Nuova Repubblica - anno III - n. 14 - 12 giugno 1955

nuova repubblica IL PIANO VANONI NUOVO MERCANTILISMO Il merito principale del piano è 1nano d' op<Jra non piì, come un to con l' e,. 1igrazione; ma come in ricchezza, purchè si trovino quello di considerare l'eccesso di male insanabile, da guarire soltan– una forza che si può trasformare gli investimenti atti ad utilizzarla. di GINO LUZZATTO II N ELL'ARTICOLO PRECEDENTE abbiamo preso in considerazione qnclli che il Vanoni stesso riconosce essere i limiti del sno « piano»: quei limiti cioè che chinno ad esso una notevole «flessibilità» à seconda che si verifichino o meno, e in qnale misura, le ipotesi che ne co- stit11iscono la base. • Ma anche ammesso che l'aumento del reddito nazio– nale, constatato per il quacll'iennio 1951-54, ~i mantenga immutato, almeno nella media annnale, per tutto il· decen– nio 1055-64; ammesso pnl'e che di questo aumento almeno un lel'zO possa essere destinato a nuovi investimenti, e che questi creino una situazione tale da permettere l'assorbi– mento di tutti i disoccup1:1ti vecchi e nuovi; ammesso in– fine che le esportazioni possano aumentare in misura tale da permettere, alla fine del decennio, il pareggiamento elcila bilancia dei pagamenti; restano tuttavia, per ciò che rigu,uda i mezzi con cui si vuol raggiungere questi risnl– tati, alcuni punti oscuri, che non possono non far sorgere gravi dubbi sull'influenza che l'attuazione del piano eser– citerà sulla nostra politica economica. Comunisti e socialisti del PSI che nei loro giornali desti, ma che assumono p,·oporzioni molto più alte in quelle regioni, non. solo del Mez,,ogiornò, in cui l'agricol– tura occupa oggi più cli metà della produzione. E' vero, per fortuna, che da questa constatazione non si deduce la necessità di diminuire gli investimenti nell'agricoltura; ma lo scopo di questi investimenti dovrebbe essere soltanto quello di aumentare la produttività, non la richiesta di mano d'opera. Solo, ma insufficiente compenso, si trove– rebbe negli investimenti in quelle industrie che trasfor– mano e valorizzano i prodotti agricoli, e nelle quali si cal– cola d1 poter creare nel decennio 800.000 posti di lavoro. Ma gli altri 3.200.000 posti cli lavoro, necessari per annullare entro il decennio la disoccupazione, dovrebbero esse're assicurati dalle cosiddette attività terziarie (com– mercio, servizi, ecc.) di cui non sappiamo se in un paese povero come il nostro possa augurarsi un troppo forte in– cremento; e soprattutto dall'ingrandimento delle industrie esist!)nti e dalla creazione cli industrie nuove. Impiegare nell'industria una così forte massa di mano d'opera nuova e nello stesso tempo aumentarne la produt– tività sono risultati che si può sperare cli raggiungere non tanto con l'incremento delle capacità di acquisto del mer– cato interno, quanto con l'arnpHamento del mercato este– ro. Questa necessità è stata perfettamente sentita dagli estensori del piano, i quali invocano la solidarietà delle 3 maggiori potenze capitalistiche, pii1 che per avere da -~sse, specialmente nei primi anni, le necessarie agevolazioni di credito, per ottenere l'apertura dei mercati alle nostr& esportazioni. Ma la tendenza all'inclustrialir.zazione si va diffon– dendo non solo nei paesi più progrediti, ma anc4e in quelli che sono stati finO!'a i maggiori esportatori cli ma– terie prime e cli derrate alimentari. Perciò se non si arriva ad un assetto dei rapporti internazionali che agevoli la circolazione di merci e capitali fra tutti i paesi del mondo, un rapido processo di industrializzazione, esteso a tutto le regioni che potrebbero intensificare e valorizzare la l1>ro produzione ag,·icola, ci condlinà fatalmente al ritorno del– l'autarchia, con tutte le conseguenze che ne derivano e di cui abbiamo fatto una così amara esperienza. M A SE QUESTI sono i punti oscuri del «piano>, bi– .I: sogna riconoscere anche che esso dal punto di vista politico e morale presenta dei vantaggi, che non possono in alcun modo essere svalutati, e che spiegano l'accoglien– za. favorevole che ad esso è stata fatta dall'OECE e da periodici autorevoli come l'Economist. In un momento in cui, a dieci anni cli distanza dalla fine della guerra, l'Italia deve ancora ricorrere al credito dei maggiori o,rgani finanziari internazionali, ha inclnbbia– mente un'enorme importanza il dimostrare che noi, a costo di sacrifici, abbiamo la ferma volontà di raggiungere, en– tro un decennio, con un programma fondato sopra uno studio razionale e metodico della realtà, la piena indipen– denza finanziaria, un maggiore equilibrio fra le nostre re– gioni più progredite. e più arretrate, ed il pareggio della bi– lancia dei pagamenti. Ma anche maggiore importanza, per gli osservatori stranieri non meno cbe per gli italiani, ha il fatto di dimostrare in modo persuasivo la ferma volontà di risolvel'0 il problema della disoccupazione. E' stato os- . se,-vato, ci sembra, clall'Economist che il merito principale del «piano» è appunto questo: di considerare cioè l'ec– cesso di mano d'opera non più come un male-insanabile, da gua,fre soltanto con l'emigrazione, ma come una forza che si può trasformare in ricchezza, purchè si tl'Ovino gli investimenti atti ad utilizzarla. Per questi innegabili pregi del «piano», non credia– mo affatto che si debbano chiudere gli occhi ai suoi difetti: essi anzi devono essere denunciati, ma al solo scopo di correggerli e cli contribuire in tal modo a çhe il nostro paese si liberi da una condizione cli scoraggiamento e di impotenza. , <' nelle discussioni parlamentari e congressuali si sono mostrali favorevoli al « piano», muovono ad esso una sola critica, di fare troppo assegnamento sulla iniziativa pri– vata. In realtà la critica ci pare in gran pai:.te ingiustifi– cata, pe,·chè il piano assegna una import~nza decisiva a quelli che esso chiama investimenti «propulsivi», consi– stenti principolmente nei lavori di bonifica, irrigazione, ri– forma fondiaria per il miglioramento dell'agricoltura, spe– cialmente nel Mezzogiorno; nelle imprese di pubblica uti– li lii (por l'energia_elettrica, gas naturali, ferrovie, tele– !om, acquedotti); nelle opere pubbliche (sistemazioni flu– YiaJi e montane, strade, scuole, ospedali, porti, aeropoi·li) ; nelle. costrnzioni cli abitazioni. Tutti questi investimenti i111porterebbero nel secondo decennio una spesa di circa 11.000 miliardi, che per la massima parte sarebbe1·0 a ca– rico dello Stato. PARABOLADELLA GIUSTIZIA Resta, è vero, il dubbio, già affacciato ripetutamente, circa l'azione della Cassa per il Mezzogiorno, se, quando saranno compiute dallo Stato o con l'aiuto dello Stato queste opere di pubblica utilità, esse manifesteranno real– nwnte la loro sperata efficacia di investimenti « propul– si,·i » o non debba.no essere conçlannate, come altra volta è avvenuto, a restare inutilizzate per la cattiva volontà b per l'impossibilità dei privati a trovare in esse un incorag– giamento ai propri investimenti. A queste obiezioni gli estensori del piano rispondono che lo Stato può intervenire, localizzando in determinate regioni la nuova attrezzatura industriale, sostenendo le in– dustrie cli base, assicurando l'ulteriore sviluppo dei settori indnstriali che lo Stato già controlla, e finalmente giovan– dosi, ove sia necessa1·io, di una politica di facilitazioni fi– scali e creditizie, che va.lgano a modificare in senso posi- tivo i termini della convenienza privata. · Confessiamo che questi especlier.ti e specialmente l'ul– timo, che ci ripiomberebbe in pieno mercantilismo, ci sem– brano molto pericolosi, ma in ogni caso meno pericolosi di una gestione totale dello Stato, per cui siamo del tutto illlpreparati e che ci espol'l'ebbe a conseguenze disastrose. l I solo campo in cui l'azione diretta dello Stato potrebbe essere utile sarebbe quello delle industrie gestite clall'IRI o dagli altri enti che sono sorti al suo fianco e cli cui si po– trebbe ottenere una migliore utilizzazione e distribuzione ten·ilo1·iale. Ma per questo sarebbe necessario aver g1à un chia1·0 programma per la riforma cli quegli enti, che pm'– troppo nel «piano» manca completamente. U :-l" ALTRO PUNTO del «piano» che non può non destar grayi preoccupazioni è quello in cui si afferma J"irnpossibilità cli fare alcun assegnamento sui migliora- 111enli nella produzione agricola pel' assicurare una mag– giore occupazione. Questa affermazione si fonda - è ve– ris.:.;imo- sulla espe1·ienza · dei paesi econ61nican1ent~ più progrediti. Negli Stati Unili, ad esempio, l'agricoltura non occupa attualmente che il 18 per cento della popolazione totale, di fronte al 33 per cento dell'industria ed al 50 per cento dei servizi, commercio é professioni. In Inghilterr,a l'inferiorità dell'agricoltura è anche maggiore. 1-'c.r l'Italia le previsioni che fanno gli estensori del piano non sono così catastl'ofiche, ma non sono meno preoccupanti. Fra il principio e la fine del decennio si avrebbero i seguenti mutamenti nelle percentuali della po– polazione totale: aaricoltW'a industria servizi, ecc. 195! 41 2!) 30 l!)G4 33 33 3! Si tratta, apparentemonle, di spostamenti ancora. mo- di PIERO ZERBOGLIO L A LEGGE ESPRIME la volontà del « ceto ditigente », !'inter_pretazione gim'.spruclenziale rivela la misura rn cui quella volonta, è, effettivamente, capace di imporsi. In tempi ordinari il processo di adattamento, attra– verso il giudice, della norma ferma ed astratta alla realtà mutevole e concreta, si realizza senza fratture, risponde al moto evolutivo del diritto; in tempi cli crisi la discordanza fra la volontà legislativa e la sua· realizzazione assume aspetti patologici. Il giuàice rifiuta di intendere la volontà del Jegislatol'e, restando sostanzialmente vincolato alle nor– me abrogate, e 16 Stato mostra la sua fiacchezza, la inca– pacità ad imporre coattivamente l'osservanza delle leggi. I artendo da questa premessa Achille Battaglia - nel suo saggio « Giustizia e politica nella giurisprudenza» inserito in Dieci anni dopo: 1945-55, ed. Laterza - consi– dera ed esamina. entro quali limiti la legge dello stato democratico, sorto con la caduta del fascismo e con la Liberazione, abbia conservato, attraverso il setaccio inter– pretativo, il suo significato originario e quale sia stata la sua capacità di attuarsi nel decennio 1945-55. Secondo Battaglia, e la sua tesi è largamente clocµmentata, « le leggi furono interpretate secondo la volontà del legislatore ed applicate con il massimo rigore soltanto quando la forza politica dell'antifascismo toccò il ve1·tice e furono interpre– tate alla rovescia man mano che quella andò declinando. Questa fu la parabola della giurisprudenza». li saggio di Battaglia non si riassume: va letto, riletto, meditato. E' un contl'ibuto di eccezione alla sto,·ia del– l'ultimo decennio che consente, attraverso le vicende della giustizia, di ricostrnire il processo involutivo della politica italiana dalla caduta del fascismo fino ac1 oggi. Già con gli articoli sul Mondo, e soprattutto con « Processo alla giustizia», Achille Battaglia aveva mostrato l'acnta chia– rezza del suo intelletto, la non comune preparazione e la sua serenA. obiettività; nel nuovo lavoro confo1-ma le notevoli doti, e rivela una sensibilitii politica ed umana alienA. dA.lla el1tbo1·azione dottrinaria fredda e distaccata, come dall'arido tecnicismo dell'esegeta. L'opern di Achille Battaglia ha, inoltre, un particolare valore come apporto positivo alla so– luzione cli problemi concreti. Il legislatore cli buona volontà che volesse realizzare gli strumenti della giustizia trove– rebbe nei lavori di Battaglia una guida e un incli,·izzo sicuri. Espresso il sincero consenso ci sia pe,;rnesso qualche rilievo. · Se il giudice ha nella capziosa interpretazione il mezzo . per sviare la volontà legislativa, come può lo Stato clifen- · clersi dal magistrato infedele? A che vale la norma giusta contro l'ingiusta sentenza? Battaglia rileva che in tempi normali non vi è vera discordanza fra legge e giudizio e che solo in tempo cli .crisi, quando lo Stato è fiacco, sussiste una difformità pericolosa; quindi è la fiacchezza dello Stato la causa della frattura. Esatto, tuttavia occorre considerare che Jo Stato è forte (ci riferiamo allo stato democratico) non solo per la sua vitalità politica, ma anche per gli stru– menti del suo potere. L'indipendenza della magistratma è, indubbiamente, la garanzia del cittadino, ma la legge deve essere la garanzia contro i soprusi del giudice, e la tutela del diritto è compromessa quando l'intenzione del legisla– tore non è pii, ricercata con lo spirito del « ministro fedele>. E' il vecchio quesito: Quis custodiet custodes? L'esperienza fascista ci aveva indotto· a reclamare l'autonomia assoluta della magistratul'a, l'esperienza successiva ci 1·encle straor-. clinariamente perplessi. Se è vero inlìne, come Battaglia dimostra, che in una prima fase la volonti, ·legislativa fu spesso snatmata dal cattivo interprete, in un secondo momento, riteniamo che non ~i possa più parlare cli vero contrasto fra legge e giudizio. Non tanto perchè il giudice si sia assuefatto all'or– dine nuovo, stabilito dalla costituzione, quanto perchè nel frattempo è mutata la volontà legislativa. E' mutata non palesemente, abrogando la norma costitnzionalc, ma ren– dendola inoperante con una resistenza passiva. E' il legi– slatore che ha violato la costituzione non creando gli fatituti da essa previsti, non en1anando le leggi di attuazione, non abrogando esplicitamente le leggi che la contradicono. 'on si tratta pi,, di uno Stato fiacco il c,1.i intendimento è svisato dal giudice, si tratta di uno Stato che si è fermato, intenzionalmente, a mezza strada sul cammino della clemo– crn:i;ia. Di questo Stato il giudice non è un infido ministro, ma, semmai, un troppo fedele servitore. Vogliamo dire di pi,1: la nostra sostanziale fiducia nella magistratura ci fa ritenere che se la democrazia si fosse instaurata pienamente nelle sue istituzioni e nelle sue leggi, essa avrebbe tl'Ovato nei giudici dei leali collaboratori. Non è eia meravigliarsi se in un primo momento molti magistrati, aclusati per un ventennio all'applicazione delle leggi fasciste, a queste spon– taneamente si riporta ..sero nelle loro sentenze; ma certa– mente, nella stragrande maggioranza, essi sarebbero stati comp,·esi e partecipi clell"orcline nuovo se il legislatore lo avesse creato. Oggi noi assi~tiamo più volte addirittura al tentati,·o del giudice di dare una interpretazione democra– tica a leggi che democratiche non sono. Di ciò, del resto, si rende perfettamente conto Battaglia, quando osserva che « per constatare la mancata trasforma– zione dello Stato di polizia in uno Stato di diritto, basta considerare che è tuttora in vita il testo unico delle leggi cli pubblica sicurezza del 1!)31 ». Di ciò è una eloquente dimostrazione il saggio cli Piero Calamanclrei sulla Costi– tuzione inserito nello stesso volume Dieci anni dopo. Abbiamo dovuto constatare che le speranze cli ieri sono state, in gran parte deluse. Occorre, ora, valutare, soprattutto gli errori commessi, così che ci sia consentito di rinnovare per il domani la nostra speranza.

RkJQdWJsaXNoZXIy