Il piccolo Hans - anno XV - n. 57 - primavera 1988

«È tenendosi con tutte le forze a questo punto cieco che l'uomo si costituisce come soggetto cosciente. È come se egli cercasse disperatamente di vedere la propria cecità. Così, per lui, in ogni visione s'insinua un ritardo, una non-contiguità e una memoria fra stimolo e risposta. Per la prima volta l'apparenza si separa dalla cosa, il sembiante dallo splendore. Ma questa goccia di tenebra - questo ritardo - è relativa a che qualcosa sia, è l'essere. Per noi soltanto le cose sono, sciolte dai nostri Bisogni e dal nostro immediato rapporto con esse. Esse sono, semplicemente, meravigliosamente, irraggiungibilmente.» (da G. Agamben, Idea della prosa, ottobre 85) Come fa Dante a vedere nell'Inferno, se è al buio? Si chiedeva un tale anni fa. «Non so come stremata tu resisti I in questo lago/ d'indifferenza ch'è il tuo cuore; forse/ ti salva un amuleto che tu tieni/ vicino alla matita delle labbra,/ al piumino, alla lima: un topo bianco,/ d'avorio; e così esisti!» (Montale). Scorgo in questa poesia tutto un Oceano alluso dal lago ed ho, per suo tramite, una visione. Diversi sono i tipi di eccesso implicati nella visione. Non solo eccesso come «estasi», che è appunto uno dei significati documentabili del termine "visione" e che riassume (nella letteratura mistica come in quella fantastica) l'esperienza del superamento dei limiti della vista ordinaria. Ma anche quella particolare forma di "eccesso" dai limiti della parola, cui tendono le tecniche di visualizzazione ben note alla retorica classica e ai suoi prolunga105

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