Nuova Repubblica - anno V - n. 21 - 26 maggio 1957

6 CONTRIBUTI A UN DIBATTITO L'ALTERNATIVA SBAGLIATA di GIUSEPPE TAGLIAZUCCfII L E DIMISSIONI di Saragat, che conc1udono in uno stile inconfondibile gli annaspamenti riunificatori, dimo– strano ancora una volta che la politica « concreta » - che rifugge dalle problematiche di fondo e dall'impostazione di una linea di lungo respiro per rifugiarsi nelle solu– zioni programmatiche e nelle partite a scacchi - cozza, specialmente oggi, contro un muro di malcostume e di qualunquismo, ricadendo nell'astrazione o nel possibilism~. Discorso inutile per la sua ovvietà se non ci si av– viasse al nostro convegno nazionale e non si dovesse, jn quella sede, decidere del nostro futuro; cioé fare un di– scorso politico che non può essere che di fondo. E 'se, mantenendoci sul piano delle valutazioni accessorie, dei tentativi di risolvere tutlo con svincolamenti « program– matici » non rischiassimo di affidare a motivi puramente tattici la funzione di un movimento che si giustifica sol– tanto se riesce a interpretare le esigenze più profonde del momento storico. Quest'interpretazione - questo contributo all'indivi– duazione di una politica, concreta sì ma in termini pro– spettici, della sinistra ~taliana - ha d'altra parte costi– tuito sempre il nocciolo della nostra attività. Anche quando abbiamo rifiutato di affrontare argomenti im– pegnativi sul terreno ideologico per tenerci alla rigorosa logica delle cose immediate, abbiamo espresso esigenze profonde ed individuato il punto critico di una politica socialista moderna: sostenere, infatti, la necessità di dieci anni di riforme anche moderate purché serie si– gnificava, nella situazione di un immobilismo tutt'altro che occasionale, lanciare una prospettiva di profondo rinnovamento politico e strutturale. Solo dando alla nostra attività passata la sua reale dimensione - anziché vederla sotto il profilo di un ri– formismo <<onesto» - ci si può rendere conto che ci troviamo anche e specialmente di fronte alle conseguen– ze dell'accettazione stessa delle nostre indicazioni. Che, in altre parole, al Servizio di una politica concreta ma non possibilistica, il PSI ha posto un partito anchilosato e un gruppo dirigente in Parte inadeguato; che proprio una « politica delle cose», che non voglia cadere nella jonglerie saragattiana, costituisce per un partito operaio un orientamento politico ed ideologico nuovo rispetto alla tradizione storica stessa e deve perciò, specialmente in una situazione di crisi generale del socialismo, essere convalidata in modo rigoroso; che, infine, non tanto è sbagliata la « linea Nenni » e non tanto si è perduta la prima grossa battaglia <<autonomista» (puntala tutta sulla riunificazione), quanto è sbagliato il modo con cui si è inteso svolgerla e si è perduto l'ultima battaglia della mentalità immobilistica, del massimalismo a pa· role e del tatticismo a fatti. In sostanza, ci si deve rendere conto che la politica delle riforme concrete, ove non voglia decadere fatal mente a riformismo - e, su questo piano, congelarsi nell'impotenza saragattiana -, non è fatta per rinviare a tempi migliori le querelles ideologiche, ma per affron· tare subito i problemi di fondo di una nuova politica socialista, come condizione inevitabile al superamento dell'alternativa tra frontismo e socialdemocrazia che il PSI, a quanto pare, ha tutt'altro che risolto. Ecco, dunque, che discende logicamente dalla stessa attività passata di Unità popolare, dalle sue stesse indi• cazioni, la necessità di porsi nel processo logico della situazione e di assumervi una funzione adeguata non meno sul piano deJJe prospettive politico-ideologiche che su quello di orientamenti programmatici e dell'azione immediata. Ecco che deriva la necessità di agire come corrente, come nucleo organico di una lotta per il rin· novamento della politica e del1e strutture e delle pro– spettive della sinistra italiana. E' un discorso astratto? Porta alla formazione di grup· pelti chiusi, « di studio», legati alle elucubrazioni e alle filologie? Vediamo. La crisi è del socialismo nella sua più vasta accezione, cioé del movimento operaio italiano ed internazionale, non del PCI o del PSI come partiti a sé stanti. Sono stati messi irrevocabilmente in discussio-ne miti ed escatolo– gie, ma nessun orientamento funzionale ne ha preso il posto. Ora, si può benissimo pensare che esigenze· del genere non hanno molto senso e che, comunque, la cosa non ci riguarda. Sta di fatto però che la realtà stessa si incarica di dimostrarci che a) non si pu·ò chiedere alla classe operaia e alle sue élites di battersi per delle ipo– tetiche riforme quando sono in baÙo le mète stesse di una lotta socialista; b) che, senza una prospettiva rivo– luzionaria, si ha vita politica solo al livello biologico; e che, quando manca una linea politico-ideologica che ani• mi la classe opei'aia e le dia. il senso della sua azione, i programmi sono aria fritta. Dire, oggi, che è in ballo il concetto di rivoluzione e di riformismo; che bisogna di– battere l'identità già assiomatica tra proprietà •e potere; che bisogna prefigurare nelle strutture stesse attuali del movimento operaio una democrazia socialista liberante, ha molto più 'senso che cavillare sulle possibilità di un~1 politica « concreta >> nel settore A o nel settore B della vita italiana. La ripresa capitalistica è tutt'altro che un fascism() rigenerato. I gruppi capitalistici avanzati si battono con– tro i gruppi retrogradi, redditieri della loro stessa classe, per una razionalizzazione e pianificazione economica che implica anche la soddisfazione delle esigenze più impe– riose della politica del benessere. Essi non esitano a pro– spettare una funzione moderna dello stato; una soluzione pianificatrice dei problemi economici; un rammoderna– mento delle strutture sociali più antiquate. Pretendono, naturalmente, che. tutto si svolga in funzione del loro potere, espresso ancora e sempre in termini paternali– stici; ma intanto impegnano e chiudono nella propria dinamica i temi tradizionali della socialdemocrazia rifor– mista, e si propongono come la sola...forza capace di rin– novamento e di rammodernamento. Possiamo onestamente pretendere che proprio per impedire questo ci stiamo battendo; ma dobbiamo anche ammettere che non abbiamo espresso una sola parola del discorso politico che permette di differenziare, in termini operativi e non velleitari o intenzionali, una « politica delle cose» sociatisUt da una « politica delle cose>> che di socialista ha l'etichetta, e che ricade nel– l'ambito del ricatto padronale. S I PARLA di «autonomia» (non si dovrebbe definire da chi?) e si fanno lunghi discorsi sulla sua necessità. Discorsi sensati sinché s'intende la neCessità di non rica– dere nella piattezza verbosa del frontismo o n~ll'attuale irrigidimento dell'apparato comunista. Ma che non han– no più senso quando prospettano come necess3ria, date le circostanze, una politica del PSI distinta da qliella globale del movimento operaio (poiché a ciò s: arriva, anche quando non lo si volesse, se non si interpretano, in termini ideologici e in termini operativi, le esigenze di tutto il movimento operaio e non si propone perciò una politica per tutto il movimento operaio). Non si è invece fatto alcun discorso su uno degli aspetti più drammatici della situazione del movim~nto operaio (e, per converso, di uno dei punti fondamentali di una politica di tutto il movimento operaio che trovi nei sociaEsti i suÒi uomini di punta): Ja formazione di aristocrazie operaie sostanzfrLl.mente conservat·rici ·e af– fiancate all'azione pcidronale. E' un fatto sindacale, si dice. E' un fatto che investe tùtlo il movimento operaio e t_e_r:iò t~tt<=}la .sinistra italiana. Si . tratta infatti del tenià't1vo di decapitare la classe operaia della ~ua parte più avanzata, della sua naturale guida rivoluzionaria moderna; e di ottenere con ciò il def111itivo condiziona- CINA porr ENZA EUROPEA (continuaz. cla pag. 5) ma verso l'esterno, contro ..J nemici di fuori>>. Ora Mao Tsé-Toung fa ùna distinzione tra « contrasti e conflitti antagonistici fondamentali », quale quello che contrappone nel regime capitalista la classe operaia alla borghesia, e « contrasti non antagonistici », che si rile– vano nei regimi popolari e che sono principalmente il risultato « del cattivo lavoro di una direzione burocra– tizzata». L'originalità del pensiero di Mao Tsé-Toung consiste nel suo aperto atteggiamento nei confronti dell'insieme di questo problema. Egli parla di una « differenza di pro– spettiva ». tra la direzione ~omunista e il popq.lo, diffe– renza causata dalle stesse posizioni occupate nello Stato rispettivamente dai governanti e dai governati. « Le masse popolari partecipano direttamente al lavoro pro– duttivo ma è ben difficile per loro partecipare diretta– mente all'esercizio del potere. In tal modo per il popolo diventa quasi impossibile avere una visuale d'insieme sulla situazione del paese e sulle difficoltà. Di contro, i dirigenti, che esercitano direttamente il potere, hanno davanti agli occhi i fini da raggiungere a lunga scadenza, pensano ai grandi interessi collettivi e sono tentati di trascurare, di conseguenza, la situazione particolare e i bisogni immediati del popolo». E tuttavia per Mao, questo contrasto non ha niente di tragico. Al contrario una direzione saggia può trovarci uno stimolo per un perfezionamento, per un migliora– mento costante del sistema. E' difficile non scorgere il carattere cinese, diciamo confuciano, che in Mao ha que– sto apprezzamento positivo dei contrasti e delle difficoltà dialettiche; egli vuol farne una sorgente di progresso per quel tipo di dis.Qotismo illuminato, paterno, tollerante, di cui egli si sforza di propagare le idee nel suo paese e fuori di esso. Contrariamente dunque agli ideologi stali– niani che hanno dispensato un tesoro di falsi argomenti per dissimulare le numerose difficoltà esistenti nei regimi popolari, Mao Tsé-Toung propone che se ne discuta il più apertamente possibile, giacchè, egli dice, « i contra;.;ti sono le forze che stimolano lo sviluppo e il progresso .... I contrasti sono inerenti a tutte le cose. Sarebbe estre– mamente ridicolo dire che non ne esistono da noi.. Ci son bene contrasti tra le [orze produttrici e i rapporti di produzione, tra la soprastruttura e l'infrastruttura econo- (1641 nuova repubblica mento del PSI ad una politica socialdemocro1tica nell'am– bito del riformismo paternalistico; e la riduzione del PC[ al massimalismo tipico delle fasi in cui prevalgono gli strati piccolo-borghesi, l'operaismo .di maniera e le classi agricole. La battaglia che si sta combattendo alla Fiat, alla Olivetti, alla Pire!Ji, alla Falck ecc. è una battaglia mol– to più impegnativa delle cabale della « concretezza >>uf– ficiale! E' una battaglia condotta spesso anche contro i quadri burocratici dei partiti operai e del sindacato. E' una battaglia di tµtto il movimento operaio (non di questa o quella tessera) che chiede orientamenti, pro– spettive, indicazioni rivoluzionarie, non « autonomie>>. E dobbiamo ammettere che, se si è parlato di ciò, siamo ben lontani dall'aver espresso un indirizzo politico che conglobi quella lotta e vi veda uno dei suoi momenti più rilevanti. Ecco che il discorso diventa concreto, drammatico. E di fronte ad esso perdono senso le alchimie, le saggezze, gli scetticismi saputi e concreti. Ecco che, se non si vuole liquidare sottobanco Unità popolare e farne qualcosa tra lo « staff>> a disposizione di uha direzione socialista ato– mizzata e un movimento para-politico, bisogna rispon– dere; in termini di logica serrata, adeguati alla realtà. in termini che implichino prospettive nella misura in cui servano ad interpretare il presente, e programmi neÙa misura in cui aprano porte e finestre al futuro. Discutere se entrare o no nel PSI, senza fare un di– scorso di fondo, non ha senso; equivale a riconoscere che non abbiamo alcuna funzione. Mentre la funzione esiste, obiettivamente. E' una funzione impostare i temi di una politica del movimento operaio della quale il PSI sia lo strumento; associarsi nel lavoro le élltes operaie che si battono per il rinnovamento delle strutture e degli orien– tamenti e rappresentare per esse· un punto di riferimen– to; collegarsi funzionalmente ai gruppi vitali della cul– tura di sinistra per un lavoro di interpretazione dei mo– tivi storici di una politica operaia nuova e fornire loro uno strumento politico, pur piccolo, che impedisca l'iso– lamento e la lontananza dalla realtà. In una parola, battersi su dimensioni nuove per co– stituire il fulcro della lotta per il rinnovamento degli orientamenti e delle strutture del movimento operaio, come condizione del successo di una politica di riforme organiche della società italiana; battersi non per un par– tito e una politica che nella definizione di « socialista » trovano più un limite che un'apertura, ma pei·ché il PSI diventi lo strumento concreto di questa azione e il tra– mite politico - rinnovato e vitale - con la scena politica italiana. Dentro o fuori dei PSI? Si potrebbe anche rispondere: dentro chi vuole e fuori chi non vuole. Purché il discorso sia fatto; purché ci si renda conto che la dimensione nuova è una djmensione di qualità e non di quantità– tessera, e che, di conseguenza, dentro e fuori del PSI - e non del solo PSI - ci si incontri, si lavori. In ogni caso, non fuori del movimento opèraio - tutto il movi– mento operaio, non questa o quella sua sezione tesse– rata -, perché fuori di esso le politiche più elaborate Di– ventano sofismi, e i programmi più concreti palloncini colorati. mica, tl·a i diversi fattori del sistema politico ed econo– mico, tra i ceppi .familiari avanzati e quelli arretrati della popolazione, tra le persone che hanno idee corrette e quelle che non 1e hanno, e infine tra le masse popolari e i dirigenti >>. E' necessario sottolineare che questa dialettica che Mao padroneggia con assai maggior agilità di uno Scepi– lov o di un Pospelov, non lo porta tuttavia ad ammette– re, com.e per taluni comunisti polacchi e ungheresi qua– lificati revisionisti, la necessità di lasciare che gli anta• gonismi si esprimano, e di accordare alla « piccola gen– te» dei mezzi costituzionali di controllo sul potere poli– tico. Una volta ancora l"ìdea di Mao Tsé-Toung si ricol– lega a quella di certi imperatori riformisti di un tempo, che si sono dedicati a migliorare il sistema burocratico senza tuttavia pensare per questo a rinunciare, sia pure parzialmente, al loro potere assoluto. Su questo punto Mao rimane intransigente e mantiene fermo il dogma dell'identità trascendente del partito e del popolo. Il pa.r– tito comunista cinese - egli dice - h.a stabilito dei ie– gami di carne e di sangue con larghe mass-.? popolari. E' la dottrina dell'incarnazione trasportata sul piano co– munista. Detto questo, Mao vuole che i quadri comunisti si facciano degni dell'alta missione che è loro riservata. Vllole moralizzare la direzione comunista, facendo com– prendere ai quadri responsabili che bisogna che siano dei « buoni padroni>>, che evitino qualsiasi manifesta- · zione di orgoglio nei loro rapporti con la piccola gente, a loro subordinata; che diano la priorità alla persuasio– ne sul comando; che mantengano i contatti. con coloro che sono soggetti alla loro amministrazione e che non ~i mostrino troppo ansiosi· di ottenere i risultati desiderati. A questo proposito le direttive del Comitato centrale cinese, sul « cambiamen~o di stile di lavoro dei quadri» pubblicato il 27 aprile, sono significative. Portano il mar– chio di Mao Tsé-Toung capo del Partito e poeta: non rac~ comandano esse forse ai quadri del partito di « criticarsi reciprocamente con serietà ma con la gentilezza di una brezza o di una dolce pioggia di primavera?». Ecco un linguaggio nuovo, e certi comunisti polacchi conquistati dalla comprensione incontrata a Pechino salutano le idee di Mao come destinate a fare uscire U..marxismo dalla sua « sclerosi ». La rivista Nowa Kuitura, organo degli intellettuali polacchi liberali celebra, nel numero del 5 maggio, l'ascesa teorica di Mao in un grande editoriale entusiasta dal titolo « Eppur si muove! >L FHANCOIS FEJTO

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