Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

menti medievali e ampiamente presenti nelle grandi macchine narrative dell'Ottocento (da Walter Scott a Balzac). «Eccesso», inoltre, dai limiti della memoria e della irreversibilità del tempo perseguito dalle antiche tecniche di conservazione dell'esperienza visiva e, infine, realizzato dalle moderne arti della visione (fotografia e cinema) cfr. il «complesso della mummia» di cui parla Bazin 1958-62, trad. it. p. 3 e le tese e lucide pagine che Barthes 1980 ha dedicato alla fotografia, nelle quali l'analisi dei segni cede il passo a una ricerca dell'«oggetto perduto». Varrà la pena di ricordare anche la descrizione di una particolare forma di "eccesso" fatta da Proust a proposito delle immagini della lanterna magica nelle prime pagine di Du còté de chez Swann (1913). La cultura occidentale sembra essere stata affascinata e ossessionata dagli «eccessi» del visibile, tendendo da una parte a dominarlo, geometrizzarlo, verbalizzarlo; e dall'altra ad ampliarlo, dilatarlo, alimentarlo con nuove annessioni, prolungamenti e artifici. Implicando l'universo del visibile in quello del dicibile si è espressa una duplice istanza: da una parte quella dello sguardo che «vuol diventare parola» e «accetta di perdere la facoltà di percepire immediatamente, per acquistare il dono di fissare · più durevolmente ciò che fugge» (Starobinski 1961 trad. it. p. 8); dall'altra quella espressa dalla «prescrizione iconoclasta», che congiunge la legge mosaica a Freud e Marx «figli infedeli ma indubitabili del giudaismo» (Goux 1978, trad. it. p. 7), nella quale l'eccesso della visione come esca e come inganno del feticcio e dell'immaginario viene dissolto nella concettualizzazione e nell'astrazione della parola e della legge (Visione-Enc. Einaudi). «Da quando era stato messo lì egli non faceva che guardare una statuetta di porcellana che stava sul tavolino, sotto la specchiera: una pastorella con le scarpine dorate 106

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==