Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

«quanto l'occhio insegnato m'avea», apporti un qualche contributo alla teoria percettiva o fisica della visione che da Galeno in poi aveva interessato non solo anatomo-patologi ante litteram ma anche poeti e pittori. Né Scilla fu affascinato dall'ottica, scienza dove l'anatomia la fisica la geometria e la grafica si scambiavano le prime esperienze; né, forse più consono all'argomento, si preoccupò mai delle modalità del trasferimento dei dati dall'occhio al cervello, o delle «vie ottiche» indicanti una possibile corrispondenza topografica fra gli stessi occhi e il cervello. Debitore certo allo sguardo gettato da Scheiner nel chiuso dell'occhio, Scilla partecipò, anche se inconsapevolmente, alla trasformazione secentesca di questo complesso organo da camera obscura naturalis a «cannocchiale galileiano»3 • La lepre di Durer, disegnata acquattata fra l'erba e con una sottile finestra nitidamente riflessa nell'occhio attento, ben si presta a metafora del varco secentesco aperto «all'anima» per guardare fuori. Senza mai pronunciarsi sulle modalità della raffigurazione della natura o sui rapporti tra arte e scienza, Scilla dalla nuova pittura naturalistica del '600 aveva tratto l'insegnamento che essa non dovesse più illustrare il testo in stretta aderenza al contenuto quanto piuttosto documentarlo, rappresentando la natura in tutte le sfumature delle sue forme. «Io sono un'huomo di questo mondo, nudo di buone lettere - così infatti Scilla si definisce nella sua unica opera data alla stampa - ed altro non istimo aver di buono, salvo che il desiderio di non vivere a caso, e perciò mi sono posto fitto nel cervello, che il dubitare delle cose, sia l'ottimo, l'unico mezzo per conoscerle almeno, o con minor distanza, o con più probabilità»4 • Le notizie biografiche di Scilla sono rare: si sa che nacque in Messina il 10 agosto 1629 e che suo padre «notajio 128

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