Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

l'eutanasia di una vita! felice» (Brown, 1838, p. 46; corsivo originale)33 • È innegabile che letteralisti in religione e conservatori, se non reazionari, in geologia riconoscevano in pieno il carattere negativo del male fisico e non cercavano di sminuirlo con funambolismi dialettici: la morte e la distruzione e la sofferenza erano una realtà brutta, e nessuna considerazione sull'equilibrio e sull'armonia della natura poteva servire a colorarla di rosa. Certo, Dio ricava il bene dal male, ma il male resta male. Non a caso Brown criticava anche quel fondamento dell'ottimismo che era il principio di pienezza: si dice che la morte è un mezzo per aumentare la quantità complessiva di vita, «ma la quantità di felicità che ne risulta non è cosa facilmente riducibile a semplice calcolo». Confesso di non veder bene che differenza ci sia fra una sola vita irrazionale(= animale) che duri cento anni di salute e di piacere e cento vite simili, tutte ugualmente felici, ma della durata di un anno. Nel caso di esseri immortali, questo calcolo non varrebbe, e non avrebbe nemmeno senso. Ma si può senza sforzo immaginare che, quando tutte le capacità di godimento sono esercitate a pieno, importa poco se quel godimento è appannaggio di un gruppo o di una successione [d'individui]. Se la terra fosse riempita, dalla creazione alla dissoluzione, di esseri vivienti tutti perfettamente felici, sarebbe difficile stabilire quale dei due, una compresenza o una successione, presenterebbe una maggior quantità dei doni della vita. Certo il tedium vitae, che tanto paventiamo nella nostra condizione attuale, sarebbe escluso più efficacemente nell'una che nell'altra economia della natura (ibi1., p. 47). Le tesi enunciate nel Bridgewater Treatise del 1836 furono ribadite con forza da Buckland in un sermone del 1839 180

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