Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

tra così in gioco il fattore guerra in relazione al quale il paziente si trova nella posizione del «prigioniero» legato al periodo di detenzione di suo padre in un campo di concentramento durante, e dopo, la seconda guerra mondiale. Il terzo posto che il sognatore si assegna marca la sua discendenza in graduatoria dal primo, quello occupato dal padre in guerra, e insieme un distacco, sottolineato dal secondo posto vuoto: il paziente si trova in rapporto alla guerra del padre, ma non è la guerra direttamente la causa della sua nevrosi. Dopo aver raccontato il sogno il paziente si trova a ricordare un'altra esperienza di guerra, un'esperienza narrata in questo caso, come egli ha narrato il suo sogno, e precisamente quella del romanzo di Mario Spinella Lettera da Kupjansk. In particolare evoca la parte finale del romanzo dove appare una fase della guerra talmente inglobante, totale e disperata, da annullare persino il pensiero del ritorno, della casa, dei familiari. Un punto in cui ci si dimentica che si può ritornare. La psicoanalisi ha a che fare con queste cifre, con queste posizioni radicali. La guerra le fa da sfondo e ne costituisce l'elemento invisibile. Io non so che cosa sia una psicoanalisi non marcata dalla guerra, talmente inoltrata in un lungo periodo storico senza conflitti da aver perduto anche le tracce, i «residui» delle ultime guerre. So invece che ora noi abbiamo a che fare con una psicoanalisi segnata dalla guerra, ho scoperto che molte delle difficoltà che sembrano appesantirla, che fanno parlare alcuni di «dipendenza» e di «interminabilità» di un'analisi dipendono invece dal mancato riconoscimento di una specifica sindrome, una figura della clinica della quale, avendola individuata, posso appropriarmi come Freud del sogno: mia la talea, mio lo strato di concime, e una nova species mihi. Ho chiamato questa «nuova forma» della clinica psi12

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