Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

per il suo operare febbrile - e riposte le tele, Scilla si cimenta in un'operazione di forgiatura che, a prima vista, può apparire immane. Il compito è fare un abile pittore di suo fratello minore Giacinto, quasi totalmente orbato della vista dalla Natura matrigna. La forgiatura del giovane Giacinto, a propria immagine e somiglianza, permette così a Scilla di costituire una coppia che continuamente, quasi nella lettera, gli confermi l'esistenza della copia. L'occhio, esaltato da Agostino come strumento operativo del Pittore e come unica prova d'appello contro ogni vana speculazione in Natura e mancante a Giacinto, viene così ad essere il «segno della condizione di fratello»23 caratteristica della figura del Dilettante. E Giacinto risulta così, davvero, un Pittore, anzi, un bravo Pittore cui rimasero preclusi solo i ritratti, troppo sottilmente legati alla mimica. E fu tanto abile, narra Don Susinno, che una volta terminata la pittura di una lepre riuscì ad ingannare la fantasia di un cane, che si avventò sull'immagine per «farne preda». La somiglianza al «vero» era tale che il cane trapassò addirittura la tela rimanendo - sembra - assai deluso24 . L'opera di Agostino si è a questo punto compiuta, e l'occhio, con la sua oscillazione quasi materiale da un fratello all'altro, si è ritrovato ad essere «funzione della coppia»25. Tant'è che quando Agostino Scilla, «dopo lunghissima malattia e mostrando cristiana intrepidezza [...] nell'ultimo giorno di maggio dell'anno santo 1700, rese il suo spirito dolcemente in mano al Signore», Giacinto, trofeo imbalsamato dell'amore perverso, cadde in una . «malinconia insoffribile» che gli cagionò «una cecità irrimediabile»26 . 142

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