Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

te rapida e inaspettata è un nulla in confronto delle gioie a cui pone fine (Buckland 1836, I, p. 131): a parte l'ingenuità di quest'idea, l'argomento sarebbe accettabile solo se la morte sopraggiungesse esattamente nel momento in cui una vita tutta felice minaccia di diventare una vita tutta di sofferenze. L'argomento di Buckland si riduce a una giustificazione del piacere estetico che l'uomo è supposto provare al pensiero di una natura che si conserva piena di tutte le specie possibili a prezzo della morte degli individui. Ma è ovvio che l'esistenza di un piacere o di un interesse non è di per sé prova della sua legittimità. Mi è sembrato il caso di insistere su questi aspetti del ragionamento di Buckland perché esso non è confinato ai naturalisti devoti e nemmeno al periodo predarwiniano: si ritrova, ad esempio, nel già menzionato Wallace (V. ad es. Wallace [1889] 1891, pp. 36-40; 1910, pp. 369-384) e fa uno strano contrasto con l'affermazione di un altro grande darwiniano, Thoms Huxley: «Non si capisce che consolazione potesse provare l'Eohippus (l'antenato, ora estinto, del cavallo) al pensiero che di lì a qualche milione di anni un suo discendente avrebbe vinto il Derby» (Huxley 1888, p. 199). 18 La metafora bancaria non è una peculiarità di Buckland. La mitologia della compensazione assume spesso la veste di un calcolo dei guadagni e delle perdite (oggi diremmo dei «costi» e dei «benefici»): v. ad esempio Bonnet 1781, p. 187 e Strickland 1841, p. 188. Si tratta, per così dire, di versioni ecologiche del principio di equilibrio e compensazione fra le parti dell'organismo, enunciato, sempre con metafora bancaria, ad esempio da Goethe ([1795] 1954, p. 122). 19 «Della prima disobbedienza dell'uomo e del frutto/di quell'albero proibito, il cui mortale assaggio,/portò nel mondo la morte ed ogni nostro male/[...] cantami, o Musa celeste [...]/Così ebbe inizio il danno dalle cose inanimate; ma prima la Discordia/figlia del Peccato, fra i bruti introdusse la morte attraverso acerba ostilità./Animale con animale condusse guerra, uccello con uccello/e pesce con pesce; di brucar l'erba lasciando tutti/ si divorarono l'un l'altro né li frenò il timore dell'uomo, I ma lo tormentavano o con minacciose sembiante/lo guatavano al passaggio...» (Milton, Paradise Lost, I, 1-6; X, 706-714). 20 «Lo stato di natura era il regno di Dio:/l'amore di sé e della società ebbero inizio con la nascita della natura; I l'unione era il vincolo di tutte le cose e dell'Uc1tno./[...] L'uomo passeggiava con l'animale, comuni inquilini delle tenebre; / [...] Nessun assassinio dava all'uomo vestiti, nessuna uccisione cibo. I Nel tempio comune del bosco risonante, I tutti gli esseri che avevano voce ineggiavano al Dio di tutti./[...] Attributo del cielo era la sollecitudine per tutti,/prerogativa dell'Uomo comandare, ma risparmiare./Ah! quanto diverso l'uomo del tempo avvenire!/Di metà dei viventi macellaio e tomba; I lui, che nemico alla Natura, ode il gemito universale,/uccide le altre specie e tradisce la propria» (Pope, An essay on man, [1733-1734] 1963, III, 148-150, 152, 154, 156, 159-164). 21 «... Ora non più/Egli uccide l'agnello che lo guarda in viso,/ne divora orribilmente la sua carne tagliuzzata,/la quale, tuttora vendicando la legge violata della natura,/generava nel suo corpo ogni umano putrido,/ogni passione malvagia e ogni ·illusoria credenza,/l'odio, 192

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