Nuova Repubblica - anno III - n. 14 - 12 giugno 1955

nuova repubblica ----=-----------------·---------------------5 SETTE GIORNI NEL MONDO I AUTONOMIA JUGOSLAVA Q UANDO FU ANNUNCIATA la visita dei dirigenti sovietici a ~elgrado, mettem1:10 in risalto che, quali che fossero 1 moventi che h inducevano a compiere questo passo e quale che fosse l'esito del loro incontro con i dirigenti jugoslavi, si doveva dare atto a questi ul– timi che la fern,ezza e la dignità con la .quale avevano condotto durante questi sette anni la politica estera del loro paese era causa del pubblico riconoscimento che successori di Stalin erano costretti a tributare loro. In quello scritto non osammo dare la preferenza a nessuna ipotesi fra quelle che si potevano formulare in me,·ito al risliltato di quella visita. La decisione dei ,diri– genti comunisti sovietici di reca,·si a Belgrado, il tono della stampa sovietica in quei giorni, facevano presagire una p,·essione formidabile per riagganciare la Jugoslavia al blocco sovietico, sia pure nella speciale condizione di paese_ neutrale sul piano giuridico, ma di nuovo schierato jdeologicamente con l'URSS e le democrazie popolari. Ed era difficile prevedere la misura· nella quale material– mente la Jugoslavia avrebbe potuto reagire a quella pres– sione, con una diplomazia americana abbastanza sorda ai suoi appelli e con paesi vicini, coi:ne il nostro, che non fanrio più del necessario per manifestarle la loro simpatia. Dobbiamo ammettere .che non solo la Jugoslavia ha resistito con successo a quelle pressioni - che hanno su– perato ogni aspettativa, anche degli stessi dirigenti jugo– slavi, con l'autocritica di Kruscev nel suo discorso al– l'aeroporto - ma che è riuscita a far compiere seri passi Yerso posizioni di effettiva distensione ideologica e di– plomatica agli stessi dirigenti soviet.ici. Una parte della stampa occidentale si è soffermata soprattutto sulle concessioni - se tali possono chiamar– si - della Jugoslavia, nella dichiarazione finale, a pro– posito di Formosa e dell'unità tedesca. Nel primo caso, i socialisti jugoslavi, come quasi tutti i socialisti occiden– tali, hanno riconosciuto, come spesso avevano fa.tto prima di a.llom senza aver bisogno di sollecitazioni---6òvietiche, la realtà della rivoluzione comunista cinese e l'assurdità della difesa americana cli un bastione di feudalesimo cinese per mantenervi il governo fantoccio di Ciank Kai-scek. Per quello che riguar?a la Germania, poi, non ci sembra che la « unificazione tedesca su basi democratiche », che tenga con– to degli « interessi del popolo della Germania» e di quelli della « sicurezza generale » sia una tesi particolarmente « com.informista ». In compenso, basta riflettere a quello che· la J ugo– slavia ha ottenuto dalla delegazione sovietica, per rendersi conto che la forza di una posizione politica non dipende solo dalla forza materiale che l'accompagna ma anche dalla forza ideale con la quale la si sostiene. Eccone una sintesi: - l'accordo è un accordo· fra due Stati e non fra due pa,·titi; - fra i due partiti i rapporti rimangono quelli di prima e quello jugoslavo conserva la sua intera autonomia rispetto al Cominform ; - nessun accenno è più fatto a Stalin o allo stalini– smo, che del resto anche Kruscev aveva completamente ignorato nel suo discorso i"niziale; - viene ribadito il rispetto per la ·sovranità, l'indi– pendenza, la integrità e l'uguaglianza fra gli Stati; - si accetta la versione jugoslava della pacifica coe– sistenza; - la non ingerenza negli affari interni viene concepita anche come riconoscimento che « le diverse forme di svi– luppo del socialismo sono questioni che riguardano sol– tanto i paesi interessati»; una maggiore audacia da parte dei nostri comunisti potrebbe forse indurre i russi a rico– noscere anche l'autonomia dei partiti operai occidentali nella loro azione politica; - l'accettazione della politica di assistenza alle zone poco sviluppate; - l'eliminazione di ogni forma di propaganda e di disinfo,·mazione - leggasi calunnia - contro gli avversari politici; - la condanna dei blocchi militari (la Russia ne aYeva pochi giorni prima costituito anche formalmente uno da contrnppone a quello occidentale); - l'ammissione all'ONU di tutti i paesi (e perciò anche dell'Italia) ; - la sconfessione delle misure di rappresaglia decise nel 1948 quando Tito fu esci uso dal Cominform; - l'inserimento della collaborazione fra i due paesi nel quadro dell'ONU; - lo scambio di esperienze socialiste e il libero scam– bio di clpinioni. Vedremo come funzionerà. Ma intanto è stato un vero pl'Odigio di riuscire a lare sottoscrivere alla delegazione sovietica un elenco così nutrito d'impegni senza dare in cambio un'alleanza militare e neppure la promessa di una neutrnlità benevola. · Come il precedente austriaco, anche questo dimostra che oggi con l'Unione Sovietica, rimanendo fermi sulle proprie posizioni fondamentali, ma manifestando uno spi– rito di comptensione, si può trattare; e che, con l'URSS, come con chiunque, chi è veramente deciso a difendere la propria indipendenza non teme nessuno. PAOLO VITTORELLI ( Dis. di Dino Boschi) RIDUZIONE DEGLI ARMAM"ENTI • • Si 11otrebbe ac– corciarli di qualche centimetro• CITTA' DEL MESSICO, giugno U N PROGETTO è stato messo allo studio dagli esperti delle Nazio_ni U,ùte allo scopo di trasferire sette milioni circa di indiani delle alte montagne delle Ande nel"le valli tropicali. Gli esperti giudicano che questa massa umana della Bolivia, dell'Equatore e del Perù non potrà progredire finchè abiterà'!! più di tremila metri di altitudine. Più di un ter--,:o degli abitanti dell'America Latina (cioè quasi cinquan,ta milioni di persone) vivono a più di duemila metri sul livello del mare. Ma questi sette milioni di indiani battono tutti i record: abitano a più di 4000 metri di altitudine. Gli antenati di queste popolazioni, queohnas, ayma– res, eccetera, abitavano già queste altitudini, dove lascia– rono palazzi e templi ciclopici, vestigia di una antichis– sima civiltà. Quando gli spagnoli occuparono quelle re– gioni quattro secoli fa, gli indiani furono obbligati a la– vorare nelle miniere. I bianchi e i meticci risiedono nelle città, con un ritmo di lavoro poco faticoso, mentre gli in– diani sopportano tutto lo sforzo per sostenere l'economia cli questi paesi, spesso vittime del « iorocho > ( una stan– chezza nauseante che li coglie mentre camminano in alta montagna)_. La vita di un indiano rng_lliu_nge appena i 30-35 anni, e coloro che arrivano ai 50 sono considerati vegliardi venerabili. Non è facile creare nelle vallate (che non si trovano al livello del mare, ma a millecinquecento, duemila me– tri di altitudine) le o.~ndizioni necessarie ·per accogliere questa gente. E non è meno difficile che questa gente di montagna, temprata al freddo e al vento tagliente, alla vita miserabile, si adatti a vivere in un clima tempe– rato, in un paesaggio verdeggiante, dov-, la dura tempra attuale si cambierà fatalmente iu debolezza. Ma la cosa più difficile è convincere gli indiani a trasferì l'Si. Si è cominciato col costruire delle strade che aprono le vallate al mondo moderno: Santa Cruz in Bolivia, Tambopata nel Pe_rù. Si sono create cooperative di con– sumo, dove i futmi contadini potranno comprare al prezzo di costo ogni sorta di merce, dal bestiame ai fiam– miferi. E' necessario inoltre fare imparare lo spagnolo a questa gente che parla soltanto il proprio linguaggio ancestrale. Si sono creati dei laboratori per conservare nella po– polazione che si dovrà trasferire le arti popolari: la ce– ran,ica, la tessitura a mano, i vi1'l1ini. E infine si è cer• cato di risvegliare negli indiani l'interesse per. la propria sistemazione lasciando loro il compito di fabbricare le scuole, i centri sanitari, i laboratori. Per tutto questo sono stati impiegati gli esperti di dodici paesi: medici e ingeg~eri, antropologi e sociologi. Su loro appunto si basa la speranza di successo di questo esperimento a lunga portata, giacchè solo essi, con la pro- · fonda conoscenza della psicologia degli indiani, possono convincerli, Gli esperti d'altronde non hanno saputo ancora rispon– dere alla domanda che un vecchio indiano ha posto loro: « Quando non ci saranno più gli indiani sulle montagne - ha chiesto - a che cosa servirnnno le montagne?». VICTOR ALBA • MALIZlE DI FAUR,E- LETTERA DA PAHIGI H ABIB BURGHIBA, il leader clestmiano, è rientrato a Tunisi dopo dieci an~i d'esilio. L'entusiasmo della folla tumsma ha raggnmto l'aspetto di- un delirio collettivo. li govemo di Edgar Faure aveva molto tergi– versato prima di decidersi a portare a fine il tentativo del suo predecessore, Menclès-France. Poi aveva capito che non gli restava niente di meglio da tentare, ed ha perfino compiuto qualche gesto d'energia, come quando ha fatto espellel'e dalla Reggenza e obbligato a rientrnre in Fran– cia il presidente di quell'associazione cli coloni che voleva con attentati terroristici impedire la realizzazione del– l'accordo. l\Ia la Tunisia non è che l'estrema e modesta parte orientale dell'immenso Ma,·gheb, che è in fiamme da Ca– sablanca a Costantina; e sicco111e il governo Edgar Faure non si sente in grado - anche perchè le cose sono state stupidamente imbrogliate da errori di politici e crimi– nalmente complicate eia bassi interessi di affaristi - di tentare in Alge,·ia e al Ma,-occo la politica che s'è dimo– strata tanto preziosa in Tunisia, è da pnweclersi che l'jn– cendio fìnirit. per estendersi, in un avvenire nÒn lontano, anche alla piccola Reggenza. In 'l'unisia Mendès-France aveva applicato la tattica riuscita in India e altrove agli inglesi: abbandonare volontariamente quello che più tardi sarebbe stato necessario abbandonare per fol'Za salvando il 'salvabile. Jn Tunisia la politica cli Mendès a;,rebbe sal– vato anche quell'amor prop,·io a cui gli inglesi sono pas– sati soprn. L'incendio di tutta l'Africa del Kord non la– scerà più niente di salvo. Prendendo la successione di Mendè. -France, Edgar Faure assumeva un compito difficile. Egli doveva dare l'i1npressione che la !?rancia non tornava, con lui, a quel• l'immobilismo disastroso che aveva ca1·atte1·izzato il pre– cedente govcl'nu di Laniel; egli doveva clin1ostrare che, sia pul'e con maggiore p1:udenza, la Francia viveva e .agiva. Non si può negare che vi era, in parte, riuscito. Tanto che ci volle tutto il dinamismo vulcanico di Mendès per provocare, in occasione del congresso radicale, quel risve– glio d'attività politica in un paese che stava insensibil– mente ricadendo in letargo. Ma adesso, giomo per giorno, i nodi rnngono al pet– tine. Intendo i nodi di Eclgar Faure, che dopo tre mesi e più di potere è obbligato a realizzare qualcosa di tutte le promesse fatte a coloro che lo issarono al governo. Per il -pubblico, le prome, se dicevano che non si sarebbe tor– na.ti all'immobilismo; per le forze occulte (e neppur trop– po ... ) che interrnppero l'esperienza Mendès, le promesse erano di distruggere a poco a poco quanto Mendès aveva potuto conci ude re nei sette mesi del suo passaggio a Pa– lazzo Matignon e al Quai d'Orsay. Le prime si sono realizzate con quei decreti econon1ici che invano certa stampa ha tentato di esaltare. li piano di costn1zioni edilizie, di J'iorganizzazione e rnodernizzazione clell'inclustria, s'è dimostrato di una timidezza estrema. L'abilità cli Eclgar Faul'e s'è manifestata trovando dei pic– coli tn,cchi atti a impedire la concorrenza della produzione estera. La libe1·tà degli scambi, imposta alla Francia dagli acco,·di inlemazionali, è stata praticamente annullata dal– l'istituzione di .·ovrattil.-se doganali. L'idea cli Mendès di obbligare l'industria e l'agricoltura francesi a rinnovarsi per sostenere I ibera mente la concorrenza estera è stata ab• bandonabt di fronte alla timidezza di certi industriali e agricoltori, capaci cli tirnre avanti solo dietro le trincee del protezionismo. C'è di peggio. In questi strombazzati deernti, che pro– pongono, con lu ·so di cifre impressionanti, provvediinenti assolutamente inadeguati alla crisi edilizia, -sono stati k– seriti provvedimenti più o meno scandalosi, come quello che ann,,lla i decreti del precedent~. governo contro i pri• vilegi dei produttori di barbabietole, a cui lo Stato com– perava a, peso d'oro la produzioncl inutili,,zata. I poveri bieticulto,·i vengono anzi inclenniz:,ati per il danno provvi– soriamente subìto in seguito alle ·,eggi di quel cattivone di llfendès. E' probabile che Edgar Fmne, che è un ambizioso ma non un disonesto, abbia preso queste decisioni controcuore, per imposizione dei suoi sostenitori, Ma è evidente che questi sostenitori, cioè i diversi clan economici e finanziari che da qualche anno dirigono dietro le quinte gli affari della Quarta Repubblica, stanno rioccupando il terreno ab– bandonato l'anno sco1· o. Essi vogliono mettere il paese, prima delle elezioni generali, cli fronte al fatto compiuto di un immobilismp divenuto cronico e inguaribile. In politica e ·tera la capitolazione totale è gu, avve– nuta. La Francia che l\'Iendès aveva riportato alla dire– zione morale dell'Europa - pur commettendo poi gravi enori che avevano in parte fatto perdere il te1Teno guada– gnato - è oggi assolutamente priva della minima inizia• tiva nella politica intemazionale. Pinay, il più scialbo ministro che mai abbia abitato al Quai d'Orsay, è stato a farsi benedire dal Papa per provare la sua totale sotto– missione a quei concetti della piccola Europa cedi. ta, la cui idea non è morta oltre oceano. Antoine Pinay è il ministro tipico di una Francia che non conta più niente. Come un'Italia di Sceloa e Marli,10. GIUSEPPE ANORICB

RkJQdWJsaXNoZXIy