la Fiera Letteraria - XV - n. 21 - 22 maggio 1960

~uando in \'.Ìsta ~ella sponda sicula tt avrà spinto il vento e s1 apriranno lontane le barriere del Pelor_o angusto, farai vela alla terra di sinistra. ~enE:ndo_11 m~re a sinistra in lungo giro: èvita i lidi, il_ r:1~ch10 deµ onda alla tua destra: sono luoghi d1v1s1 da un antica rovina, dal cedere fondo d!,?I suolo: che già unh·a una terra continua; venne v10l~nto_ 11 mare nel mezzo e strappò iJ lato siculo dall Italia e campi e città ruppe e sommerse e. per la stretta voragine alte corsero le onde: d1 tanto può Questa forza lunga del tempo mutare volgendosi l'aspetto alle cose. A destra Scilla; a sinistra di contro Cariddi vorace assorbe dai gorghi profondi i rapidi flutti e infranti poi li rigetta dal baratro in alto sferzando con spruzzi marini le stelle remote. Da una caverna tetra Scilla nascosta si sporge c~l volto sul mare e trae con lo sguardo le nr••i !1gura umana e un seno bello di vergine, 11_ corpo da_i fianchi si cangia in ventre di lupi, s1 attorce m code squamose. mostro immane. I\legho sara circondare in corso più ampio il Pachino con l'alte sue rupi. anziché sotto J'antro vedere l'incanto funesto di Scilla defonne e l_a roccia cupa sempre bottuta da ululi tristi. Poi. se qualcosa di giust-0 io ,·ate pre,•edo e di certo se l'animo Apollo mi colma di ,·ero. io predico • a te, prole divina. una cosa che valga per tutte. e mònito sia che t'invada continuo la mente: adora la grande Giunone su tutte le dee, sempre Giunone sia nei tuoi ,·oti, potenie signora. e neUa tua v~: con supplici doni commuovila: così. vincitore, potrai finalmente. salpato di Sicilia., toccare i confini d'Italia. E_ l_à perv~nuto, presso l'arce di Cuma, al Jago d1vmo, all Averno che suona del sacro respiro delle foreste, andrai a visitare la delirante profetessa: che dentro una rupe profonda canta i fati. e voci e parole affida aUe foglie. ~ quando su foglie la vergine ha scritto i destini. li aduna per ordine, e poi li abbandona nell'antro opa co: e restano immote parole, in disparte. !i.la se lieve all'aprirsi dell'uscio un so!Iio di vento pen etra. e turba le tenere fronde, essa non cura di ricomporle, e lascia nell'ombra dell'antro volare il vaticinio. Allora deJ vano, sconvolto responso la gente si parte delusa, con rodio nel cuore per la Sibilla. Una sosta conviene breve di tempo a te, benché il grido levino al mare i compagni impazienti di aprire le vele al vento propizio, perché tu possa in preghiera salire all'oracolo: parli una volta in persona, schiuda la bocca e la voce. Dirà le tue guerre future coi popoli italici, quali affannì tu debba scansare, quali patire: dirà, venerata, come tu compia il cammino sicuro. Questo, non altro svelare mj è lecito con la mia voce. Va'; e porta coi fatti la grande Troi3 alle steBe >. lL COi\Ii\IIATO Dopo queste gravi e amiche parole il ,·ate comanda che siano recati alle navi doni guarniti d'avorio e d'oro scolpito; fa chiudere dentro le stive una grande massa d'argento e vasi preziosi ed una lorica d'aureo triplice !ilo tessuta e di squame. e un elmo crinito. adorna galèa. quella che armava Ncottòlemo. E doni riceve anche mio padre: aggiunge cavalli, guide aggiunge alla via, fornisce di remi, di attrezzi, di ciurme il na,;glio. Intanto ordinava d'issare le vele alla !lotta Anchise: di romper l'indugio al vento propizio. Eleno indovino gli parla con molto rispetto: e Anchise, che degno di nozze superbe con Venere fosti: tu caro agli Dei. salvato due volte dal crollo di Troia. ecco a tua vista la terra d'Ausonia; a questa sia fenno lo sguardo, m.a non per i;barcarvi: trascorrerla devj radente in lungo giro di mare. La· parte d'Ausonia che Apollo ti svela è lontana. Perché v"intrattengo parlando: se il vento si leva?>. Va', tu felice per l'alta pietà di tuo figlio. Andromaca, mesta anche lei de.I congedo supremo, reca vesti di filo, dipinti in aurei trapunti, una clamide frigia ad Ascanio. lo colma di drappi. ne cede in doni ad Eleno, e unisce taU parole: e Questi, fanciullo, anche ricevi: li sian::, ricordo delle mie mani, un segno del lungo amore di Andromaca sposa di Ettore: prendi gli ultimi doni dei tuoi. tu del mio Astianatte per me unica immagine: come te lui moveva lo sguardo, e il viso e le mani. ed ora con te fiorirebbe, a te lui eguale di anni.> Ed jo sul partire dicevo con occhi di lacrime: e Vivete felici: a voi tutti la sorte è compiuta. Per noi senza requie, incostante, si muta il destino. Voi trovaste un riposo, nessuno vi spinge sul ·mare, voi non dovete inseguire i campi d'Ausonia. le terre che sfuggono sempre ai voti dell'animo. L'immagine voi dello Xanto, qui Troia vedete: questa, rifatta da voi con auspici più lieti, io spero. e meno esposta dell'altra alle insidie dei Greci. Se mai riuscirò navigando a raggiungere Il Tevere, a toccare le terre che il Tevere bagna vicine. a veder finalmente le mura che il fato consacra all'errante mia gente. un giorno di queste città sorelle, di questi due popoli, fare~o un•~~ ~roia nel cuore; sia questo il dovere dei nostri mpoh. > VERSO L'ITALIA E andiamo radendo per mare i monti Ceruani. vicini; di là per tlt.alia è brevissimo il viaggio marino._ Il sole intanto declina e viene la sera di monti. Ci stendiamo qua e là, dove asciutta è la riva:: estratti per so rte chi deve restare alle navi, alla cura dei re.mi , e dato ristoro alle membra. . stanchi dormia mo appoggiati alla terra che offre nposo. Non era nel mezzo del cielo ancor giunta la notte: Palinuro si leva, e vigile esplora il c?rso dei venti, porge l'orecchio a ogni soffio de~'3na mutevole; guarda le stelle scorrenti nel taCJto cielo, Arturo, le Iadi piovose, iJ gemino C:arro de_ll'Ors.a e Orione che d'oro ba la spada. E poi che gh sembra tutto posare tranquHlo nel cielo sereno e ne_l mare, va su la poppa e manda un alt? segnale d1 tromba: leviamo in !retta Je tende, partramo a_ vele spiegate.. Di già tramontate le stelle l'Aurora Ungeva . 11 cielo di rosa, quando vediamo monti lontam velati di nebbia e sorgere bassa dal m~re l'Italia. L'Italia ci addita Acate ~r pnm~, . l'Italia i compagni salutano in gndo di giubilo. Le lllU5trazlonl df questa e dell'altra pagina sono tratte da un blocco di schizzi di Eugenio Dragutesco, frutto d'lDl suo recente viaggio ln Greda. Esae sono Ja « lettura » moderna di frammenti dl capolavori classlcl conservati a1 Musco d.l Atene. L~ FIERA LETTERARIA Domenica 22 ma1?:tio1960 In vista delle sponde italiche L ì.\'GO LA ICILL\ Il comando di Elena e Scilla e Cariddi ammoni,·ano di non ,•olger la rotta a quei varchi ,·icmi di morte· allora decido di volgere in dietro le ,•f."'le. i\Ia Bòrea soffia a nostro soccorso improvviso dall'angusto Peloro: oltrepasso la foce del fiume Pant.agia. che s"apre tra vtve rocce y,nora. Anchisc cinge di fiori un calice largo. lo colma di vino, e in piedi levatosi a poppa. si volge ai Numi cosi: e Voi che. d el mare siete i potenti, divini signori, e cosl del.la terra, e dell'alte nere tempeste: fate c he il vento ci spinga sereno per facile via! , Crescono i sofii del vento invocato, e si scopre il porto vicino e .il tempio a Minerva sul monte. Caliamo le vele. volgiamo ai lidi le prore. Ad arco il porto s"incurva. sicuro dai flutti di Euro, le rupi di fronte spumeggiano in sabo fervore, scogli turriti che in basso distendon le braccia simili a duplice muro lo coprono ai laU e indietro il tempio scompare alla vista daJ lido. Qui vidi, e fu certo un presagio, quattro e3va1Ji di niveo candore che l"erba del campo pascevano. Anchise ora dice: e O terra ospitale, guerra tu porti; s'armano in guerra i cavalli, minacciano guerra: ma sogliono pure venire al carro aggiogati i cavalli, e al giogo e al freno piegarsi concordi: speranza anche di pace.> li santo Xume adoriamo di Pallade armata. che prima ci accolse esultanti. e dinanzi agli altari veliamo di porpora frigia il capo, e secondo il monito grave di Elena brucia.mo le offerte prescritte -al.l"argiva Giunone. Compiuti di sèguito i voti solenni per ordine, volgiamo sùbito al mare le antenne e le vele, lasciamo i campi sospetti e le case dei Greci. CARIDDI Ed ecco si scorge il seno di Taranto Erculea, se vera è la fama. s'innalza di contro iJ tempio a Lacinia e l'arce Caulonia, e Squi.l.lace rischiosa alle navi. Allora ,•ediamo lontana sorgere l'Etna dal mare. sentiamo il fragore dei flutti contro le rupi. il suono rotto del lido confuso di voci e l'onda che sale dal fondo oscura di arene. Il padre Anchise gridò: e Quella è certo Cariddi: ecco la roccia. i sassi orrendi predetti da Eleno: ai remi, compagni, fuggiamo!> Obbediscono a gara: Palinuro piega a sinistra la prora stridente e tutti coi remi e le vele piegammo a sinistra. Un cortice curvo sorgendo ci sbalza nel cielo e in giù ricadendo ci spinge ai fondi d!!I m:are: sentimmo tre volte un latrato per::uotere l'antro. vedemmo tre volte la spuma lanciata nell'etere, vedemmo di gocce marine grondare le stelle. Finché il vento posando si lascia stanchi al ira.monto. L'ETNA E approdiamo, come sperduti, alle rive dei Ciclopi. Al riparo dei ,,enti è un porto d'ampia quiete. ma là. da rupi orrende. tuona a tratti l'Etna alta che getta neUa furia celeste una rapina nera di turbini. un fiato di caligini, e di fu.lgidi giri un'arsa cenere: a tratti versa divelto fuori del monte il viscere fumido. accende l'aria di pietre vorticose e di massi liquefatti. innalza agli astri l'infiammato sibilo e tutto il grembo fondo al flutto fervido trema. E' questo forse il grande respiro di Encèlado, il corpo antico dal fulmine piegato, quando la mole ingente dell'Etna qui lo ricoperse: la fiamma del suo petto esce per le crepe larghe del monte: a1 mut arsi dello stanco lato la Trinacria ardua vacil.la e il fumo turba il cielo. Ci nascosero i bosch i per tutta la notte. lunga d'ignota paura e di strepito: l'ombra impediva alla vista la causa del prodigio immane. Non c'era splendore di steUe, non brillava la sfera dell'etere: ma un cielo oscuro di nembi e una notte deserta copriva la luna. ACHK\1ENIDE Sorgeva il mattino del giorno seguente. l'aurora aveva disperso l'umida ombra dei cieli, quando una slran~ ignota figura di uomo, squallido, smunto, stremato v~en fuori dai boschi verso la spiaggia, con mani distese e noi supplicando. Attenti guardiamo: orrendo lerciume, la barba gli copre il petto. indossa un mantello cucito con spini: ma greco nel resto, di quelli che furono a Troia. Come dde lontano le vesti e l'armi dardame, esita un poco atterrito. e si ferma: ma poi si precipita al hdo piangendo e pregando: e Io vi scongiuro per l'aria vitale del giorno e le stelle celesti. prendetemi, menatemi via, o Troiani, ovunque volete. Questo solo mi basta. So bene d'essere un greco. di avere assalito con l'armi i Penati di Troia. E allora, se l'odio del crimine è questo, si grande, squarciatemi e ai !lutti sperdetemi immensi del mare: se devo perire, almeno sarà per mano di uomini.> Cosi dice; ci stringe le gambe, si attacca ai ginocchi e si torce. Vogliamo che parli. ci dica qual'è la sua stirpe e confessi quale sciagura lo turba. Anchise porge lui stesso la mano a quel giovane, gli calma il dolore dell'animo con pegno sicuro. Caduta oramai la paura quello incomincia: e A Itaca nato, sono un compagno di Ulisse infelice. di nome Acbemen.ide. alla volta di Troia partito soltanto perché mio padre Adamasto era povero (e fosse per me quella sorte rimasta per sempre!) I compagni fuggendo paurosi la soglia crudele, qui mi lasciarono immemori, nell'alta caverna Jà del Ciclope: una oscura caverna, lorda di marcia e di cibi cruenti, tutta fosca all'interno, immensa; Jul a.Ilo, che sembra toccare le stelle col capo, (O Numi. levate da terra una simile peste!) a guardarsi terribile a tutti, a parlargli intrattabile. Io stesso lo vidi spezzare contro la roccia due corpi dei nostri con la gran mano, supino nell'antro, e il sangue inondava le soglie; lo vidi mangiare io stesso le membra dei nostri intrise di sangue e romper coi denti gli arti ancor palpitanti. Oh. ma non fu impunemente: ché l'empio delitto ~Il;:~~ ~~~u~ 0 ~~ròq:ef ~is~o st :1~r~d~em~;emo. Appena chinò la cervice, ripieno di cibo e sepolto dal vino si stese lungo nell'antro sangue eruttando nel sonno e pezzi di carne mischiati a1 vino cruento, noi, scongiurati gli Dei. e assunto ciascuno suo compito in sorte. insieme gli fummo di sopra e un palo aguzzato piantiamo nell'occhio, unico, enorme sotto la fronte torva: simile a scudo rotondo o al globo lunare: cos.l vendicammo le misere ombre dei nostri Fuggite. o infelici; fuggite, tagliate le furi:i: ché grandi d'aspetto, feroci come lui Polifemo, che il gregge lanuto chiude nell'antro e lo munge, altri mille Ciclopi nefandi stanno sul lido qua e là, ed errano sparsi per l'aite montagne. E' apparsa in cielo tre volte piena la luna da quando io vivo nei boschi fra tane e covili di belve e scorgo Ciclopi montani temendo il rumore dei p3ssi e la voce; misero cibo. bacche e dure corniole ed erbe e radici divelte mi pascono e rami. Ogni luogo esploravo, e la cosa che vidi per prima fu questa flotta approdare: a questa mi sono affidato pur senza sapere chi foste, se amici o nemici: mi basta fuggire lontano da una razza nefanda. Uccidetemi: son pronto a morire di morte qualsiasi.> POLIFE:\10 Aveva appena parlato quand'ecco vediamo dal monte scender col gregge. movendo la ,-asta sua mole. verso rusato soo lido Polifemo pastore: immenso orrido mostro deforme cui rocchio fu tolto. Un tronco di pino lo regge e orienta i suoi passi: lo segue il greg~e di pecore: non altra dolcezza gli resta. non altro conforto al doler.?: ,·iene alla riva. s'inoltra net mare a lavarsi la fronte, il sangue del1°or b1ta vuota. gemendo e fremendo. E' già in mez.zo al mare. e l'onda gli lambe i ginocchi. r-.ta noi d a lontan o tagliamo le funi, a!frettiamo la fuga in silenzio col supplice accolto per grande suo merito. e il mare solchiamo curvandoci a gara sui remi. S'avvede il Ciclope e insegue il suono di voci brancolando; ma nulla potendo afferra:-e con mano né la corrente marina eguagliare inseguendoci. manda un ululo immenso: il mare intero ne trema. ne trema atterrita la terra d'Italia. e risponde da fonde caverne il boato sordo dell'Etna. I Ciclopi chiamati dal grido fuori dai boschi e dai monti corrono al porto e affollano i lidi. Invano stavano erti col torbido sguardo i fratelli etnei, le teste elevando ai confini celesti, orrida turba: stanno cosl con le vette nell'aria sublimi le querce dei boschi alti di Giove o i cipressi coniferi nei sacri orti di E.cate. L'acuta paura ci spinge a scioglier le gòmene, a tender le vele alla fuga ovunque il vento ci porti. il golfo di ~tègara e Tapso su ba_!'-sape111sola· ~c!si1::~. 3 pe;~~~~-e~rde~i~i;~p~;nosr~~ra~i~se infelice. Protesa nel golfo Sicanio un'isola J?iace_ d~vant1 , al Plemurio battuto dol mare: gli ant1ch1 la dissero Ortigia. Qui. per le vie sotto il mnre n3~coste. Alfeo fiume dell'Elide. giunse. che orn s1 mescola. o Ar;tusa. per la tua bocca ai Sic_uli flutti. Veneriamo i Numi del luogo. Quindi oltrepasso la pingue campagna che inonda l'Eloro al~a foce. rasento le rocce, i sassi che tende 1I Pachino. Camarina scopro lontana. che i fa~i non voller,., che mai si movesse. e i campi det Gèlol e Gela che prende suo nome dal fiume impetuoso. L'ardua Agracante ne mostra da lungi le. m_urn turrite. terra un tempo nutrice di cavalli ma';llamm1. :\IORTE DL Aì'iCHISE E il vento mi allontana da te. dai tuoi alti paln1eti, o Selinunte: sfioro le tecche dure tra ~li occulti sassi davanti al Lil1beo. e poi mi accoghe il porto di Drepano, e la sua spiaggia triste. Qui, da tante lunghe tempeste i:narme ~osptnto._ \•idi. ahimè. sparire mio padre: 11 \"ecch10 Anch1se, solo tra le rovine caro sostegno del dolore. Qui. o padre mio buono. mi hai lasciato stanco, tu inutilmente strappato a tanti pencoli. Né 11 vate Eleno guardando all'orrendo futuro mi svelò questo lutto. non Celeno feroce. Fu questa l'ultima delle mie sventure .già quando al mio lungo errare s1 appressava la f1~c E partito di là, sui vostri lidi un dio m1 sospinse Cosi il padre Enea. mentre tutti ascoltavano. narrava lui solo i destini voluti dai Numi. e mostra,•a il suo grande tragitto. Qui mise fine al raccanto e tacque. e posò. traduzione di EX'.ZIO CETRAi.~GOLO ( Propr.ietd letteraria ri.servat.a. R1produz1one. anche par– ziale rigorosomenfe vietato). UNA HllLETTURA * 1l Pascoli dei "Poemi conviviali" I Po~un conviviali hanno interessato in questi ultimi anni alcuni critici, e il giu– diz.K>sul loro ,•::ùore accen– na a mutare: si tenta l'in– lerprctazione di qualcuno dei poemi. e di opporsi al giu– dizio negativo che risale al Croce. Molli studiosi ha avu– to il poeta in lingua latina, anch'esso rie\·ocatore di una anuca civiltà: lo studio del– le opere pascoliane meno no– te credo possa contribuire al– la formazione di una nuova fisionomia del Poeta, diversa da quella assai nota e in parte convenzionale. li giudizio dc.I Croce sui Conviviali, e cioè che si !rat– ta di e frammentini delicati• e nulla più, è superato, co– me superati gli attl d'accusa della Ronda che il Croce si ,·antava di a\·ere coi suoi iiu– dizi im'Ogliato ad aprire un referendum sul Pascoli (e fu– rono più i rifiuti dei consen– si), come si vanta\'a d'aver fallo mutare il parere di no– ti critici del tempo. Altra accusa fu quella di essere aueggiati a una e fal– sa compostezza classica•. e - la più ins1Stcntc oggi -. l'accusa di descriuivismo. Sì, ci sono dei poemi da cui si possono scegliere dei passi belli, mentre nel com– plesso non suscitano VÌ\'Oin– teresso.: più che cli dcscritti– vismo si potrebbe parlare di un dHTondcrsi stracco in par– ticolati poco significati"i; ma la pacatezza di accento, frut– to di una particolare ispira– zione e ru coscienza di arti– sta non può dirsi simulata per ottenere il "anto della classicità. E' questa un'ac– cusa immeritata. é mi pare si possa chia– mare erudizione l'eco secon– do la sua sensibilità di poe– ta di Omero e di Platone, per nominare gli autori che più !"ispirano. Come nacque 1a diceria che il Poeta fa sfoggio di crudizhme? Ché dove non c'è fondatezza non si può parlare di giudizio critico. Tutti i poeti insigni (e an– che i prosatori), esigono un commento, come sappiamo. né si può pensare di capirli in pieno senza l'aiuto dell'an– notatore; qui torna opportu– no lamentare la preferenza che oggi si dà alla pubbli– cazione dei classk.i privi an– che delle note essenziali, ol– tre che J3 mancanza di una antologia pascoliana ricca di poesie poco note e belle, munita del necessario com– mento. Staccare i Conviviali dalle altre opere poetiche del Pa~ scoli che hanno l'impronta della creazione porta a ve– dere io essi la estenuazione del senso vitale e non il co– raggio dinanzi al destino cli morte, i cedimenti dello sti– le e non la persistente ricer– ca di un linguaggio poetico personale, porta, di conse– gOenza, a non cogliere in pieno il vaJore di un can– to qual'è quello pasc.ollano, vario e uno nelle sue diffe– renti modulazioni. Si parlò (e ancora si par– la), a proposito dei Convi– viali, di un presunto consen– so del Pascoli all'estetismo che fu pro5tramma del Cm1- v1to di De 8-0sis. Ma se i tre primi poemi conviviali com– posti ( e Gog e Magog •• • AJc~ xandros •, e Solon •), li pub– blicò nel Convito (1895), se pubblicando il volume (1904) lo dedicò al De Bosis, e fu in relazioni cordiali con lui, non v'è ragione cli credere che aderisse al suo indiriZ2.0 letterario. Sfogliando la rivi– sta si può vedere quale posi– zione a parte gli spetti. Se :v{enna in qualche lettera o altrove di consentire, cosa che non so, non può essere che un consenso formale, una cortesia. Nella prefazione ai Co11- viviali, citando un passo del e Proemio • ai primo numero del Convito si stupisce di es• ser chiamato a collaborare; * di ANNA l•'UiUAG.\U I afferma la sua personalità di poeta che canta le delive della \'ila semplice, e biasima la sete per\"crs.a che crea J'immicizia tra gli uomini, mentre e la poca gioia che può a\'cr l'uomo è nel po~ CO.. La prefazione ai SUOI versi di ispirazione epica e filosofica è • senza gaie e sen– za fanfare•• nei Conviviali non "'è nulla che suoni con– senso al dannunzianesimo. A\'er sentito, oltre che co– nosciuto, la corrente deca- ~jgif~staJ)CJ"Ò,u~ft~ Js:m:,i: realtà del vivere, al concre– to immaginare), è un preiPo della sua poesia, in quanto trova rispondenza nell'anima dell"uomo moderno: ma quel– la forma di estetismo aristo– cratico e snobistico non è neppur lecito attribuirla a chi amò dirsi poeta contadi– no e volle vh'Cre solitario. Forse la sua dizione raffinata e il gusto della favola bella fanno pensare più agli elle– nisti che ai poeti decadenti (quanto parnassiani e qua~– to decadenti?), e le audacie della dizKme paiono sugge– rite più che da loro dai poe– ti greci e da Vir~lio, perché, come sappiamo, 1 classici gli erano familiari e componeva, contemporaneamente ai Con– viviali, le antologie E..pos e Lyra, e i Carmina. L'autore dei Convlvrali è un poeta romantico. che è quanto dire moderno: ed è da porsi tra i classici per la purezza del suo linguag~io poetico, quella purezza in– tendo dire che si amm,ra in gran parte delle Myricae. Nelle sue altre raccolte ci sono belle poesie: ma nessu– na ci darà copiosa messe quanto quelle due. Se cerca di esprimere il suo complesso senso di vita at– tra,·erso fuggevoli sensazioni, e pcritosamente, non mi pa– re si possa dirlo poeta del– l'indeterminateZZ3, e tanto meno metafisico: come sia la– tino sùbito s'avvede chi ac– costa i suoi versi a quelli di poeti stranieri (cd ecco che. di recente, la critica si vol– ge a studiare il suo rea!P,. smo); l'enigma è nelle cose rappresentate. di cui vede l'c ombra immensa,, e meno nel suo linguaggio. E' vero però c.he su molti suoi ,·ersi biso gna i ndugiare e riflette– re, e non basta una lettura affrettata. Perché mira ad esprimere, per mezzo di immagini, la vita dello spirito nella sua eroica ricerca dell'amore e della conoscenza, l'hanno giudicato nebuloso. e più de– gli altri poemi ~ parso oscu– ro • L'ultimo viaggio•· Ma il poeta dei Conviviali non è oscuro a chi lo segue con amore, e illumina la poe– sia delle Al) 1 ricae (e belle myricae sono comprese ne.i Canti di Castelvecch10J, spe– cialmente quelle liriche che in un paesaggio chiudono un simbolo, cosl fuso con gli aspetti rappresentati che, do– ve non e•~ parola di com– mento del Poeta, un lettore frettoloso o poco esperto del suo linguaggio non. se n'av– ,·ede. ln quesle liriche ìl sen– timento è intenso e profon– do, mentre in molte poesie del Pascoli è una sensibilità più superficiale e più a:cne– rica. Al lamento d'amore delle stornellatrici che torna più \-'Ohe nelle Alyrica.e in versi bellissimi. a volte di po~ lareggiante sprezzatura, n– sponde la delusione amorosa di Odissea, anch'essa come quel lamento resa più sug– gestiva dagli aspetti della na– tura che creano l'ambiente del dramma. E il pianto di amore di Psyche. E' vano cercare il sentimento d'amore nelle poche liriche in cui H Poeta lamenta una sua de– lusione amorosa: se pur pro– vano la sua esperienza di vi- ta, sono pri\·e di suggestione. Quegli stornelli, imece, la saffica di e Solon •. • Psyche •. e rep1wdio di Circe. ne •L"ul• timo , :-aggio• espnmooo m pieno il l>Cfltimenio di amo– re car:ltteristico del Pascoh, l'amore che si rimpiange e quello che si spera. uno. de~li aspetti del suo senso d1 \ Ila app3ssionato e triste. A quelle celebrazioni del– l'amore erok:o fa riscontro, su altro piano, il dram~a ar– ditamente immaginato m cD1· gitale purpurea•. I miti dei Co,1viviali dcri– \'ati dalle favole antiche SO· no da lui inventati non me– no dei miti creati nei poe– meui più drammatici: e Il naufrago•, e [I mendico•.• 11 cieco•• e li torello•, e adom– brano l'intensa vita dello spi– rito, l'enigma dell'esistenza. li e colore Ji lontananza • gli ha fatto infondere vita ai protagonisti come non gli riu– sci di fare. in genere. per f~~ocr:io:r'e ~~~u 1:~{"J;oe~1 1 1~ d~l Risorgimento. I miti idea– ti per questi eroi sono so– vrapposti e non nati con loro nella sua fantasia, e la dia– lettica ha il sopra\'\·ento sul– le immagini ora poco nitide. ora poco geniali, inceppate, si direbbe, d31Ja realtà con– tingente. Le ra,·ore di Odissco. di Achille, di Ps\·che, dell'Etera, ~fon 5 ec 0 Sia,i!~anJnita~e dice~~: n~giatura, che la prescn:ia dc, protagonisti è astante, v3.le a dire quale è in una \"icen da in atto: l'immagine loro nacque in lui insieme con la sua pena d'uomo che, amando la vi1a, i! destinato a morire, cd egli fu tutt'uno con loro. e Chi pinge figura, dice Dante, se non può esser lei, non la può porre•. Il rimpianto leopardiano per le e candide ninfe• e l'c arguto canne•··· • d'agre– sti Pani • è nel Pascoli, ma più assai è in lui una passio– ne per la poesia greca che di– \'en1a necessità di ri\"iverla nella fantasia e secondo la sua sensibilità. Egli celebra nell'3edo la poesia sponta– nea ch'ebbe. come suprema aspirazione, e celebra la poe– sia come dono divino. Si può cercare qualche eco di Ome– ro nelle .\tyricae, come ~ sta– to fatto, ma nei Conviviali gli echi della poesia greca ~~ d~ttcn~a~!!~s~!J~ù dir~:; poesia tanto moderna qual'~ quella pascoliana. Moderna più che per le sue arditeue verbali, perchè profonda nel– l'esperienza le sue salde ra– dici. li Serra vide la novità del– l'opera, e a coloro che la dicevano lontana dalla vita, rispose: e lo non so esempio di cosa {>iùmoderna che que– sta poesia•. (A. Grilli - Serra tra Pascoli e Pau:.im, Le Monnier, 1956, p. 29). Come la personalità del Poeta non si ,·edrebbe in pie– na luce se non si conoscesse l~ ~ìklt~ ~~~~~!ad; brividi e mesti presagi, non si può vedere in pieno se non si conoscono i drammi dell'anima assetata di espe– rienza e e non renitente• al suo destino. Tale il dramma di Odisseo, sviluppato in scene di com– media e di tragedia che ci ti,·elano un poeta ricco. ca– pace di conservare l'ispira– zione attra,-erso espedienti strutturali, quale le altre sue creazioni non potevano far prevedere, e di derivare d::ù mito tradizionale un simbolo più complesso: un esempio ci è dato dal suo mito di Circe de e l'ultimo viaggio•· Nella fa,-ola di Psycòc, che è pure, come quella del– l'amore di Odisseo per Circe, la storia dell'anima appas– sionata, le immagini sono tutte vitali nel senso che la resa quanto ad arte è com– pleta, e nessuna rivela uno sforzo della mente per adom– brare un concetto. Il ritmo Jegg1cro dei ,,ersi aswconda la meraviglia del prodigio, la so~pen~ione dcl– l':1nima. Chi non conosce o non mrcnde, ocne e Ps\-che • pub dire di .:onoscere il Poc1a? Non credo. Pur ne.Ila sua son egliata, fini~ima diLionc ha spesso carattere di poe– sia spontanea: è il capota,·o– ro della \·ena idillica dei Cou– ~wial1, idillio tenero e gra\e m cui il dramma quasi s1 di'.1-acerba. Mentre l'invenzio– ne delle voci segrete impe– riose e dolci &i;giun gc verità psicologica al mito tradiz.io – nale, la continua P.r esenza d i Pan aggiunge significato e vi– uci1!a. L'atmosfera che il Pascoli ha saputo creare a cfascuna , iccnda ideata rimane incan– cellabile nella mente, chè non ~i può pensare fuori di quel– lo sfondo: e il sonno alto del campo• e il pianto delle Ne– reidi ne • La cclra di Achil– le •• 13 \"OCC umana del mare ne e L'ultimo viaggio•. la e sacra ombra notturna • in e Sileno •• e l'eterna nebbia • ne • L'etera•· Altri poemi di s,-iluppo in– certo, in cui la jidascalia ha sviato a ,'Olte l'ispirazione, hanno un fuoco centrale che in parte li riscatta; tole !"ora panica di Omero ( e Il cieco di Chio•), la • sacra noue, di Esiodo (e Il poeta degli iloti •), l'ultimo colloquio di Socrate (e La rhctta •), il e plenilunio bianco• dei pa– stori magi ( e La buona no– ,·clla •}; e altri anwn.. Domina i Co,wiviali il sen– so del nulla che è la \·ila e la passione umana, anche la più intensa. e lo sconfor- 10 di non poter alferrarc le ultime ragioni del vi,·ere, ma un senso posilivo della vita è nelJ'esaltaz.ione della poesia. I suoi protaf;onisti banno modo semplia, parlano in tono familiare: gli eroi e\"a– dono dall'angoscia che li op– prime nel canto aedico. I I Poeta che forzò la sua natura quando volle cantare qu::ùchc impresa di guerra. nei poemi che rie,.-ocano fa– vole antiche dove la "oc.e ~ \·cramente sua, li fantastica nel loro aspetto di uomini, \·cde la loro :.1mana miseria. Basti ricordare la pietosa \li– sione di Odissea morto. L'ispirazione a cantare la {cbanri~o~~~ 5raffbe1fa s~ poco nota sulla delusione de– gli umili e Gli emigranti nel– la luna •), non gli è venuta meno nel cantare l'anima di ccc1..-zione,e per il suo scon– forto ha trovato immagini cteinc di essere conosciute da chi conosce solt3nto, forse. il cantore degli .ufctti fami– liari e della sua Romagna. Costruttore di miti intor– no a delle idee come De Vi– any, Keats, Shellcy, Poe, la sua im·enz.ione nei Cotiviv1aU è_ semplice e plausibile; non ~a~bnbo~n~f%~l~i:1~i o: ri filosofemi. Tanto e La mort du loup • di De Vigny quan– to e li torello• del Pascoli sono drammi della condizione umana in cui il simbolo si Bdcgua bene alla favola: que– sto accostamento fece Dome– nico Pettini (Preme.s(e pasco– liane in e Civilt~ :nodcrna • 1929, p. 258), ma, mantencn-'. dosi nel la scia del Croce, non osò apprez.zarc la novità di quei miti in cui il Poeta adombra delle idee in c:on- !.~!o d~n ~a 0 f~= 'ru~~~: ,-ia, citando versi di e Psyche • e di e li cieco di Chio• par– la di e castità figurativ3. che meraviglia • (La poesia del Pascofi, i\·i, p. 614)· se fosse ,-issu~o più a lunjt<)',studian– do di proposito I Conviviali. il suo acume critico !"avrebbe forse portalo a riconoscere il loro valore. Quelli che hanno accusato il Pascoli di abbondare di astratti. di \'erbalismo. non (conllnuia pa.a, 6)

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