Nuova Repubblica - anno V - n. 6 - 10 febbraio 1957

(H9) 1111ova repubblica (/Jis. di Dino Bouhi) ATTJVITA' GOVERNATIVA - u Ora aspettiamo il congresso del PSDI 1) SETTE GIORNI NEL MONDO NEUTRALISMO E OCIALISMO L E GARANZIE internazioqali che il centro e la de– stra del PSDI sono andati chiedendo al PSI, alla vigilia del suo Congresso di Venezia, partono da una confusione fondamentale, che può essere deleteria agli effetti dell'unificazione e sulla quale conviene di– scutere lealmente e serenamente. Il « neutralismo» del PSI, la << equidistanza » fra i due blocchi contrastanti di potenze sono o non sono compatibili con le basi fondamentali di un programma di azione internazionale di un partito socialista demer cratico? Il problema posto in questi termini confonde - for– se involontariamente - due piani che debbono invece essere mantenuti distinti. Esso presuppone infatti un aspetto ideologico o ideale, la scelta fra democrazia e totalitarismo, fra socialismo democratico e comunismo, che è contenuta implicitamente nel quesito come viene posto al PSI. Ed è evidente che a questa parte del quesito, alla parte ideologica, alla domanda relativa alla scelta fra democrazia e totalitarismo, la risposta non può essere equivoca. O si è democratici, e quindi socialisti, o si è totalitaristi, e quindi s.omunisti. Ma alla questione ideologica si unisce arbitraria– mente una questione concreta di indirizzo di politica estera. Se si è democratici, sembrano dire gl'inquisi– tori del PSI, non si può essere neutrali fra democrazia e totalitarismo e quindi fra stati democratici e stati to– talitari, non si può essere equidistanti fra il bene e il male. A questo punto, la somma di un problema di per litica estera e di una questione ideologica trasforma i conflitti fra le grandi potenze in conflitti di ordine re– ligioso, la scelta fra le grandi potenze diventa una scelta fra il bene e il male, l'indifferenza davanti a questa scelta appare come agnosticismo di fronte agli ele– menti etici di una valutazione politica il tentativo di difendere una tesi politica neutralista ;i tr:aduce in un rifiuto di ammettere il postulato indiscutibile che col ma le - e con le potenze del male - non si discute. Basta pensare, dunque, a ieiò che implica un simile modo di vedere il problema delle « garanzie» interna– zionali richieste al PSI, per rendersi conto che esso è · l'espressione di una forma di dogmatismo o di teoler gismo non meno deteriore di quella propria ai partiti comunisti e a coloro che continuano a subirne l'in– fluenza, almeno sul piano linguistico, quando affermano Che il mondo si divide in due campi, quello delle po– tenze « socialiste» e quello delle potenze « capitaliste ». Non si fa l'unificazione, non si fa del socialismo demer cratico, quando s'impostano i problemi in questo modo; si fa, tutt'al più, del volgare settarismo. In politica estera, come in qualunque altro campo dell'attività politica, non esiste chi ha completamente ragione e chi ha assolutamente torto, non esiste chi è" solo dedito al bene e chi è esclusivamente intento al male. La natura umana - e quella degli uomini poli– tici in particolare - non è fatta tutta di bene o tutta di male, anche se, secondo il proprio orientamento ideale, secondo i propri interessi materiali, si può preferire questo o quel partito od anche questo o quel gruppo di paesi, perché si ritiene che dalla loro azione possano derivare più bene e me.no male che dall'azione dei loro avversari. Le scelte più drastiche non sono di questo mondo e non sono di natura umana; sono, per chi è credente, di un altro mondo e di natura religiosa. La scelta fra la politica estera occidentale e la politica estera orientale - salva rimanendo la scelta non equivoca della democrazia come mezzo e come fine, che è scelta ideologica e non politica, e ancor meno di politica estera - è dunque questione di con– venienza, cQe si può discutere e interpretare libera– mente, nei J'iÌ.fniti delle sue ripercussioni sulla scelta ideologica. Esclusa la scelta del campo orientale, dei suoi si– stemi interni (democrazia popolare o altri tipi di re– gime comumsta), dei suoi strumenti internazionali (Co– minform o altre forme di coordinamento che potreb– bero prenderne le veci) e dei suoi strumenti militaò (patto di Varsavia), non ne consegue come effetto ine– luttabile la scélta integrale del campo occidentale, dei suoi strumenti interni (un determinato tip0 di demer crazia occidentale, quella del capitqlismo democratico americano, per esempio, di preferenza a un'altra ferina di democrazia autentica) e dei suoi strumenti politici e militari (NATO, UEO, o altre forme d'intesa o d1 alleanza). Si può benissimo ritenere che la forma migliore per garantire la sicurezza dell'Europa occidentale non sia quella consistente in un'alleanza militare con gli Stati Uniti, ma quella della creazione di un'Europa neutrale· in tal modo, non si viene necessariamente meno all~ propria fecie socialista e democratica, non si opera ne– cessariamente contro la distensione e la pace; al con– trario, si può preparare una posizione originale socia– lista, verso la quale si stanno già avviando socialdemo– cratici tedeschi e. laburisti inglesi, capace di risolvere la crisi di questo dopoguerra fra Oriente e Occidente. Se il PSI, e, con esso, buona parte dell'opinione so– cialista, propendono verso queste soluzioni, non si può ergersi a loro giudici in nome del socialismo e della democrazia, affermando che il « neutralismo » o la cc equidistanza» non sono socialisti, perché in tal caso si riduce il socialismo democratico ad alcune correnti socialdemocratiche italiane e ad alcuni partiti socialisti occidentali, ad esclusione forse dei maggiori, si riduce il socialismo italiano a chiesuola, la quale, dopo tutto, potrebbe, con lo stesso modo di ragionare, qualificarsi anche eresia. Come è arbitrario affermare che il neutralismo sia il socialismo, è almeno altrettanto arbitrario affermare il contrario. In entrambi i casi si tratta di posizioni tattiche, almeno fino a quando il neutralismo o lo schie– rarsi con un determinato blocco di potenze non appaia– no chiaramente dettati da propositi non socialisti o antisocialisti, come il tentativo di favorire l'espansione del comunismo nel mondo, o di mantenere in vita un colonialismo morente, o di compromettere le possibilità di attuare in un paese o in un gruppo di paesi una politica ispirata al socialismo. Chi volesse risolvere queste questioni tattiche in sede pregiudiziale si porrebbe su un terreno dogmatico e uscirebbe da quello de11a democrazia, che è discus– sione, comprensione, tolleranza. PAOW VITTORELLI 5 LETTERA DA BONN I NUOVI LIBERALI di MARTIN FISCHf,'R P RJ.MO a smuovere le acque della preparazione elettorale è stato il settore liberale, nel quale il mese di gennaio ha recato una sostanziale chia– rificazione. Intanto è scomparso, dopo pochi mesi di ef– fimera vita, il partito liberalpopolare fondato dai libe– rali scissisi dal troncone ufficiale del partito di Debler. Come era stato facile prevedere sin dal momento della scissione, i deputati ribellatisi a Dehler non sono riu– sciti a darsi una fisionomia che li 'caratterizzasse in senso autonomo rispetto alle altre posizioni conservaa. trici già consolidate esistenti nella Repubblica di Bonn sicchè perfettamente scontato era. il loro fagocitamento' a più o meno breve scadenza, da parte di queste ultime'. In realtà le prospettive elettorali ormai non lonta~e e il disastroso risultato delle ultime votazioni ammini– strative hanno contribuito ad accelerare la liquidazione del tentativo di Preusker e compagni, che il 20 gen– naio decidevano di fondersi con il partito tedesco, runi– co raggruppamento dichiaratamente conservatore della Germania occidentale e l'unico altresi, all'infuori della CDU, che abbia mantenuto senza riserve la sua fedeltà al cancelliere Adenauer. Si è trattato di una decisione che non avrebbe potuto tardare molto, tanto più che pochi giorni dopo la Corte Costituzionale di Karlsruhe respingendo un ricorso del partito bavarese e cli quell~ dei rifugiati, dichiarava la perfetta legittimità della clausola del 5 per cento dei voti necessari per otte– nere una rappresentanza al Bundestag. Era ovvio che questo giudicato non poteva non rende;e ancora più incerte, se non proprio disperate, le prospettive eletto– rali dei dissidenti, per cui si imponeva la loro azione con l'altro più qualificato movimento conservéitore. Ma se questa logica conclusione di un processo di assestamento da tempo in corso nell'estrema destra del– lo schieramento politico resta un fatto in definitiva marginale, più complessi e interessanti sono gli ultin1i sviluppi della situazione all'interno del partito liberale– democratico ufficiale. Qui l'aspetto più clamoroso è sen– za dubbio la scomparsa dalle posizioni di primo piano del vecchio leader Dehler, che negli ultimi due anni era stato uno dei principali e più irrequieti protager nisti della vita politica di Bonn. A Dehler spetta 111- fatti il merito di aver guidato la rivolta della FDP contro la satellizzazione tentata da Adenauer e da1Ja CDU; impetuoso e impulsivo, egli era. in effetti l'uomo adatto per un'azione di rottura, ma non altrettanto per determinare una alternativa costruttiva, anche perchè~ pur essendo diventato il simbolo dell'unità del partito contro le sopraffazioni della CDU sin dall'epoca della minacciata riforma elettorale, non era riuscito a liqui– dare le molte opposizioni di carattere personale serpeg– gianti contro di lui nel suo stesso partito. Ma nel suo declassamento hanno giocato anche motivi prettamente. politici e più sostanziali. E non da ultimo proprio i fatti di Ungheria, che hanno sorpreso la FDP nel momento particolarmente delicato in cui, coerentemente alla sua nuova impostazione della lotta per l'unificazione tede– sca, stava tentando un avvicinamento con i liberali della Germania orientale. Parve allora a molti, anche tra i fautori del dialogo tra le due Germanie, sotto l'impres– sione della repressione sovietica in Ungheria e dell'irri– gidimento di tutto il blocco orientale, che Dehler fosse andato troppo oltre e che doveva subire quindi il con– traccolpo della sua intempestiva azione. Ai primi di gennaio la sorte di Dehler era segnata; non solo ·la direzione del partito riunita a Stoccarda decideva di presentare al prossimo congresso la can– didatura alla presidenza della FDP di Reinhold Maier, già presidente del Consiglio del Baden-Wi.irttemberg dal 1945 al 1953, ma lo stesso gruppo parlamentare,. del quale Dehler era anche presidente, eleggeva in sua voce una figura piuttosto scolorita come l'anziano de– putato Max Becker. Con Maier invece, eletto quasi al– l'unanimità al congresso svoltosi a Berlino dal 24 al 26 gennaio, la FDP presenta alla ribalta elettorale un leader di statura super,iore. Pur essendo prossimo ai settant'anni, Maier, che proviene da una delle regioni di più autentica tradizione liberale della Germania, rap– presenta la corrente più vivace del liberalismo tedesco, che sta facendo il tentativo di liberare la FDP dall'as– servimento a determinati interessi economici per dargli un più ampio contenuto di pc,,litica generale. In questo senso l'elézione di Maier, il quale è anch'egli un incon– ciliabile avversario di Adenauer, avendo dovuto ab– bandonare 1a presidenza del Baden-Wi.iTttemberg per le interferenze del cancelliere, rappresenta il traguardo dell'evoluzione avviata nella FDP dal rovesdàmento delle alleanze e dal passaggio all'opposizione contro Adenauer effettuati nel febbraio del '56 nella Renania– Westfalia: Non a caso infatti la candidatura di J\1.aier (segue a pag. 6, 1.a cqt.)

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