Nuova Repubblica - anno V - n. 20 - 19 maggio 1957

(Hì5) nu.,~a .-epublìli"a 3 L' IN T ELLIG HENZ I A COM UN ISTA E J. · P. SARTRE LA FUNZIONE DEGLI INTELLET Non esistono che due rimedi per sfuggire ai contrasti e alle confusioni: libertà per chi crea, espressa da ,ma illimitata possibilità di rifiuto e conseguente rischio inerente alla affenuazione dialellica dei migliori; necessità, per chi lo vorrà e potrà, di trasferire integralmente le capacità specializzate alla iniziativa delle classi subalterne di II P RIMA di tornare allo stalinismo, bisogna stabilire che cosa intendiamo per funzione degli intellet– tuali. Infatti proprio su questa funzione lo stalini– smo stende uno dei suoi equivoci più insidiosi, e a questo aveva finito per adattarsi anche Sartre, in conformità ai principi generali che non ha mai smesso dì difendere attraverso tutte le sue palinodie. Sartre ha attaccato, at– torno al 1948, il partito comunista in Ch.z cos'è la lette– ratura?, sostenendo che l'intellettuale si rifiutava di dive– nire un essere utile perfino riguardo alla lotta sociale. Ha fondato, cadendo nell'utitità, un << Raggruppamento democ.:titico rivoluzionario» con Conversazioni sulla po– litica, sostenendo che occorreva offrire agli intellettuali un punto di incontro « al di là» dei partiti. Ha commen– tato la rottura tra Tito e Stalin nella Prefazione al libro di DaJmas, concludendo con l'invito agli intellettuali di sospendere il loro giudizio prima di sapere chi avrebbe vinto. Si è accostato al partito comunista con I comunisti e la pace, dichiarando di aver scorto improvvisamente nei comunish la verità immanente nella storia moderna. In tutti qu,esti casi, troviamo in fondo al suo atteggiamento una analisi dall'esterno, che corrisponde ad una precisa coscienza di intellettualità ipostatizzata, autorizzata a occuparsi di tutto per la buona. ragione di non aver potere su alcuna cosa. Ma questo tipo di intellettuale a chi si può rivolgere per cercare di illuminarlo? Dato che si tiene lontano dai partiti e dalle classi, è costretto a rivolgersi ai suoi simili, agli altri intellettuali, in conclusione alla intellighenzia che non vuole né riesce ad uscire dal suo mondo neppure quando pretende di collocarsi « sulle posi– zioni>) di un'altx;a classe. Per questa via traversa Sartre ha potuto accostarsi allo stalinismo, anche se, per conto suo, ha seguitato a riservare all'intellettuale una posi– zione trascendente. In definitiva, che cosa sono questi intellettuali? Di qual sorta di uomini e di donne si tratta? Ammettiamo pure che il lavoro intellettuale si differenzi da ·quello ma– nuale, e che gli intellettuali usino simboli, linguaggi e idee invece di eseguire dei movimenti materiali: gli og– getti di cui si servono non sono che strumenti tecnici, pro– cedimenti e mezzi occasionali del loro potere, e non fini della loro attività; se la mano lavora, è a loro insaputa, e per così. dire al difuori della loro coscienza. Comunque queste sono definizioni formali, prive di contenuto sociale. Riferendosi all'attività sociale, ·invece, si potrebbe soste– nere che gli intellettuali in realtà non (<lavorano» e che i lot:o esercizi sono raPplicazione gratuita .di un impiego del tutto « sui generis» di passioni, di sentimenti e di idee. Proprio in nome di questa singolarità essi maledi– cono il lavoro, oppure si richiamano alla ~ua forma eroica: la creazione. E' facile rendersi conto che una definizione del genere riguarda soltanto una sorta abbastanza sin– golare di intellettuale, capace purtuttavia di insinuare agli altri intellettuali l'idea inquietante secondo la quale esiste un modello superiore del lavor~ dello spirito, che bisogna cercate di raggiungere ad ogni costo. Questi uo– mini si chiamano abitualmente scrittori e artisti, e sono considerati elettivamente come « intellettuali» da parte della pubblica opinione, tanto che ben a ragione Sartre parla a preferenza di loro e basa i suoi ragionamenti su di loro. Alcuni di questi uomini abbracciano la missione di contestare la società, invece di corlsacrarla, anche se credono di darne soltanto una illustrazione o di prestarle la dimensione incommensurabile della fantasia: sono i Balzac, i Cézanne, i Proust, e tanti altri. A dire il vero, tutti coloro che sono capaci di analizzare il mondo con squisita finezza non fanno altr~ che discuterne per ciò stesso la condizione att~ale. Di qui il loro rifiuto di far parte di un ambiente sociale, anche se tale ripulsa, estesa a un gruppo, finisce per dar luogo a un ambiente a sè .stante, vale a dire a una classe ·o a una società: una società di refrattari. Esistono però altri intellettuali partecipi di tale con– dizione, anche se la consapevolezza del loro potere o della loro impòte~za non è così cruda. Gli, intelJettuali non sono tutti quanti scrittori, romanzieri, filosofi o poeti; anzi, se facciamo questione di numero, vediamo che si tratta soprattutto di altro. La maggioranza degli intel– lettuali fa parte di qualche aspetto «costruttivo» della PI ERRE NA VILLE società e vi trova occasioni positive di mettere alla prova le proprie capacità. Come potrebbe limitarsi a disprez– zare un certo tipo di organizzazione sociale l'ingegne_re che vi riveste una funzione così importante? Come lo po– trebbero l'insegnante, il medico, l'agronomo, il tecnico,. il matematico, il chimico, il capo-ufficio, l'amministratore, e tanti altri? Eppure non sono anche loro intellettuali? Come si potrebbe dimostrare il contrario? Purtuttavia essi sono innanzi tutto dei professionisti: occorre che ab– biano imparato e che sappiano eseguire" queli.o che fanno, e che ne traggano i mezzi di sostentamento, secondo· usanze sociali abbastanza rigorose. Invece Sartre ritiene che il lavoro dello scrittore non abbia alcun valore e che egli non sia pagato per il lavoro che compie, ma che piuttosto la borghesia e lo Stato gli consentano· di che vivere, più o meno bene, attraverso procedure abbastanza complicate, degradanti e misteriose; qualche volta di vivere assai male, altre volte fin troppo bene. Questo non può assolutamente esser vero per gli uomini nei quali l'impiego dell'intelligenza, della cultura e dell'eru– dizione è legato direttamente a una professione. L'avvo– cato, l'architetto o l'insegnante sono senz'altro degli intel– lettuali, ma sOno anche, indiscutibilmente, dei professio– nisti, e non dei peggio trattati: i loro servizi sono valuta– bili in danaro - stipendio od onorario - come quelli di un manovale. E' vero che, da questo punto di vista, la loro esistenza sembra sfuggire all'intellettualità, trattan– dosi di un rapporto sociale, o meglio di una funzione uti– litaria e di una servitù inevitabile. Si può anche arri– vare a distinguere, (\ella stessa persona, il medico- che intasca a· buon diritto i suoi big1ietti da mille àopo una visita da colui che ricerca una nuova terapi,a o scrive un lavoro scientifico: una· distinzione del genere si può farè, presso~co, per tutti gli intellettuali. Da questo punto di vista lo « scrittore» non gode di alcun privilegio, almeno in linea di diritto. Anche lui, checché ne pensi, e a dispetto delle sue proteste, passa sotto le forche cau– dine di un mestiere, o addirittura di diversi mestieri. Non è questo forse che ne determina la condizione essenziale? Esattamente, se almeno si ·tratta di uno scrit– tore autentico e non di uno scribacchino qualsiasi, ma allora perché rifiutare l'aspirazione e la speranza verso un « al di là » della condizione sociale agli altri intellet– tuali? Perché l'insegnante non deve"lar altro che recitar lezioni e correggere compiti? E il geologo disegnar pro– spetti di terreni per la Compagnia petrolifera? Tutte queste attività non possono forse racchiudere, al di là del loro tran-tran professionale e delle servitù che esso comporta, un aspetto assai pi1l prezioso, che possiamo chiamare esercizio dello spirito? E non è d'altronde altrettanto possibile che i lavori manuali rechino anche loro un contributo confortante e misterioso di sentimento, di intelligenza e di fantasia? In fin dei conti, non si pos– sono dividere tutte le attività in questi due aspetti « in– tellettuale » e « manuale », che la società ha l'abitudine di classificare l'uno allo stesso livello della grande potenza dei padroni e l'altro a quello della soggezione degli schiavi? T RAIAMO tutte le conseguenze: riservare solamente allo scrittore un non so quale privilegio metafisico e una specie di « punto di vista astrale» sul mondo intero, non equivale forse a confermare una situazione sociale inam– missibile e funesta? una scissione dolorosa, una lonta– nanza ingiustificabile, una condizione esiziale ad ogni simpatia e fratellanza spontanea tra'gli uomini'? Non pos– siamo né vogliamo adattarci a questo vero e proprio pa– rassitismo sociale, anche se ci si presenta avvolto in un.a aureola luminosa fascinosa e narcotica, capace di ipno– tizzare le masse diseredate e di persuaderle a delegare all'intellettuale «puro» il compito di «pensare» la so– cietà. E non ci potremo. metter l'animo in pace col consta– tare che lo scrittore degno del suo nome non si limita a pensare il mondo in vece nostra, ma che, nello stesso momento, lo contesta e lo mette in discussione, presen– tandoci l'aspetto vergognoso della società divisa che dob– biamo rovesciare, facendone stridere 1e false armonie, ponendo in risalto lo- strepito delle sue dissonanze per farne scaturire l'immagine di un avvenire migliore e più dignitoso. Questo aspetto dell'opera d'arte o di pensiero esiste, senza dubbio, e conferisce a certi autori e a certe opere, purtroppo rare, un valore esaltante e duraturo. Ma esso non è affatto specifico del lavoro così detto intellet-– tuale; a nessun gruppo d'uomini distinto dall'esercizio della cultura e del linguaggio può essere accordato iJ ITlonopolio della contestazione, per procura e per conto di altri, e megtio, di altri. Anche una vita qualsiasi, quale che sia la condizione d'ella sua esistenza, può ave-r valore di esempio; tanto è vero che i libri sono spesso scritti col contributo della vita altrui almeno quanto con quello della vita dell'autore. Lo scrittore deriva il suo cosidetto primato solo da un titolo principesco che si attribuisce lui stesso, per una sorta di orgoglio senza dirittì e seni.a limiti, che egli ha tendenza a confondere col potere dello spirito, o addirittura con lo spirito stesso. In fondo a questa strada stanno il pFivilegio sace.1tdotale e· il di· sprezzo del popolo. La costituzione degli intellettuali in « classe intelli• gente )> considerata a sè non rimedia in alcun modo a questo stato di cose. Al contrario, accorda a un gruppo distinto in base ad interessi particolari una funzione che pretende di essere universalmente valida. Mentre invece alla base di questa tendenza a riunirsi in gruppo sta un mutato atteggiamento sociale che i tempi impongono agli intellettuali ·come a tutti gli altri lavoratori, senza che essi vi possano far niente con le loro proteste: difesa degli interessi comuni, divisione del lavoro, definizion·e dell'apprendistato e dell'esercizio del mestiere, interess~ di categoria, accrescimento relativo di importanza nell;:J società, estensione dei poteri dello Stato, con la tendenza. a trasformare poco alla volta gli intellettuali, scrittori compresi. in funzionari. Gli intell'ettuaH del partito comunista non sluggono a questa tendenza, anzi se ne collocano spesso alla testa 8 richiedono senza posa per l'intellighenzia, intesa comè classe, le garanzie che lo Stato è disposto a riconoscere iri _ misura sempre più ampia agli individui, in cambio deU~ sottomissione del gruppo. Allora la malattia burocratica divampa con tutti i suoi sintomi. Formando dei gruppi separati, confinati nella loro- specialità, gli intellettuali ottengono quella che credono sicurezza per p~rdere im'"' mediatamente il senso della critica generale, dato che iii loro la sicurezza economica si trasforma assai presto iil sicurezza di pensiero, e quindi in atonia. Poiché si pre~ tendono superiori ad ogni classe sociale, sono costrei~i; per affermare la loro superiorità, a raccoglie1 1 si in class~ distinta, con una quantità di• suddivisioni specialistiche; e a offrire l'aiuto della loro classe ad altre classi, o addi-– rittura ai partiti, con un sacco di civetterie·, una buon~ dose di vanità e di falsa modestia e a prezzo di molt~ umiliazioni. Per questo sono continuamente in agitazione! talora disciplinati perché dipendono da altri per esist&J? sui piano sociale, anche quando rivendicano una esistenz~ sociale loro propria; altra volta ribelli, perché non vo– gliono ispirarsi che a loro stessi, cioè alla loro « sogget– tività», o all'<(esistenza» tout court, o meglio all'essenza di cui partecipano o credono di partecipare. Lungi da me la disistima per quanto vi è di auten:.. tico, di vivo e di drammatico in queste confusioni, ma per questo contrasto, come per molti altri, non esistono che due rimedi: libertà per chi crea, espressa da unctt iUimit~ta possibiHtà di rifiuto e conseguente r·i.schio ine-. rente all'affermazione dinlettica dei migliori; n•zcessità, per chi lo vorrà e potrà, di trasferire integralmente le ca– pacità specializzate alla inizia·tiva deUe classi subalterne. L'intellighenzia, in fin dei conti, non ha alcun compitd specifico. IIUIIIIIIIIIIIIHlllllllllllllllllltllllllltltllllllUIIIIWllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllllHIINIII nuova repubblica_ ABBONAMENTI : Annuo Semestrale Trimestrale L. 1500 " 800 " 450 ■111111111m1111111111111111111111111~111111111111111111111111111111111111111111111111111111111 1 111111111111nm111• \

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