La Fiera Letteraria - anno XVI - n. 15 - 9 aprile 1961

Pag. 4 LA FIERA LETTERARIA Domenica 9 aprile 1961 JLA PERSONA JE J[JL DJESTJCNO * tleditazioni di Simone W il Raramente cl acca e di scoprire come le accensioni mentali provocate In noi da uno scrittore sono non solo di natura eccezionale, ma destinate a sconvolgere. cogli annj, la direzione del nostro spirito. Si tratta. ben inteso, di scrittori sa• pienll, sospesi, con un sesto senso. tra i segreti della vita umana e le verità abissali che cl rimandano a Dio. Essi, Infatti, più che affidarsi al prestigio della parola, incarnano 11 pensiero; c. durante !a lo· ro umile esistenza. si ras– segnano solt:mto a tra– smetterci la sola verità Simone Weil appartiene a. qu.'.?sta famiglia di anime. Più che sfiorare la terra e la sua storia, essa sembra salire dalle profondità del– la vita e Inserirsi, con pu· dore e discrezione, nell'or– dine delle nostre idee, per flluminarle in un modo che sembra quasi defini– tivo. * La storia di questa crea- tura rara, è una storia di muto dolore e di saggezza nascosta in esperienze ter– ribili, fatte ln un mondo terribile come il nostro. Il paesaggio umano che si presentò alla meditazione di questa figlia luminosa de] nostro secolo fu ed è ancora un paesaggio di tragiche contraddizioni, di sfaldamento morale. di predicazioni assurde, di lotte nel buio, di stragi, di insanabili inquietudini di oltraggio sistematico 1 alla verità e di odio verso gli uomini. Occorreva perciò la presenza di uno spirito calato nel cuore dal reale con la sola ansia di dirci semplicemente come stan– no le cose e le idee. E Si– mone Weil fu questo spi– rito: forza del vecchio or– dine mentale messa a di– sposizione del nostro tem– po, ma sopratutto innanzi alla nostra disordinata an– goscia di vivi. Sentiamola: e Ciò che è sacro, lungi dall'essere la persona, è ciò che, in un essere uma– no, è impersonale. Tutto ciò che nell'uomo è impel·– sonale è sacro. e quello so– lo. Nella nostra epoca, in cui -gli scrittori e gli scien– ziati hanno così strana– mente usurpato il posto dei sacerdoti, il pubblico riconosce, con una compia– cenza che non ha alcun fondamento nella ragione, che le .facoltà artistiche e scientifiche sono sacre ... Questo, generalmente, è considerato evidente, seb– bene sia ben lungi dall'es- ~=~f/·a E~u:~iric;~~r~ e~~ modo tutto segreto, l'as– senza stessa del sacro. La Weil, attraverso il recupe• ro di una sapienza anti· chissima, riesce a dimo– strarci due piani distinti: 11 valore de}la persona co- * tli JIAIU111() J>JtlZZQLLA me singolarità espansiva, a volte contraddittoria e vel· leitaria, e II valore di un .ondo, perfetto in sé. Si tratta di una realtà eter– na che arimonicamente rac– chiude, come simbolo, lo anonimo. cioè il sacro. Ma si tratta, ben Inteso, di una impersonalità che scende sulla terra attraverso l'uo– m_o. Il sacro si incarna e si rivela come bellezza e verità. Una bellezza e una verità che servono a sve– gliarci il ricordo della per– fezione e ci suggeriscono l'ìdea che. al di là e al di– sopra degli uomini, esiste platonicamente una sfera di enti impersonall. Seguiamo la Weìl nel– l'atto di cogliere tali valo– ri: cO canto gregoriano. le chiese romaniche, l'Iliade. la invenzione della geo– metria. non .sono state, nel– le persone attraverso le quali queste cose sono pas– sate per giungere fino a noi, occasioni di espander– si. La scienza, l'arte, la letteratura, la filosofia, che sono !onne del libero espandersi della persona, costituiscono un dominio in cui si possono raggiun– gere esiti clamorosi, glorio– si. che fanno vivere certi nomi durante migliaia di anni. Ma al di sopra di tale dominio, molto al di sopra, separato da esso da un abisso, ve n'è un altro: ove sono situate le cose di primissimo ordine. Quelle cose sono essenzialmente anonime. E' un caso se il nome di queU! sì è conser– vato o perduto: anche se si è conservato, essi sono entrati nell'anonimato. La loro persona è scomparsa. La verità e la bellezza abi– tano questo dominio delle cose impersonali ed anoni– me. E questo dominio è sa– cro>. * Sono idee che gettano una luce nuova sulla in– teriorità dell'uomo. Se ll sacro è anonimo, imperso– nale, ciò vuol dire che la stessa persona è un tran– sito, un centro di con– .muenza tra il sacrn e jl profano della mondanità. Qui la critica è decisa– mente rivolta contro le for– me di un umanismo asso– luto e. soprattutto. contro la storia che tende ad af– fermare l'anonimato mon– qano e non quello delle pure idee, separate da noi da un abisso. La Weil si preoccupa essenzialmente di a!fermare che là dove si rivela perfezione, la per– sona scompare: dove in– vece è presente l'errore, esiste il marchio della per– sona, la quale porta in sé una originaria contraddit– torietà. Infatti e se un ra- gazzo fa un'addizione e la sbaglia, l'errore porla lt marchio della sua perso– na. Se procede in modo perfettamente corretto, la sua persona è assente da tutta l'operazione. La per– fezione è impersonale. La persona, in noi. è la parte in nol dell'etTOre e del pas.:.-to. Tutto lo sforzo dei mistici ha sempre miralo ad una condizione in cui non rimanga più nella lo– ro anima nessuna parte che dica e io>. Ma ciò non significa che l'uomo non conservi nella sua radice profonda la presen7.a del sacro. Anzi. è proprio la meditazione più solitaria e altamente silenziosa che ci rimanda, grado per grado. a coglie– re ciò che in no! è imper– sonale: radice sacra che cl leg<4 ad una realtà eterna e perfetta. · Procedendo nella sua indagine di natura inizia– tica, la Weil, parlando sempre della personalità, ci dice: e Ma la parte della anima che dice "noi" è ancora, infinitamente. più pericolosa. Il passaggio nell'impersonale non si opera se non per mezzo di una attenzione di qualità rara, e che non è passi., bile se non nella solitudi– ne. Non soltanto la solitu– dine di fatto, ma la so1i.– tudine morale. Essa non si compie mai ne11'uomo che pensa come membro di una collettività, come par– te di un noi». La meditazione che ten– de a recuperare il sacro segue un ordine tutto suo: esige cioè il solo passaggio d!alettieo che va dalla per– sona che medita al sacro, che. nella stessa persona, opera in senso impersona– le. Ciò vuol dire che ogni forma di collettivismo è principio di caos. Si può anzi dire. secondo la Weil, che umanismo e comuni– smo, avendo l'uno in un certo senso assolutizzato la persona e l'altro asso– lutizzalo la collettività, si trovino dialetticamente tuori del sacro. Con la differenza sostanziale che mentre la persona, intesa In senso cristiano, è più vicina al sacro, anzi è il transito verso il sacro. la collettività è tagliata fuo– ri definitivamente dal sa– cro, perché rappresenta la affe1mazione dell'errore e del caos. e Gli uomini in collettività non hanno ac– cesso all'impersonale, nem– meno nelle sue fonme in– feriori. Un'addizione si opera in uno spirito che dimentica momentanea– mente l'esistenza di ogni altro spirito. Il personale è l'apporto dell'imperso– nale, ma vi è un passag– gio dall'uno all'altro. Non vi è passaggio, Invece, dal collettivo all'impersona1e. Bisogna che una collettivi– tà si dis.solva prima Jn per– sone separete perché si renda possibile l'accesso all'impersonale. Solo In questo senso la persona partecipa al sacro più del– la cdllettività. Dice ancora la Weil: e Non solo la collettività è aliena al sacro, ma smarrisce, perché fornisce di esso una falsa imita– zione. L'errore che attri– buisce alla collettività un carattere sacro è l'Idola– tria; ed è in ogni tempo, In ogni paese, Il crimine più diffuso. Colui agli oc– chi del quale solo conta lo espandersi della persona ha interamente perduto Il senso del sacro. E' diffi– cile sapere quali dei due errori sia il peggiore ... Dal punto di vista spirituale, la lolla della Gennania del 1940 e la Francia del 19-10, era principalmente la lot– ta non tra la barbarie e la civiltà, non tra Il male e il bene, ma tra il primo errore Oa collettività) e il secondo, cioè la singolarità individuale>. * Questa idea chiarisce in modo geniale le tre condi· zloni de11'esistenza uma– na. Non vi può essere, cioè né predominio della per– sona, né un predominio della collettività. La veri– tà originaria è costituita dal sacro che vive in ogni persona. ma con la perso– na non si identifica. La Weil insiste nel sapiente tentativo di superare la crisi del nostro tempo. Una crisi terribile in fondo al– la quale può esserci o la fine dell'uomo o l'inizio di una irradiazione concreta della pietà. Ma quali saranno le con– dizioni fondamentali che nella persona umana cre– eranno il passaggio dalla singolarità al sacro? Una profonda attenzione su noi stessi ci suggerisce che la persona è e cosa senza con– forto> perché volendo af– fermarsi distrugge neces– sariamente il sacro che è negli altri uomini. L'umil– tà deve sostituire il pre– stigio; il silenzio, il chias~ so prepotente del discorso imperativo. Fede cioè nel– la propria impersonalità al posto dell'orgoglio espansivo e mortificante. Vi è nella nost1-a ani– ma. che por,ta un nome e un suo irremovibile desti– no. una parte impersonale che misteriosamente ger– mina il sacro, anzi è essa stessa il sacro. Saperla tro– vare significa stare nella verità e nella bellezza, cioè stare al caldo. Perché la perfezione che ci trascen– de, non è, come si può er– roneamente credere. fred– do eterno, ma calore Che dà vita alla stessa vita. EUGENIO ORAGUTES CO· e Oceano•· Il pastello è un frutto del suo recente viag– gio americano e llluslra la prima llrlca qui riportata della poelessa Giuseppina Cosco GIUSEPPINA SPERANDEO COSCO * ·Diario • poetico le folli farfalle di luce picchiano su lo specchio di luce del mare assetato di più luce risfavillante coppa~corolla * un guizzo d'ombra rondine sperduta trapassi Lampi è tutta la nova primavera solo quest'ombra n'è caduta * vibrato il sole dalle palme e dal vento e il mare dal tempo gli azzurri trucioli rimbalzano dalle brevi forme levigate onda per onda azzurro e oro oro e azzurro La Poesia di Giu~e:ppwa Spuande:o Cosca me:tle il le:t– lore: dim1a11:i a difficili pro– blemi di lirismo. Non è w,a poesia e chiara» nel senso commre della parola be:nll trasparente e cristallina uel suo mistero. E' tma poesia moderna e seria e perciò i ermelica e metafisica. Esige mollo dal let1ore come suc– cede d'altro11de con rutre le opere dell'arte. cot11e:mpora- 11c.a.Diciamo che la poesia 11011 de:,•'eHe:re necessaria– me111elimpida 11e:lsi10 ~igni– ficato come dev·e.sserlo la prosa: la poc:i,ia non è 11i i11format1,•a m! esplicatii•a, ma rivelatrice, cioè. commu– uicati,•a in fon11a trasce:,1- de:ntalc. che 1•a molto pii, al– dila degli obblighi e: delle fi11alirt1 molto più pratiche che 11011 In proJa. /11 questo - "C.ll~ O la poesia di Giuseppina Co:i .co rfrela al leuore che re1 1ga l'ud,to spirituale ben aperto e bc.11 alte:rtto, 1111 mondo lucido, flllido e magi– co, Popolato di h,ci tlOtlllrtle e di acque. i111,isibili che: si rifle:t10110 in poemi bre:,,i e laconici tanto da ricordarci la poesia cinese.. M. GOMEZ .\lA\'ORGA I giovani e il vecchio mondo * Lettera daAsti * tli .I \.t,l~T.,J/(J fil," I « I giovani e 1il vr,c– chio mondo i è la nuo– i:a rubrica - trnmpolino dettinata a,J occor,lier,. i migliori tra i rropp1 nnicoli (o brevi llOggi o -raccontini, o pro•" l - riche) chP giornalml'nfP ci J)l'rt:enr,ono. in&inti. dagli crittort r1i rlrr 1rnmi. li jr .. nde nJ.. ncio ~he h4 a\.uto (non in quc:.U u111m1 1emp1 M>llanlo, m"' a,.. d"' qualche anno, fa form;, in11- mis1icd e di calda mdHcsa confe<,sionalita dd raccon– tare e del raaguaghare, c1 ha portati a subire il bombar– damcnlo di corrisponaent..c che da ogni parte della pe– ni~la sono ,enute incrocian– dosi sulle pagine dei a,iomali, facendoci sorgere facile e spontaneo l'accostamento - per associazione d'idee - al aioco del 1ira~gno do,e pochi hanno fatto centro e non tutti M>noandali anche wlo ùcini al bcrYalio. I nomi si sk.r3.nano con I.a \:a– rie."\ irrcquie1e:r.a della pc1l– lina di mercurio sul ,etro: Roma, Torino, Kapoli, Vene– zia, ,\iilano e poi ancora Bat– tipaglia, Albenga ... o Posgi– bonsi. tanlo da considerare compilo arduo, se non pro– prio impossibile, tro,are an– cora qualche • nome ,ergi– ne• - fosse anche solo un buco di provincia - do, e poler mandare, con qualche prc1esa di no\'ita, una let– tera (la tanto confidenziale e appassionata lettera) e af– francarla di notizie, moth i, iO\enzioni. (Anche se poi, una volta che quesla e spa– rita nella buca. subilo il dubbio ci assale di a,c.r di– menticalo qua e la un po' di colore locale, non reso <,uffi– cientemente una situazio– ne, mutilato un pensiero o un paesaggio. Una raaione a lutto que– sto - fcn·ore di comunica– re. dice, amo - c'è, ed è una ragione s1orica. streua– mente legata al nostro tem– po do,e ogni dialogo ,a fa– cendo~i ncc~ariamcnte :-.cm– pre piu rapido ,nella misura di rappono lecnico o gior– nalistico, di \"erbalizzazione. Con l'organiuatissima infor– mazione moderna si è tro– , a,o un modo (o soltanlO la scusa) per ..saccheggiare • una città, tu110 un paesag– gio di abitudioi, caralleri, at- 1ivi1à, nel ·bre,·e, presuntuo– :,o giro di cronaca che tor– chia ogni cosa. Ma il ,·ero pmbkm.- rimane poiché la d1tfu.olt.1 mdg~'lOre non e tc1n10 11 port•n:, ~ul p1 ..no del n(.)Stro colloqu10, una \.·1- 1one gcncr.ile, molteplic.:.e dlntcr"~i e di document.· 11oni, quanto piullo>to quel– lo di partire d.. un punto di e trem .. umili,.., e ,enire -sen– u 1Cc1rti.trad1mcnt1. tl6S10- r,i. nel modo piu goduto e pop<.1r,trc e ,cri,ticamcnte rew del lin;iu..agjo, a buttare un.o tc,w. .di ponte c:he ci proiclli fu<.1ridel con- 1incn1e lc.,aoro e ~lanoo dcli;, retorica e delle abitudini, ci facc:ia uomini nuo\.i, tOù. .él.ti dc1JI.-a:r.v1a e dc1qudla f or- 1..a di crc.,.zione che compie Oifli \.Oh,.. il mirau,lo di tra– !>formare la parola in lw.e. 1.- ~abr.t mc1teria in una pU– dic;:i ,en.- di poc:!>ia.:,.;on si puo ~riamen1e stabilire una cena geografia della cultura del cos1ume, o della tradi– z1cme seni.a iraduaTe il di– ')U)l"'-0 in r..isone aJrarn bien– te. c11la!ingolarita del ca.so . allc1 ~ua autonomia e ir ripe– t1bilita, per questo bi.sO'gna o,gni ,olta ricominciare dac– capo \:Ome per un J.. 1oro ~bJa:.li.ato, renc.ntan.i. ~ pre i stanchi e finti per– wnc1a:gi e e paesag;iì , ddla retorica ci aspettano al Hir– ru. ci s1rina:ono d'a.!>sedio ad oa:ni piè '-<bpinto. e ci sof– fiano il dubbio che anche un uomo di grande intclli– a:cnza e cultura non rie5Ca a rinnO\ arsi compiutamente o~i ,alt.a affronta un nuo-– '~ argomento, tanto da giungere al compimento del– l'opera in una totale combu– stione che non lascia scorie e residui, non possa rima– nere cosi ,;,•o di since.rita e d'imenzioni da non bare.olla– re !!oui ,cechi schemi, ripe– tcr,i in. 1rucchetti lingui– !ttici e di colore. dorata su le sabbie è imagine cribrata del tempo (solo) da una palma nell'aria ma il vento l'ha Jevata LE MAGIE DI LEO PISTELU * fol"';,C wlamente il ragaz– zo che ,code i giornali al– l'angolo della strada e non ha altro oonfine che la li– nea gria:ia dei palazzi schie– rati all'orizzonte, o il e clo-– chard • perduto nel sole del– le piazze. die1 ro ad una po– , cna anenturo!>.3 eh.= ha il suo mondo nel reticolo dei quanieri, riuscirebbero a racchiudere I a far circola– re) nella loro ,oc:e la ,·era citta, una citta aulenlica. in– confondibile. di, ersa da tuue le altre, nella sua umanis– sima giornata documentata d i pe:rM >naggi, figure, tipi e \ 1cer.de . Una citta che per n on ~se re in aJcun modo sollecitata da rcmincscenzc inte:.lleuualistiche c. ba,-aturc polemiche. apparirebbe mi– racolosamente incontaminata e _incon1amina.bile. Gli altri; noi che poco o tanto abbia– mo , iaggia10, leuo, studiato e do,-remmo anche a,er mol– to e so, entissimo pensato. continueranno a sentire den– tro lo ...marrimento che lascia questo compenetrarsi di cit– ta Cdi tutte le citta) in una. quest'impossibilita di loca– lizzare una , isione sogietti– , a e feconda o&ni ,alta ne te:nieremo il possesso: Pa– ,esc ci ha lasciato nelle ,-e– ne il fuoco ci,·ilissimo e di– sperato di Alba, Garçia Lor– ca l'urlo dc.i meriggi e delle chitarre di Granada e trop– po Pier Luigi :-.;en·i - pocla del cemcn10 armato - nu- su un'onda e la canta a distanza * il sole rosso cade da questo monte-mondo grigio ferro come un frutto troppo grande che non regge. come una spiga di grano che piega dall'aHra parte L'antico italiano * di l'lli'l'Etll CI.J/ A 'l''l'I ~~ri 1: u7~hi~ ~:O~r:::u! la conquista dello spazio. nel nostro cen·ello malato di futuro, perché si po~a RASSEGNA DEI GJOVANl SCRITTORI : UN RACCONTO DI AD BI AN O GUl1JRRINI Parlare di antica lingua ita– liana è come parlare di anti– co 1oscano. Dal Trecento al– l'Ottocento, dalla nascila alla corruzione del nostro idioma, la Toscana vi partecipa in tal misura che la bontà del– la scrittura finisce sempre col misurarsi alla quantità e qua– lità 'del toscano adoperato. di prima o di seconda mano, succhiato in una col latte matcmo o andato a sen1ire, con un che di de,•oto e re, e– rcnzialc., sul pos10, dalla boc– ca semplice eppure cosi me– ravigliosamente fiorita e ric– ca di YOC.aboli,del fiorentino una camminala (si po1rebbe dire: una gita, comanda1a da un • cicerone> oltremodo simpatico, che non fa pesare la sua spa\'e.ntosa erudiz.ione) a ri1roso nel tempa, nella Fi– renze o Siena dei Comuni. dei Principati, fino a toccare l'ori– gine del linguaggio, appena sbucciato dal latino, padre nobile e se,·ero. Piu che un dizionario, cui si lega l'idea della panderosità, come ,or– rebbc l'esattezza 1erminolo· gica, si trat1a di decine di succosi capitoleui, ognuno dei quali fa la storia di una pa– rola onnai rara e antiquata, e intanto l'autore si dher1e e ci di,·erte, alla leuera. in un gioco dottissimo e piace– , olc di allacciamenti filologi– ci. di s coperte e riscoperte s1oric.he , di citazioni. Finisce che in q uel \'OCabolo tra11ato troviamo depositata e pronta a risvegliarsi più storia. più metamorfosi dei costumi, di quanle non si tro,ercbbero in una enciclopedia. Dicen– doci ad esempio di • madon· na > o di e messere». 1ennini che ormai sanno di fiaba Pis1elli ci porta per la ,·cechi~ Toscana. a contatto \"i,·o ed esaltante con un medioe\"O tuu'allro che oscuro e se– ' ero come comanda il luogo comune ouocentesco, cd anzi luminoso, giocoso, ridente. E' un popalo burlone che tra– ,erso la precisa e nostala:ica– men1e affettuosa ricostruzio– ne di Pìstelli torna a dimo– !>lrarci il suo gusto della ,i– ~a. della parola e parole11a e 1mpropeno sfumali e , aria ti sino a tradurre tutto l"occor– ren_1eper il suo spirito tan– tas1oso. ~~r~:;;,_~~~:. 1l 0 d~~es~i~ berta. La citta ci sfugge. prende fonne e sostanze di– \erse. e sempre meno no– :,tra e sempre piu anonima ctero&:enea, cosmopolita; pc:r quanto noi cerchiamo di ri– co~truirla per linee interiori scendendo alle radici e al– l'impulso inizi~le, ~a con– tmuamt.-ntic :s, sperc.i alla ,uperficie, ripete , ua. colo– ri_, luci, immagini, metafore d1 :,emprc. Io sono impiegato al Municipio di questa città, ncl- 1' Ufficio Anagrafe, da molti anni, da quando ne a,e,o diciassette e mio padre mori, lasciando me e la mamma alle prese con la miseria. fotenuppi allora gli studi con molto dispiacere, perché i libri sono stati un tempo la mia passione e sono tuttora la mia consolazione, e cercai un impiego. Poi la po,·era mamma s'ammalò, slettc quasi sempre in le110 per lunghissimo tempo, e quando anche essa mori io avevo venticinque aiìni. Quella che per gli altri è la miglior parie della giovinezza. era trascorsa; il mio temperamento si era fatto piuttosto malinconico e poco adatto alle relazioni sociali; inoltre la miseria conti– nuava a stringermi nel suo squallido cerchio. Perciò al matrimonio, che pure m'appariva lontano come un'immagine felice, non giunsi mai. Cambiai invece di casa, e venni a pensione qui, in ques1a camera da scapolo presso due ,·ccchissimi coniugi, e qui sono ormai da diversi anni. •Anni», • diversi anni», • molti anni•: queste' espressioni tornano spesso nei miei discorsi; ma forse le persone frettolose non si rendono ben conio di che cosa esse significano. Significano alzarsi per migliaia di ,,oJte alla "'stessa ora, scendere la stessa scala, \'edere le stesse strade, le stesse persone, le stesse carte, pronunciare le stesse parole, ritornare alle stesse strade. risalire la stessa scala, ritrovare la stessa stanza... J\•1a forse le persone non si rendono ben conto neppure di che cosa significhi essere all'Ufficio Anagrafo. Significa registrare le nascite, le morti, i matrimoni, gli spostamenti delle famiglie; significa ,edere il susseguirsi monotono delle generazioni, le vile brulicare sempre nuove e sempre uguali, il cerchio della nccessilà stringere tutli implacabilmente e tutti riportare alle stesse richieste, alle stesse proteste, alle stesse conclusioni, come davanti allo sportello. Siamo tutti nello schedario, che basta per tutli, è sempre quello, e registra sempre le stesse cose. Sarà dunque effetto del mio la, oro, o della giovinezza sacrificata, o della vi1a di scapolo, non so; ma credo che pochi cOnoscano profondamerrte quanto me il senso delle parole monotonia e necessità. lo non ho una cultura regolare; ma specialmente negli anni giovanili ho letto molto, e credo di sapere che dagli antichi in poi molti grandi uomini, che hanno riflettuto sulla vita e sul mondo, non pensavano diversamente da me. Certo. se io fossi capace di costruire un mio sistema filosofico, la mono– tonia e la necessità ne sarebbero i due concelli fonda– menlali, se pure non ~no uno solo. Ecco. E a Iuli<? q!-'cslo bisogna aggiungere poi lo squaJlore della pover1à d1gmtosa, della mediocrità irrimediabile. Impiegato municipale!. .. Ah, bisognerebbe non avere mai visto nulla, non avere mai desiderato nulla e soprattutto non avere mai letto nulla. per essere impiegati municipali e tuuavia poter vi\'erc, se non felici, tranquilli! Ma intanto io ho \'issuto e vho. La vecchietta mi ram– menda gli abiti lisi, i certificati di nascita e di.cittadinanza ,•anno ogni giorno dal mio scriuoio allo sportello, il mio ta,·olo in trattoria mi attende sempre, e così il cinema la sera e di nuovo le scale, la stanza ... tutto. E' inutile che io ~rchi di sfuggire al casellario, non mi illudo pi~. come forse Dli illudevo tanti anni or sono, e come si illudono molli, forse voi tutti. Nessuno sfugge al casellario! Certo, il momento più tremendo è quello della sera, quando rincaso dopo il cinema o dopo la visita ad un collega, e risalgo le scale di casa. A volte non esco. lo conresso, solo per risparmiarmi l'!}gonia di quel momenti:?· Quelle scale! Un po' buie, vecchie, a volte !1)aleo~oraryt1, non possono che suggerire squallore, monotoma, fatica m– terminabile. O almeno così mi sembra quando tomo, a L'oggetto notte, con la mente colma delle immagini del film che ho \'Cduto, di pensieri infiniti che non saprei ridire, e il giorno è terminato ,e la giovinezza è passata ... Ebbene, proprio in quel momenlo, una sera, mi è accaduta quella cosa che sto per dire. Anzi, lutto quanto ho detto finora non rho detto che per far meglio- com– prendere l'importanza, la straordinarietà, l'incredibilità di quello che mi è accaduto. Era poco dopo me7.7.anotte, torna\·o appumo dal cinema, e tutta la mia mente era occupata - come dicevo - dai pensieri e dalla terribile malinconia di una vita senza :,pcranza, anzi delle infinite vile senza speranza. Buio e freddo, le case mute, la strada di periferia vuota; sentivo i miei passi sul selciato. Alzai un attimo gli occhi, guardai intorno tutte le finestre chiuse, lutte le oscure vite che a quell'ora dormivano nell'alveare. Una notte. Poi un altro giorno. Poi un"altra nolle ... Chinai il capo. Spinsi il povero portone ed entrai. L'androne era semibuio come al solito; ma lo vidi subito: un oggeno stava sui primi gradini della scala. Mi avvicinai, lo raccolsi, lo guardai. La mia curiosità si mutò in disorientamento: non riuscivo a capire che cosa fosse. Lo guardavo tenendolo nel palmo della destra, che occupava quasi tutto. Un oggetto di metallo? Non pareva. Ma neppure di legno. Una sostanza sintetica? Chissà, comunque di nuovo genere: non l'avevo mai vista ... Ma la cosa più inquietante era la sua forma, per questo 1 semplice motivo: non aveva forma I Non è che io non ricordi più (ricordo wtto di quella sera), né che l'ogge110 non fosse dei soliti che si trovano: chiavi, portamonete, ecc. No, \'eramente non aveva forma: né sferica, né ovoidale, né a sca1oletta, né altro. Non somigliava neppure a una pietra, di quelle rotondeggianti, di forma vaga, che si trovano al mare o sui greti. No11 si poteva dire come fosse fatto! Curioso? A mc appariva addirittura conturbante. Mi accorsi di essere solo, a mezzanotte ,ai piedi di una scala silenziosa e semibuia, con un oggetto strano nelle mani. Provai un lieve disagio. Lo avvicinai al vol10, e per meglio ossen•are, mentre lo lenevo nel palmo della destra, lo presi tra 11 Pollice e l'indice della sinistra. Cosl facendo, dissi a mezza voce, tra me, sotto la lampada gialla: • Ma che diamine sarà?». AUorn accadde la cosa più incredibile della mia vita, l'allucinazione direi, se tutto non fosse realmente, sicura– mente accaduto. Ebbene, quell'oggetto si mosse e ne uscirono delle parole. Non mi cadde dalle mani solo perché rimasi impietrito. Non riuscivo a muovere una fibra, pa– rali7.7.ato da un turbine di impulsi: curiosità, sorpresa, superstizione, terrore: non caph•o più nulla. Era accaduto proprio questo: l'Oggetto, mentre io dicevo quelle parole interrogative, ave,ra assunto una forma identificabile; era divenuto una testa, quasi un volto, o almeno qualcosa di somigliante. Non so per qual motivo, ricordava il volto indefinibile di certi idoletli primitivi, o certe maschere, stilizzate, fuori del tempo, e tuttavia piene di vi1a, della scultura egizia. E quel volto disse (o almeno io udii, nel silenzio della scala notturna) le seguenti parole: • Che cosa sono? lo sono l'imp_fevisto, l'arbitrio, il non - necessario. Ricordati: ogni volla che tu mi terrai nelle mani come ora e dirai le parole di ora, io diventerò quello che tu vorrai: una donna, un'automobile, una casa: quello che tu \'Orrai. E quando poi dirai - Via! -, quella sparirà e tomerò io. Ricordali: io sono la libertà!>. Dopo di ciò il ,,alto spari, e l'Oggetto ritornò quello di prima, senza forma. Io, immobile. continuavo ad essere combattuto tra lo sbalordimento e un sacro orrore. Riuscii dopo un po', a guardarmi intomo; ma la notte la semio~ scurità, lo squallore della vecchia scala, non ~rana certo immagini capaci di riportare la calma nel mio cen·ello squassato dalla tempesta, anzi accn•sce,•ano le oscure sug– gestioni. Infine affiorò qucs10 pensiero: che pote,·a rincasare qualche altro inquilino ritardatario e che era bene non farsi trovare a quell'ora in quel luogo e in quell'atteggiamento da folle. Salii come un sonnambulo le scale, tenendo l'Og– getto come una bomba a mano p1;va di sicura e andai a chiudermi nella mia s1anza. · La notte fu un delirio. Accesa la luce, posato l'Oggetto sul comodino, mi ero seduto !>UIletto guardandolo fissa– mente. Ripetevo ogni momenlo a me stesso che era assurdo, che non dove\'o credere a quan10 era accaduto; ma intanto nella mia mente mille pensieri danzavano una sarabanda. Ogni ,·olla che imponevo a me stesso di distogliere lo sguardo, l'Oggello, Il, la presenza oscura. me lo richiamava a _sé, ~ la danza ricominciava più frenetica. Provai a spo– gliarmi, a mettermi sollo le coperte; spensi anche la luce. Riaccesi immediatamente, perché al buio la paura vinceva ogni altro sentimento, dilagava, era inlollerabile. Del resto l'Oggetlo era lì, sul comodino: lo vedevo anche al buio'. La testa mi scoppia,•a. Pensa,o cosl febbrilmente a tutto quello che avrei voluto da lui, che le immagini si acca– vallavano di'lentavano caotiche. Una donna, quesla notte stessa, una donna bellissima e bionda, come un'attrice nota; la vedevo, nuda: ma sarebbe stata proprio viva? che lingua avrebbe _parla10?··· _Oppure del denaro, mohi,ssimo denaro, vedevo 1 pacchi d1 bancono1e. come al cinema· do\·e li avrei nascosti? e. le cifre di serie come sarebbéro state? ,-e~e o ~al~e?_. .. M1 perde~•o. Anche dei libri, certo: ne ,edo d~1 belhssim, nelle velnne. O meglio ancora un diploma d1 laurea, come ho_ semp~ desidera 10, col mio nome: dou~re!, da meuere m cormce, e la promozione in ufficio... M~ m questo cas? come dire poi .- Via! - per a,·erc un altra cosa_? .... M1 perdc\'o. Immagini paurose di recenti films surreali st mescola\lano con quelle vecchie di Fausl e del patto col Maligno, con le parole di una discussione in. u_fficiodi pocbi gioryii innanzi, su un fatto miracoloso cu_1 10 n~n crc~cvo, c. m~ne con le sparse mie letture di ~c1cnza d1_vulgnt1va.Fui. d1!Xi \'Olle sul punlo di scoppiare m l!na nsata; altre d1ec1 sul punto di prendere tra le mam _l'Ogge.110e _di P_ronunciare religiosamente la formula; pen~_1 persino d1 chiamare qualcuno; pensai di pregare! Dec!s• dl!e. volte di smel~ere e di rimandare all'indomani ?gm d_e<;1s1one, per megho ponderare; ma il sonno era 1mpoSS1b1_le, la luce_ non osavo spegnerla, sicché ritornavo a fa;nt!15Ùcare febbnlmen!c. L_atentazione di e provare• era foruss1m~: ve~e~o la mia_ v11a trasformarsi, sottrarsi per sempre, mcred1b1lmente, a1 due mostri: la monotonia e la necessità. Ma ogni volta che sta\'o per tendere la mano \'erso l'Oggetto sem.a fonna, U sul comodino, qualcosa mi traueneva, non so se la paura che la cosa poi non accadesse, o l_a paura che accadesse. o che una volta accaduta si apnss~ro le port~ del caos senza più la capacità di porvi nmed10, ..come Iapprendista stregone ;o qualche paura a!1cora pm vaga e profonda; o forse semplicemente Ja mia viltà. ,Insomma, trascorsi l'.in!era notte sull'orlo della pazzia. A_H alba, esausto, caddi m una specie di dormi\'eglia affa!icat~ e pieno di sogni !lnsiosi, indecifrabili. All'ora dcli ufficio, per fon.a dcll'anttca abitudine, mi destai di soprassalto. L'Oggetto, sul comodino, era scomparso. o del senese. La reazione a que:.ta • fon– te unica• è recente: altre parlate han preteso di pater contribuire, per la loro par– ie, al \'Ocabolario colletti,·o, approfi11ando dello spostarsi dell'equilibrio economico na– zionale e dell'avvizzirsi del genio toscano, che dopo a\'er tenuto secolarmente alto il vessillo della Toscanità era scivolalo in un 1oscanismo di strascico, coi segni palesi dd mancalo o, almeno, insuffi– ciente adeguamento ai tempi nuovi. E' del res10 destino che, giunti alla maturi1à, uo– mini e ceppi sociali pre1en– dano di dir la loro, e dirla a modo loro. Non è la lingua che fa l'uso ma, proprio il contrario, l'uso fa la lingua, magari torcendo, imbarba– rendo e all'opposto nobili- 1ando altri idiomi dopo quel– lo c_he fece da ceppo, Oggi, sentir parlare toscano è co– me sentir parlare antico; lo SICSSOLeo Pistelli, un filolo– go molto at1en10 ai tempi del linguaggio, riconosce che i 1oscani, dopo averci rega– lato un meraviglioso, perfetto strumen10 vi si sono fermati, non tanto compiaciuti forse quanto paghi, cosl che a ie– na o a Firenze si tramandano espressioni sempre meno com- ~reJ;;~~li~a f~hiise_all'origine, . Nell'accingersi a compilare 11 suo Dbonario delle parole antit:1~ (Longanesi, 1961) Pi– stelh, l'autore del noto, di– l~ttevole Parlare italia110, è ncorso cosl al toscano anti– co, spulcialo nei suoi scrit· tori più note,•oli e caratteri– stici e attinto, per conferma con la passione del collezio~ nista di rarità, dalla viva \'O· ce del popolo che quella lin– gua riadoper.1 ogni giorno, poco o nulla avendo aggiunto q!-'anto a v<?cabolie piuttosto ~vert,endos1 a_ spericolate, 1romche code d1 diminuti\li o accrescitivi o spregiativi che 1endono i significati sino al– l'ultima sfumatura. Il Diz,iouario di Pistelli è l:.a lez_ione,anche antiquala, non è d1 quelle che si possono trascurare: le parole ,ecchie possono ancora fare il brodo buono. Se riusarle, oggi, può essei:e uno snob gratuilo: ri– considerarle, conosceme sto– ria e yjr!ù è ancor"? di gran– de util1ta: non per dannun– zianeggiare ma per sapere q1:1ando_parliamo, quel eh~ suamo dicendo, per a\ ere sul- 1?- bocca e sulla penna una lingua noia, vi\la in ogni sua pane. da qui indietro fino all'origine. Il gusto della lin– gua antica, anche se non ado– ~rala, è il gusto stesso della }~~a~~~~edrf~b;}~a 1 !t~~~~ 10 portato _da chi. in nome d~! modermsmo, cerca di no– b_1htare la. sua ignoranza. Ri– tirar fuon le parole desue1e non sen·e ad auspicare as– surdi ritorni: e e abbasso l'ar– c~lsm<?» esclama lo stesso Pmclh. 1\/laser\'c a difendere con la lingua, Ja nostra ani: ma, la nostra storia. -· ·-- Xon c'è angolo di strada profilo di torre, perimetro di piazza ad Asti. non chiesa parco o rione di cui io no~ abbia - aJ tempo dei miei ,·ent'anni - indapto forma e colori, \'OCe e , iso. pene– ! rato linguaggio e folclore· non :,lagionc che non abbia'. ro,csciato leggera tra le sue a1:11chissi m~ mur a. Eppure !11• sono 1llu.so di poterla ignorare, un gio rno che il sole di febbraio rianima,-a la città di un filo di ,·ila, en– trando da Porla Torino come u_n cslraneo, come uno che ;~tria.d"m!~~:fa 0 'esesiz~;:~~ a camminare in direzione del centro per la prima ,·olta Ma giocatori di carte e di bigliardo: be\-ilori. artigiani. suonalon ambulanti, com– n~esse. donncue che cian- ~~"z';~c~tll~~fi~r:A1ica:i1i ra; spericolali mi ,cni\•ano in– co~1ro, da ogni angolo mi stnngevano d'assedio fre– schi e curiosi. come 0 da un quadro di Rosai, mi salu– ta, ano. Non po1e,·o mante– nere l'incogni10: mi era ~uuo ti:oppo famigliare, noto, •mf>?SS1btlea cancellarsi. ~Il son~ ricorda10 allora ~e1 ragazzi che ,·anno lungo 1 _ fiumi incontro alla loro giornata a\ \'enturosa e si f4;nnano_ a contare, in un ~ioco .,·1,·~ di calcoli e di •ry,mag10.u:1one .i cerchi e la ~~a t~~~~ic~~;,\ 0 al~Ji"~~~ battu1i (i pioppi chiari e lc_i!_gerisono i pìù decifra– bili). della loro facilità di C(?ncentrarc il mondo in un piccolo spazio, tutte le di– men~ioni dell'uni\'erso in un guscio,. e sono giunto .1lla conclus1one che viaggiare ~anto. ma sempre e sollanto m ~..,,e!1sione. si spuntano i des1den, le speranze, si fini– a;ce per camminare all'infini– t~.

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