateismo, ma anche di «defraudare l'uomo della sua superiorità»: del resto, una delle accuse principali rivolte agli epicurei, agli atei e ai materialisti è stata per secoli quella di degradare l'uomo al livello delle bestie. Un aspetto essenziale delle dottrine millenaristiche è la riconsiderazione del rapporto fra l'uomo e gli animali. 24 «Bisogna però ricordare che questa non era stata l'opinione di Tommaso d'Aquino. Egli considerava «naturale» la soggezione degli animali all'uomo e vedeva nella «disobbedienza» degli animali all'uomo una conseguenza della disobbedienza di Adamo a Dio, ma considerava assolutamente ingiustificata (omnino irrationabile) l'idea sostenuta fra gli altri dal venerabile Beda, che tutti gli animali, anche quelli attualmente feroci, fossero, nella «condizione d'innocenza», mansueti verso l'uomo e verso gli altri animali: la natura degli animali non è mutata col peccato dell'uomo (Summa theologiae), I, a 96, art. 1. Sulla subordinazione delle piante agli animali e degli animali all'uomo v. II, II, Q 64, art. 1. Alla domanda se alle «creature irrazionali» si debba voler bene «per carità» (ex caritate) Tommaso risponde che per la diversità delle nature non può esserci amicitia caritatis fra l'uomo e gli animali (II, II, Q 25, art. 3). Similmente, su quest'ultimo punto, Spinoza, Ethica, IV, prop. XXXVII, scolio I. 25 Thomas (1983] 1987, p. 296. Sul senso di colpa associato in molte tradizioni al cibarsi di spoglie di animali uccisi hanno fatto leva i vegetariani di ogni tempo. Nella sua versione, per così dire, fisiologico-etica, quest'idea si traduceva nell'argomento secondo cui il mangiar carne favorisce la ferocia dell'uomo: opinione condivisa, ad esempio, anche da Smellie (1790 pp. 60-61). Né mancò chi stabilisse una correlazione stretta fra l'alimentazione carnea e la guerra. Secondo Thomas Tryon (1634-1703), lo scrittore «pitagorico» apostolo dell'alimentazione sana, della temperanza e della vita innocente, che influenzò, fra i tanti, anche Franklin, il passaggio all'alimentazione carnea dopo il peccato era coinciso con l'inizio della discordia e dell'aggressività fra gli uomini. Il vegetarianismo era un modo di reprimere l'aggressività, anzi di troncarla alla radice. Similmente, William Lambe scriveva nel 1815 che se gli uomini avessero smesso di mangiar carne, non ci sarebbero state più guerre. Su Tryon, Lambe e il vegetarianismo v. il documentatissimo e lucido Thomas (1983] 1987, pp. 287-300. 193

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