Smellie, la responsabilità all'uomo. Non si poteva più negare, scriveva nel 1799 George Turner, in seguito per breve tempo direttore dell'American Philosophical Society, che qualche anello della catena si fosse perso; però le specie estinte non erano perite a causa di difetti nella loro costituzione originale, perché «l'Autore della vita è saggio e giusto in tutte le sue opere; Egli non dà mai un bisogno senza dare anche la capacità di soddisfarlo». Era impensabile, dunque, che i mastodonti americani fossero morti di fame o fossero stati distrutti da altri animali. Discolpata la natura, non rimaneva che l'uomo: era lui il responsabile di quegli stermini, che erano il risultato di una concorrenza fra l'umanità e i mammiferi terrestri12 • Non bisogna dimenticare che anche Lamarck si sarebbe servito dell'idea dell'equilibrio della natura attraverso le distruzioni per negare l'estinzione; come Smellie, avrebbe ammesso che tutt'al più erano andate perdute alcune specie di mammiferi, e solo a causa dell'uomo (Lamarck [1809] 1976, pp. 60-63). Naturalmente, con i progressi della paleontologia, e soprattutto per l'influenza dell'opera di Cuvier, l'estinzione si impose come un fatto innegabile. Andando ancora più in là, Lyell avrebbe scritto nel 1832 che la scomparsa delle specie e la loro sostituzione con nuove è «parte del corso costante e regolare della natura» (Lyell 1830-1833, II, p. 169). Lyell credeva che questo processo fosse regolare, costante e non segnato da cataclismi, ma la maggior parte dei geologi e paleontologi suoi contemporanei credeva che intere flore e faune fossero state spazzate via da catastrofi eccezionali. Catastrofi geologiche, si badi, cioè dovute a fenomeni esterni alla normalità dei processi del mondo organico. Quest'ultimo era ancora considerato un sistema in equilibrio stabile: dunque l'estinzione, soprattutto quella di un intero gruppo di specie, non poteva essere dovuta a cause organiche quotidiane, ma ad eventi esterni al sistema dell'equilibrio fra le specie13 • Questa ra158
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