monete, fredde e metalliche, riprodotte o riproducibili anch'esse all'infinito, con la garanzia però che il conio, quindi l'originale, fosse depositato da un'altra parte e in ogni caso testimone di un avvenuto coito artificiale e senza godimento22 . Seguendo questi pensieri e ritornando al talento, appare evidente che l'abilità di Scilla potesse estrinsecarsi solo ad una condizione: fare o avere a che fare con copie. In questo senso la mancanza di un suo stile pittorico originale deve essere allora letta come il ripetersi di una necessità che, riproducendo all'infinito una duplicazione divenuta appannaggio della tecnica, negasse l'origine naturale. Nell'incontro con la propria origine, per quanto di traumatico può esservi nel trovarsi di fronte al godimen- . to presunto inesauribile del padre, il coito artificiale e lo stampo - il cui unico prodotto possibile è la copia - permettono a Scilla dilettante di scartare, assieme alla professione del padre notaio, la Legge e di ripiegare su di un movimento che lo conduca, attraverso la storia naturale, al di là di un confine reso molle dalla consistenza materiale del fango e del tufo. Oltre questo confine si colloca Scilla legando indissolubilmente il suo talento e le sue abilità esperite alla tecnica. Una tecnica, si badi bene, che niente possiede di un paziente e solitario lavoro artigianale teso, caso mai, a produrre, con le differenze, il capolavoro, lo sbaglio e l'originale. Di contro, anzi, l'attraversamento della melmosa palude della perversione, dominio dello zoppo Efesto, Dio greco punito nel corpo perché colpevole - in quanto responsabile del mondo della tecnica - di usare le mani, conduce Scilla verso la materia inanimata, plasmabile e adattabile: se la mano esperta forgia, è però alla tecnica, e solo alla tecnica, che la riproduzione è demandata. In un laboratorio, dove l'artifizio e il marchingegno si fanno supporti in Natura, accompagnato dall'incessante cantilenare di un lettore - condizione 141
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