Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

rati come un immenso e variegato pascolo [...] Ogni animale, ogni vegetale fornisce sostentamento a determinate specie. Così nulla che abbia valore va perduto e ogni specie è abbondantemente provvista di cibo. (p. 394). L'unico fugace accenno alla possibilità dell'estinzione si trova in un brano in cui Smellie parla dell'uomo come del più distruttivo degli animali rapaci; è anche l'unico luogo di tutta l'opera in cui si accenni ai reperti fossili. Si tratta di poche righe e per giunta piuttosto ambigue: Smellie prima dice che la capacità distruttiva dell'uomo «è limitata agl'individui e non giunge fino alla specie», ma poi scrive che l'uomo «cancellò dalla faccia della terra quegli animali giganteschi che, forse, non esistono più», ma che hanno lasciato enormi ossa (p. 378). Si noti il «forse». La natura è un sistema in equilibrio stabile e le cause che producono quest'equilibrio non possono, per definizione, alterarlo. Se mai si sono aperti vuoti nell'economia della natura, è per colpa dell'uomo: la creatura privilegiata ha, ovviamente, prerogative particolari. Neanche nel suo rifiuto dell'estinzione Smellie si rivelava originale. Già altri prima di lui avevano considerato che, se la natura era l'opera di un Dio buono e saggio, non si poteva ammettere che intere specie fossero sparite: ammettere questo voleva dire affermare che l'equilibrio della natura era precario e la creazione imperfetta. Scriveva nel 1678 John Ray: È stato detto che queste specie [di conchiglie fossili] si sono estinte: una supposizione che i filosofi non sono finora stati disposti ad ammettere, ritenendo che la distruzione di una specie sia uno smembramento dell'universo e un renderlo imperfetto, mentre essi pensano che la divina provvidenza mira soprattutto a conservare e a rendere stabili le opere delle creazione. 155

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==