la Fiera Letteraria - XV - n.36-37 - 11 settembre 1960

Domenica 11 settembre 1960 LA FIEHA I.El l~HAHIA ► SCRITTORI IN PRIMO PIANO ◄ Due poesie di Lni1:i Ua111pa1:none: Le lettere mute Guido Seborga All'inizio di quell'inver– no lasciai Napoli e me ne tornai a casa. Nella penom– bra delle stanze, in quel restai' dalla mattina alla sera senza far niente, \•ici– no a mia madre. cominciai a poco a poco a risentir– mi a mio agio. E capii an– che che mia madre aveva ragione. quando parlava dell'antica nobiltà del no– stro casato. Io aveva fatto male, fino a quel tempo, a non badarvi. Avevo sem– p.•e saputo che il nostro no– me era legato a grandi eventi, e avevo commesso l'errore di crederla una co– sa inutile. Segno che, per tanti anni. ero stato come immerso in un sonno da ubriaco. Così, in quell'inizio d'inverno, cominciai a ef– fettuare delle iricerche un po· nella \·ecchia biblioteca di casa un po' nell'archivio del paese: a poco a poco m'innamorai della nostra stor:a. I miei antenati era– no stati alla corte borboni– ca, poi col Cardinal Ruffo contro i liberali; un Aròni– co era stato ministro ai temo= d' Crispi. un altro ucclso dai sovversivi, un terzo - un Paolo Arònico, come me - vescovo. e au– tore di pregevoli opere sto– riche. Forse era stato con mio padre. che il nostro sangue aveva cominciato a invecchiare. Ma proprio in– vecchiare? O altro non era che una pausa, un tempo d'attesa dopo lln,i secoli di splendori e di lotte? Nei miei figli, certo. il nostro sangue sarebbe tornato quello d'un tempo. Ma da quale donna, i mie'i tigli, sarebbero nati? Non certo dalla figlia di un botte– gaio. Se davvero io avessi sposato Assuntina. la no– stra caduta sarebbe stata irrimr.diabile. I mie; figi' avrebbero avuto nelle vene anche il sangue di lei. e dei genitori di lei: di quella sua ipod-ita madre, quasi un'idiota, e di quel suo pa– dre, il quale. sottratto, al– la bottega e agli affari. di null'altro era capace che trascorrere ore e ore a stu– diare maniache combina– zìoni per il giuoco del lotto. Lo stemma della nostra casa era conservato nel lun– go corridoio, subito dopo lo ingresso. Era un arazzo che prendeva gran parte della parete, rappresentava una grande stella d'argento in campo azzurro, col motto ricamato in oro: «Nobilitas semper fulget >. Sì, ,sempre risplende, an– che se per poco ero anda– to a imbrattarmi con As– suntina e coi genitori di lei... In quell'inizio d'inverno, dopo aver raccolto un pre– ziosissimo materiale, co– m:nciai dunque a scrivere una monografia sulla no– stra famiglia. Ma devo confessare che quel lavo– ro mi appassionò solo per alcune settimane; in se– guito. e insensibilmente quasi. l'ardore cominciò a mancarmi, e la mia fatica rimase incompiuta. Forse, dipese anche dall'eccezio– nale rigore del freddo, che dalle vicine montagne ca– lò sul nostro paese, per modo che mia madre e io eravamo costretti a passare le nostre giornate solita– rie accanto al braciere, dal quale si allungava un ac– cogliente tepore di sonno. Tuttavia, da quel lavoro in– terrotto doveva derivarme– ne una più alta valutazio– ne del nostro nome. un or· goglio che mal per il pas– sato avevo avuto, e che a poco a poco m'ispirò tutta una serie di atteggiamen– ti: così, ad esempio. presi a togliere il saluto a chi mi era di troppo inferiore ... Tanto più che, mentre da una parte mia madre e io eravamo costretti a ogni specie di privazioni, ve– devo dall'altra troppa gen• te che, pur derivando da oscuri, e spesso ignobili na– tali. aveva accumulato equivoche. recenti fortune. Come il padre di Assunti– na, appunto. Bene: il fidan· zato di Assuntina, quando si fosse presentato. avrebbe trovato una delle migliori doti di Napoli: per capirlo. gli sarebbe bastato dare un 'occhiata alla madre di lei. a quelle dita, grasse e sporche, ma sempre pie– ne di anelli. Le fragili dita di mia ma– dre diventavano ogni gior– no più esangui, nemmeno il tepore. del braciere riu• sciva più a riscaldarle. Forse dipendeva anche dal fatto che essa era domina– ta dal continuo terrore che, prima o poi. avrem– mo dovuto vendere la ca– sa l'unico bene che ormai ci· restava, e, peggio anc~– ra. fitta.re delle stanze, vi– vere in coabitazione con al– tri: a meno che, quel gior– no, io non mi fossi ricorda– to di avere una laurea. Oltre a negare il mio sa– luto a taluni, come ho gfà detto avevo cominciato a esii:~ che mi si chiamasse anche col titolo che mi spettava dì diritto. Perché avvocato? Lo erano anche i figli di taluni, i quali. pri– ma della guerra, venivano a casa nostra a implorare dilazioni per quel che cl dovevano per fitti di case e di terre. Era poi venu– ta la guerra: il tempo. cioè, in cui essi avevan preso a crescere, e noi a perdere. a perdere.. Ma perdere, ma cadere in simili circostanze. è una qualità dell'essere umano. io direi. Natura– le. al contrario. che al padre. alla madre di Assun· lina. tutto fosse andato per il meglio: e a che cosa es– si non avevano sempre pen– sato, che non fossero af– fari. usure. equivoche me• ne? Fortuna, fortuna che m·ero salvato. La madre di lei, parlando alle comari del quartiere. avrebbe det– to: « La baronessa mia fi– glia ... ». Ho delta che fu un in· verno. quello del mio ritor– no dopo la laurea, di ecce– zionale rigore: certe notti fui svegliato dall'urlo dei lupi. che dai monti intorno si spingevano fin giù nel paese; allora io raggiun– gevo mia madre. e perchè lei non avesse paura mi coricavo accanto a lei. na– scondevo il viso contro la sua spalla, ne ascoltavo il respiro, rabbrividendo fino all'alba dal freddo. Al mattino. nascosto die– tro le tendine della fine– stra, guardavo giù nella strada ì miei amici di un tempo, i quali si recavano in pretura con le sordide borse di cuo:o sottobraccio. pieni di fascicoli di squal– lida prosa: « Il pe1·izian• do ...>, eccetera. Cominciai a uscir di casa sempre meno. passando lun– ghe ore dietro la finestra: me ne ritraevo alla fine pieno di nausea. a causa di quei visi meschini. tor– vi. a.Uatìcati, che per ore vedevo passare. La sera non accendevamo la luce, per consumare meno ener· gia. Spesso rimanevo senza sigarette, avendo esaurito la mia poca razione del giorno. Allora me ne anda- vo a letto come mia madre, ad ascoltare il vento tra gli interstizi. L'indomani mi svegliavo ossai presto. mi destava un greve pre– sent:mento della luce, del giorno. Ed era come se mi inoltrassi nella mia giorna– ta. barcollando. Ai tempi di Napoli (ma non era trascorso che un anno, a ripensarci), a ogni risveglio correvo alla fine- stra della mia stanza di pensione p e r guardare quella dirimpetto. la fine– stra di AssW1tina. Ella era là. mi aspettava. le lettere mute che ci scam– biavamo e o 1 linguaggio Oltre Na,poli * <li ,\LURR'l'O BF.\IJLA.C(llJA Il tono del racconto breve che presentiamo i11 questo 1111111ero della nostra rubrica costituisce, in un certo sen– so, wza piccola ma signifi– cativa eccezione per la pen– na di Luigi Compagnone. Il Compagnone che noi cono– sciamo - q11ello teneramen– te ironico, sempre mquieto nei suoi umori traboccanti - sembra placarsi in queste e Lettere mute• e attingere il suo clima da w1 fondo di lirica, composta amarez:::a. Un accenfo insolito, ripetia– mo, che ci dimostra, una volta di più, come fosse esat– to ciò che affermavamo, cir– ca w1 anno fa, proprio su queste stesse pagine, sotto/i- neando la felice complete;;.:::a narrativa di Compagnone. Non si può, a questo punto, non portare il discorso su di un terreno più generale, per esaminare, sia pure « en pas– sant>, il rapporto che, lega il nostro scrittore a quel– l'ambiente, cosl determinato e determinante. che è Na– vali. Nella città partenopea, c'è oggi un gruppo di scrittori ili grado di fornire un esem– pio in fatto di costanza e di coesione. Non parliamo in astratto: basta pensare, in– fatti, alla rivista « Le ragio– ni narrative» e alla c1iiare:::– ::;a programmatica con la quale Rea, Prisco, Pomi/io e Incoronato cercano di dare 1111anuova solidità a certe basi critiche, sutle quali si fonda la nostra narrativa contemporanea. E' ovviamen– te rilevabile, anche nel la– voro saggistico dei redattori che abbiamo me,izionato, quell'eco che non si smar– risce mai - proprio perché tipicamente napoletana - e che impronta di sé anche le pagine più impegnate in un senso universale, quando i•engono conc,:vue e matu– rate nella luce del Golfo. E', alla fine, una sorta diremmo ,li spavalderia e di sicurez– ::;a scaturite da un pieno possesso vitale, un grado di euforica consapevofeua della real1à che un innato lirismo riesce a modulare e a pie– gare 1·erso molteplici appli– cazioni. Tornando ora a Lui– gi Compagnone, potremmo affermare clze lo scrittore fi– nisce per violare, più o me– no consapevolmente, la legge legala alla dimensione am– bientale i11 cui egli lavora. Ma im'a{fermazione del ge- 11ere potrebbe anche essere fraintesa. Meglio, allora, dire che, nella prosa di Compa– g,ione, si avverte una volon– tà di rinnovare e di speri– mentare, che finisce per por– tare fa pagina scritta al di fuori di ogni cliché, di ogni strettoia di nalllra regiona– listica. Di ciò, noi abbiamo avuto una prova proprio re– centemente, leggendo l'ulti- ~;~c~;:,~~c1iè,c~:~al,~~;~~t~ morte•, messi in vetrina da Va/lecchi in apertura d'esta– te. Ricorrendo alla sua schiet– re::;,;ae alla sanità mordente del suo mondo psicologico, infalli, Compagnone è n·u– scito a darci w1 quadro pre– ciso poetico e vero di certa nostra realtà d'oggi: ciò che, fra tante mascherature, rap– presenta un elemento prezio– so e wi segno di validità. delle dita correvano dal suo davanzale al mio. Di Ii a poco, essa mi rag– giungeva in istrada con quel suo passo spiritoso. che faceva voltare la gen– te. Ce ne andavamo in un luogo dove sorgevano i grossi scheletri di certe nuove costruzioni popolari che si stagliavano contro un cielo celeste, pieno di sole. Ella si guardava in• torno inquieta: cMadonna mia. se c'incontra papà! Quello sarebbe capace di battermi in mezzo alla strada!> Le dicevo che in autunno, subito dopo la lau– rea, mi sarei presentato. « E chi lo sa"· diceva As– suntina, « papà dice sem– pre che sono ancora picco– la " Aliora io la baciavo sui denti piccoli e bianchi. Erano grandi e nere, quell'inverno, le stanze di casa mia. E grandi e nere le giornate che vi scorre– vano, lente come fumi di nebbie. Entravo qualche volta nel salotto, ove ci erano due grandi -specchi sulle opposte pareti. coper– ti da un lungo strato di pol– vere. Mi sedevo sul divano grande, a fumare una siga– retta nena penombra. Bom– boniere d'altri tempi, era– no sparse un pò dovunque, forse conservavano ancora l'odor dei confetti. Mi guardavo çl.i tanto in tanto in uno dei grandi specchi. Ho sempre avuto un viso più vecchio della mia età, ma, forse a causa della polvere sparsa sulla super– ficie dello specchio, mi ap– pariva dinanzi un'immagi– ne addiI'ittura senile. emer– sa improvvisa dalla penom– bra, dalla noia. dal silen– zio. Allora, chissà perché, alzavo le mani, e sempre guardando nello specchio, cominciavo a fare un giuo– co, il giuoco delle lettere mute, io stesso a quel mo– do parlandomi e risponden– domi insieme: proprio co– me se comunicassi col mio cuore da una grande di– stanza, da una finestra al– l'altra. Per fortuna, quella mia finestra di Napoli s'era chiusa per sempre. Per sua colpa, jo ero stato a un punto dallo sposare As– suntina: i mi"'?i fifli, ho già t 1~ !lo. av:ebbt-ro i'vuto a:,– che U sangue di le.i., e dei genitori di lei: per poco, dunque, non avevo imbrat• lato 11 mio nome. sporcata la mia razza. Ma: «Nobih– las semper !ulget >, era scritto sull'arazzo di casa: quasi una voce augurale, quella di un nume domesti– co che mi aveva salvato per sempre, a mia stessa insaputa, da quella fami– glia. ln quali pantani di trivialità sarei mal caduto, se non avesse vegliato su me la stella. la buona stel– la d'argento. dei mìei an– tenati ... Quando mi ern pre– sentato. suo padre aveva detto: «Ci fate troppo onore, ma Assuntina se la sposa uno coi conquibus», vo– lendo significare « coi de– nari >, nel suo bestiale lin– guaggio per altro da lui ritenuto. era evidente, spi– ritoso modo di ~sprimersi, sarcasmo. ironia. E la madre di lei: e Onore e piacere. signor barone, ma noi siamo gen– te alla buona, ai titoli non ci teniamo, e ci piacciono questi>, strofinando tra lo– ro i polpaitrelli del polli– ce e dell'indice, adagio: un gesto quasi sensuale che, ne son certo, essa dovette continuare-a ripetere a lun– go, anche dopo che alle mie spalle la porta di quella casa si fu chiusa con un brusco. sordo rumore. Ma uomini Nel cielo sfolgorato dei giorni Appare l'eclissi straziata Vita rovinata dalla nascita E· nulla di ricambio Vita non ricuperata Morte velenosa l'uomo ha inconsciamente Nel sangue per eredità misteriosa Ambiguamente lo soffoca Troppo tardi si è accorto del male Inguaribile nella vita turpe Per un passato ancora immutabile Ma-Jedizione della società alterata Soffro stanotte tutto il peso del mio corpo Fuori il vento afoso ·dell'estate Gli alberi del giardino sono caldi La mia ansia è un presagio della catastrofe Che può colpire nuovamente la ~erra Ma uomini straziati da crudeli ingranaggi di Carni maciullate ossa deboli e friabili [tortura Ma uomini i vostri occhi limpidi sognano pace. E attendi Tu che sai leggere nell'ora dell'inferno Lascia questa terra morbida E dal cielo ricava l'immagine più luminosa E sia sublime come il cielo. E attendi. Forse dopo l'attesa gmngerà per te L'ora inalienabile. Ora c'è un tramonto di fuoco. Bordighera 1960 VIVA .MANJFESTAZIONE CULTURALE TRA L'EQUIVOCO E L'AGONIA * Rose spinose al Premio Viare1:1:io * <li ELIO F. ACCROCCA No\'c milioni interamente ,·ersati (piu u1,o e rotti no– minali), cinque medaJJlie, u·e quadri e un ombrellone da mare: questo l'ammontare del « Premio Viareggio 1960•· Alla fine ,•i spiegherò la sto– da dell'ombrellone e di un mezzo baffo che è stato per– duto a scopone scientifico. l risultati son noti anche al più ignaro !cuore di set– timanali. Ne ha parlato la stampa; anche se per la fret– ta di comunicar notizie in anticipo si cofre sempre il rischio di riferire risultali it,completi. Persino la rela– zione ufficiale appare incom– pleta per gli ultimissimi cambiamcnli che av\'engono ogni anno nella zona dei n– conoscimenti minori. La so– stanza dei premi resta im– muta1a, è chiaro, ma non bi– sognerebbe calpeslare la su– scettibilità degli au1ori pre– miali con medaglie e quadri: anch'essi rientrar,o nella cal– daia del ViareRgio. Nè sono mancati i servizi radiofonici e 1elevisivi, i pri– mi ad opera di Amerigo Go· mez (il mio partner nella partita del baffo) e i secondi di Luciano Luisi. ma per col- i seguenli · all'unanimità due milioni a Gio,,an Battista Angioletti (/ grandi ospiti, Vailecchi); un milione per la narrativa a Laudomia Bo– nanni (l'imputata, Bompia- 1,i) che fino all'ultima ora \'Cnil'a tallonata da Raffaello Brignelli e Brunello Vanda– no; un milione per la poe– sia a Paolo Volponi (Le por– te dell'Appennino, Feltrinclli) che non ha ceduto all'invito (lçl UQ editore il quale ave– va diramato una circolare ai vari autori affinchè non pre– ser,tassero le proprie opere al • Viareggio», e si è così aggiudicato un premio che onora i poeti della nuova ge– nerazione. a scapito natural– mente di altri non meno meritevoli. Schennaglie e vinci/ori Luzi è stato escluso dal– l'ultima •rosa» ut,icamentc pcrchè il suo volume, lf gu– sto della vita (Garzanti), • non poteva essere considc· rato come una produzione 1959-60 s: ma allora pcrchè stcnitore con rclath•a spie– gazione del testo. Quando in– ' ecc Urigaretti, contrario fino ad allora a premiare Volponi, fu invitato a leggere anche alcune pagine de Le porte dell'Appennino, si verificò che la lellura procedesse in un crescendo con la simpatia e la considerazione. Il milio– ne andava dirino e completo all'autore di FeltrinellL Per la saggistica, eliminate alcune opere particolarmente interessanti per rigore criti– co, s1orico e scientifico, quali Paradiso della ragione di Giovant..J Macchia (apprezza– tissimo da Montale), Mito e coscienza del decadentismo italiano di Carlo Salinari, Jean Fautrier di Palma Bu– carelli; L'attore: storia di un'arte di Giovanni Calendoli, I periodici popolari del Ri– sorgimento di Dina Bertoni Jovine, venivano assegn::Hi tre premi di un mii.ione cia- scu1.o a Bruno Migliarini (Storia della lmgua italiana),. Ettore Lo Gatto ( Puskin: storia di un poeta e di un eroe), Umberto Barbaro (li filni e il risarcimento marxi– sta nell'arte). Il mezzo milione per l'ope– ra prima andava a Sergio Sa– viane (Festa di laurea, edito– re Parenti); mentre In stessa razione per l'inchiesta gior– nalistica (nel cui settore era– no rimasti in e tosa finale> i volumi: Nuda ogni giornc Un momento di forzata allegria sollo l'ombrellone.. Da si– nistra. Il nostro Tedeschi, Brunello Vandan~, Aceracea_, P_a– lumbo, il « giudice • Jahler s emln_ascosto, I attrice Elva Lts- slak, Mauro, Moretti, Luisl etc. ' di Ugo Morelli (Editore Ca– rucci), Jncliie.sta alla Fial di Franco Car'Occi (editore Ei– naudi) e il nostro Ritratti su misura, Sodalizio del libro), veniva assegnata a L'Artiglio ha confessalo di Silvio Mi– cheli, pubblicato da Vallec– chi. Anche questa una « ro– sa » con spine, percbè appare per lo meno assurdo man– tenere in gara dei volumi che poi non posson? ven~r presi in cor1siderauone 1~ quanto non risP<?ndono a1 criteri che si sogliono attn– buire al settore in questione. Sarebbe più onesto non met– terli in discussione, e tanto meno richiederne venti co– pie all'editore e creare una « rosa » con trappola. pa delle « Olimpiadi >, non si è potuto "riprendere da_l "i"~· direttamente la cenmoma della premiazione, e si sono ,•erificati e tagli • sorprenden– ti che hanno lasciato per– plessi persir,o alcuni premiati maggiori. Comunque, i risultati di di ques1a tren1unesima edi– zione del « massimo premio letterario• - come t; stato dichiarato da Emilio Cecchi sul Corriere della Sera (e a Rèpaci sembrava gli a,essero assegnato il Nobel) - sono è s1ato tenuto in ballottag– gio sino all'ultimo momen– to? Questa sembra sia la ra– gione dell'assenza di alcun_i giudici, tra cui De~nedet11. Per Edoardo Cacc1a1ore e Luciano Erba, invece, non è rnlsa la presenza di Unga– retti il quale si è vista sfug– gire,' coi. rammarico, la ~e– conda occasione per premia– re un poeta a lui caro~ qual~ Cacciatore è da lunghi anni. 1 'è a questi è valsa la lettu– ra di alcune poesie che gli altri aiudici imposero al so- Uu premio deve mostrarsi scrio in ogni suo elemento, altrimenti rischia di veleggia– re nell'ironia e nella maJìn– conici1à più piatte. Pioggia di onorificenze Andiamo avanti: e poi di– temi se dopo questa « fau– cata » non mi ci vorrebbe un doppio brodo Star. Siamo appena all'ottavo premio. Un altro milione, stanziato da Dc Laurentis per ricordare nel 1,ome dell'Armistizio il lancio di un nuo,·o film, è stato di– stribuito tra un racconto di Maria Chiappelli dal titolo « Lettera incompiuta> pub• blicato su /I Ponte, il recen– te romanzo di Giuseppe D'Agata L'esercito d1 Sc1f)io· 11e,e i Coetanei di Elsa Dc Giorgi. Quest'ultima ha ri– nunciato alla sua parte, e perciò il milione è stato sud– diviso tra i primi due autori. Un altro milione, nominale, è stato assegnato al volume di Eduardo De Filippo Ln cantata dei giorni pari. Otto e quauro, dodici. Ora Ycr,iamo alle medaglie e ai quadri. Le prime sono state assegnate a Marino Piazzolla (Presidenza della Repubbli– ca) per la raccolta poetica Mia figlia è innamorata, a Ugo Moretti (Medaglia d'oro Premio Viareggio) per il li– bro-inchiesta, a Leopoldo Baroni quella del Senato, al– la Nuova Accademia dì Mi– lano quella della Presidenza del Consiglio, e all'editore Cancsi la medaglia della Ca– mera dei Dep1.nati per le sue Edizioni Moderne. I quadri hanno consolato Brunello Rondi, al quale è toccato un dipinto di Giuseppe ~1arti– nelli per il ,•olume di poesie Carta d'Europa, Nunzio Cos– su per il romanzo Caino (un quadro di Francesconi) e De Marchi (quadro di Clemen– toni). L'ombrellone e i baffi Venti premiati complessi– vamenle. Quasi tutti presenti sul palco del Royal. I due fi– gli del povero Barbaro face– vano un po' di commozione ira tanta gente euforica e tendenzialmente volta a!le notizie dei Giuochi Olimpici. De Filippo aveva inviato un telegramma: il «suo• milio– ne doveva essere devoluto al monte premio del prossimo anno. Tutti hanno ringra– ziato la giurla e il pubbHco. Angioletti era commosso: due be.Ile vittorie nell'anna– ta, la nomina a Presiden1e della Comunità Europea de– gli Scrittori e il « Viareggio» che viene a coronare la sua lunga attività europeistica. « I grandi ospiti - ha det– to - sono una guida lumi– nosa per tutti noi, che siamo piccoli ospiti>, Laudomia Bo– nanni ba ringraziato perché la giuria ha finalmente as– solto la sua e Imputata>. Mi– cheli ha ricordato di essere un veterano del premio Via– reggio, è infatti alla seconda vittoria. E cosl Ugo Morelli, felice di annunciare agli ami– ci la direzione di un settima– nale edito da Canesi. Rèpaci, per la prima rnlta ha invitato il sindaco Ca– telli di Viareggio a stringer– gli la mano. on più guerra tra il Comune e la giurìa del premio. L'Azienda Auto– noma di Soggiorno, nella per– sona del sig. Caccia, ha ,·e1·– sato un milione nella cal– daia. Dal prossimo anno au– menterà. l'erogazione. Il «Via– reggio> avrà vita facile? Non lo sappiamo. Quest'anno ha (c.ontlnua a pag. 4) Un momento scrio, ufficiale dcl «Vtarcgiiio •· In primo pia no Ravegnani e i due vincenti la Bonanni e Angioletti, Dictr o: Lo Gatto e Mlgllorini, entra mbl con glt occhiali ed en~ trambl vincitori. Tra i due Primo Conti Jl 'JD>J[§CJ~JG::ZJ[ONJ[ VJ[.A'i..HEGGll~J&; * Notte trag·ica in Versilia * di Pll!.;'l'RO CBIA'l"l'I D1 riror110dalla Versilia un amico fidato mi ha raccontato questa viareggina storia; 1 1 era come è vera la dta, mi Ila assicurato. E' una storia di uon11111;di passiom, di i11teressi, di amicizie, di cocciutaggini. I giornali letterari ne raccontano di rado: gli uomini di penna e di mestiere hanno strello all'origine tm patto diabolico con la « fantasia », l'eufemismo traducibile, volta a volta, con irrealtà, parzialità, menzogna. E' la « fantasia » che si legge incolonnata, più spesso, ora amara ed ora scherzevole. Il vero è elle, per molti, raccontare le cose come sono andate riesce impossibile, innaturale; che la realtà li impaurisce, li inorridisce; che il più degli uomini è gregge. Prendiamo coraggio per una volta ancora e raccontiamo alla lettera quel che l'amico rientrato da Viareggio, dai giorni di punta dell'estate culturale italiana, ci ha assicurato come la storia «gialla• ma vera giocata al tavolo di gioco dei t>alori poetici, con la posta di un milione. E se pure non fosse vera al cento per cento, sarebbe ancora da raccontarla, perché interpreta così bene la reallà dei premi letterari e delle gwrie, centra dei tipi e delle situazioni con tale precisione che serve di lezione nuda, di esempio illuminante per un certo pubblico ancora ignaro, per un altro più nstretto e tanto fantasioso. Siamo - dunque - a Viareggio, m clima d1 votai.ioni e ballottaggi. le assegnazioni per la saggistica e la narrativa, nonché la decisione per i due milioni di Angioletti, sono avvenute non senza contrasti ma infine definite e messe a verbale. I giudici presenti, di venticinque che ne elenca il bando, sono in tutto nove: Repac1, Schiaflmo, ~alsa, l llta Rosa, Ravegnani, Bigiarelli, Primo Conti, Jal11er e Sbrana segretario d,d premio. Pochi, certo: le defezioni toccano quasi i due terzi della giuria. Ma il « Viareggio» è morente, le sue energie vengono a mancare progressivamente. Resta solo, s'è capito, da assegnare il milione per la ra~~ .. i:b!~~::t~~o:::eJ~';/o~}~":inK:! ~;/(~~ 0 ; l~n~a:i~~~ nota a tutti che il suo Gusto della vita è solo una raccolta di raccolte, già abbondantemente premiate del resto). J,i pratica, è rimasto solo Piauolla, con Mia figlia è innamorata, il libro che raccoglie senza fatica otto voti sui nove e dunque si prepara alla fascetta e alla • glona •· Qualcuno telefona a Piauolla: « Vieni, il milione è tuo», gli dice. Ed ecco cominciare il «giallo•: tm improvviso telegramma di Ungaretti annuncia l'arrivo del Maesiro, intorno alla mez.zanotte. « Bene, aspettiamo Ungareltl >, si dicono i giudici. Chi conosce il temperamento del poeta può cap,re con quale stato d'animo la giun·a si sia disposta al suo arnl'o. Ungaretti arriva, leonino. « Chi avete scelto per la poesia? s, chiede subito; evidentemente il resto del Premio non lo i11teressa. • Piazzolla s, rispondono I giudici. Ungarem comincia subito a urlare: non Ila letto il libro ma questo non ha importanza: urla che se premieranno Piaz::;ollaconsidererà il fatto w1'utfesa perso11ale. Non ci si può discutere, l furibondo. « Questo sl che è u,1 poe:a! • esclama, t,rando juori dalla tasca le trottole d, Franco Cacciatore, un concor· rente già eliminato. S1 mgagg1a una vera e propria battaglia tra Ungaretti che dispreu..a il libro di Piauolla (. tropp< ~emplice, antiquato>, lo dt!(inisce), e qualcw1 auro che a su, volta toccato sul vivo, lo difende co11coraggio (specialme111< Sclriaflino e Jahìer). Alcuni gù1d1ci si sono spenti come candele dopo J, cerimonia, aspellano gli eventi e al più tentano di 111elle,, w1 po' d'acqua al fuoco; Repaci invece si scalmana e corri qualche mala parola. Ma Ungaretti è inflessibile: le s11t «chiusure• sono note a tutti, mentre il rispetto che lo circonda e il confornusmo che ci circonda tendono a fare 11suo gioco. Passano le ore, si avvicina l'alba e I giudici seg111tano, eroicamente, a battersi per la poesia. Ungaretti s'è mtestarduo per Cacciatore e non accetta compromessi. • Ma caro Ungaretti - gli dice alla fine qualcuno - non credo di essermi fatto 1·ecc/rio al punto da non capire più mente, Cacciatore l'abbiamo letto tutti e 11011 abbiamo capito mente a, qul!l e/re dice. Lasciamo da parte Piazzolla, per il momento ( 1( nome solo fa schiu.are fuoco dagh occhi del Maestro, e desiderio comune è di rimettere in circolazione, anche vista l'ora la normalità e le buone ma,uere) e dato che lo sostieni tanto, apri il libro e spiegacelo. Può darsi che tu ci illunum ». Non voleva essere un tranello, 11101 piu, solo 1111 modo di spegnere l'incendio ungaremano: eppure diventa un pOz<.od1 rasoi. Ungaretti apre • Lo specchio e la trottola•, legge al suo modo ruegente una strofe, e tulli aspetta110 il commento e la spiega:::.ionecon deferente curiositd. Ungarelli prova a spiegare ma si impappina, si capisce chiaramente che 11011 sa da elle parte cominciare. I giudici ripreudono fiato: ti Maestro lo pude. Cacciatore Ila perduto il 1111lio11e. Ma lo ha perduto· ormai anc:he Piazzolla. Che la giuria abbia votato poche ore fa a suo favore, con otto su nove voti, sembra wt avvenimento g,a lontano nel tempo. Ricomincia il piccolo cabotaggio delle amicizie, nella stancheua generale, e all'alba w1 poeta già scartato e dimenticato viene « ripescato » con l'amo a nol'e 1mnte arrugginite c. disposto sul piatto della cronaca. 11 hucolico Volponi si ritrova ad avverare l'antico proverbio che dice: tra i due litiganti il ter;zo gode. La storia no,i è finita. Nel pomeriggio seguente U11garett1, nerissimo e stancliissirno, esclama guardando i preparativi per la festa della premiazione: « Per me non è una festa, è w1 funerale s: inflessibile, irriducibile. E sparisce poco prm 1a che arrivi il Nobel Quasimodo, clic si siede al tavolo della presidenza. Per concludere con un'ultima indiscrezione, l'a,mco m'assicura che quest'altr'anno sara (.}uasunodo a presiedere il « Viareggio», a meno che 11011inten•engano farli nuovi e sin qui imprevedibili. /l •giallo• viareg2ino è finito: ora tutto è pace in Vers1lra.

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