la Fiera Letteraria - XIV - n. 7 - 15 febbraio 1959

Domenica 15 febbraio 1959 t~ FIER~ tETTER~RIA Pag. 5 SCRITTORI IN PRIMO PIANO GIOVANNA ZANGRANDI: Mariagr Cosi la ritrovai In una spedizione autun– nale per le provvista di legna da ardere; c'era scarsità ed alti prezzi in quell'anno. c'era una bolletta dannata nelle mie tasche. E vjvevo allora in una cittadina preten– siosa, alta e fredda; per rimediar qualche lire avevo affittato il meglio del mio quartiere ad una maestre (che però fa– ceva sopere di avere il Magistero e diritto al titolo di Prof.); era une donzella ineffa– bile, parolaia, saputa. aggressive E non riuscivo più a liberarmene E uscendo dal ricovero si vide che co– minciava e nevicare, ere novembre, già da giorni preparava bufera, ore pareva che une deità dei sacri s:lenz;, irata da tento fracasso, s1 \.'endicesse d; noi. In– fitU e fu scuro. ln mezz'ora lmb!.encò c~me e \.'allate e noi avevamo esperienw sufficiente per va– lutare che non era cosa passeggere. pote– ,·a continuare tutta notte o per giorni, enebbe sommerso e blocceto ogni cosa. Glova.nna Zanrn.ndl Avevo efflttata pure una camerette ad un autista, un regazzo men che ventenne figlio di una m:a em:ca Gio\"enntno. lui ;fu~o~av<!_ noie. -allatto. Se poteva deva Mar1egraz1e contl'8ttava e strillava, cor– reva dentro quel mullnere di Hocch.i, ten– tava di vendere tutto e "cappare in se– rata appena fatti t cenchi. Fuggire dalle vallette fonde, da quel loro accempamen– to ficcato giusto sotto una zona da levine. districarsi, salvare dal barecchino - e poteva diventare una tomba - tutta le paccotlglle delle loro vile, l'eslnello Bu– licci. Il cene. il gatto. le gambe flaccide di Silvestro A\'e\·o un regno una volta. uno stupen– do e favoloso regno tanto più perfetto in quanto senza sudditi. senza dignitari. sen– za cerimon:ali né partiti né codici. Un regno. dico, e non era inesistente o campato sulle nuvole, pur se alle nuvole arrivava, vi entrava dentro talora e le sfondava; allora i suoi imperiali palazzi a!fì.oravano più misteriosi ed eccelsi sul mare bambagioso dei vapori; solitaria re– gina. potevo affacciarmi dalle aeree ter– razze e cercare nelle isole che afflora\'a– no in tiro per quel grigio mare. Più spes– so. con i piedi a ciondoloni sul vuoto, ad– dentavo una mela od un panetto. Ere vasto ed alto il mio regno. al lim:te delle nevi perpetue, movimentato da ve– drette e forcelle, da guglie e spuntoni. Prima di essere mio era stato di uomini che vi avevano combattuto selvaggiamen– te od eroicamente, vi avevano lasciato crateri di esplosloni e città di baracche che le intemperie schiantavano pien pia– no. Ma alcune, le mie preferite roccaforti, erano encora intatte, con cuccette, strame e finestrelle controcielo, mensole e pan– chetti, cose solo apparentemente insignifi– centi: dicevano la vita ed inverni di uo– mini a quota tremi!A. Ma. a dire 11 vero, già allora. quegli es– seri non parevano della nostre misura e della nostra materia, quella loro guerra non pareva une vicenda vera o vicina a noi comunque, torse steva diventando leg– genda, non lo era ancora. ma si oscurava in un suo travaglio di trapasso, sospeso neU-erla irreale ed inumana di quelle roc– ciale. Passavano camosci vivi all'alba sulle cengie, con una fischiata salutavano. irri– de,•ano. Fuggivano volando per imperviì passaggi. Regina ero in quel mio :regno del Fo– rarne e delle Creste Bianche, segreto, non partecipato. non detto. Vi andavo quando qualcosa non funzio– nava in fondovalle, quando v·era da la– sciar laggiù noie, mellnconie, fatture, sec– catori in arrwo o cose del genere. Poi venne un·a1tra guerra. non favolosa, mi scaraventò lontana d"a quell'isola alta. Era app,:ma finite. ritornavamo, senza più cuore aJle favole. Avevo bisogno di chiodi per rabberciare quo.lche sfondata legnaia, pensai di andare e ricupero nelle barac– che del tempo perduto. Salivo verso une delle forcelle più a!!e, celcolavo di trovarne, arrancavo spietata per uno dei ghiaioni più impervii delle Aipi Orientali. Valicava quasi a quote tre– mila. sbuca ve sopra ampj valloni: ere bel– lo farlo in giugno, scendendo sul nevaio duro con un palo per freno. una discesa folle e facile che faceva fischiare le orec– chie per la fulminee perdita di quota. E si sentirono lassù colpi e schianti. ma– teriali gettali ed echi contro le pareti: abi– tato era dunque Il regno di un tempo. evi– dentemente da gente del ricupero. Questi del ricupero son come razza a sè, sangue di.ribelli o di selvatici hanno den– tro. de qualunque iona provengano. Sem– bra rlple20 da diseredali e tuttavia nei dooovu• .. rq t'ren de: milionari: rame e fer– ro, spolette e bosso~!. roto:i di fi?o e fasci di pali d. ferro sono la loro preda sul ter– reno dello guerra del ·15, come motori e gomme lo furono sulle scie di quest'ultima. Ognitento ne salte per aria qua~cuno. gli altri continuano neri e streppati dal ciarpame me1ellico. occhi avidi di cerca– tori nei visi bruciati dal sole d alta quota. Eccoli qui, dunqu~ forse i chiodi dove– vo cercar! altrove. E. mentre sostavo. uno S<'""'rr-!i;nl'n cl• e.h;11 1 e- mi fece guardare ,•erso la f orcella, poi un rumore più for• tf-><:: v.de una <"osuccia nera che ne scen– d.,., ... 1'. ,r-',.."' .. ~n a11Alc-osadi pesante che si mise a t·nn!re. sembra,ra una torm~ca n·· 11:~--I, ,.·,·;• ffd unn stecco dieci volte r •'"r.,..n r nuAndn ru p:ù bassa valutai ch'era una donna, vestita alla vecchia. :n , sottana• saltava per il ghiaione con agilità e tecnica dtt valligiano ventenne. Arrivò al mio sasso seni.e notarmi: scaraventò là il carico greve di pali di Cerro. Poi mi scorse. sus~ultò e l'ans!to non le dava pa– rola. al min bunn_a:lorno tentò un sorriso. una smorfia. C~i ci pre<:entammo io e Mariagrazia c: facemmo una sigaretta davantt a quel resc:o d cave'II di Frisia. arrotoJa,·e il tabacco lavorando con u ne mano sola. lecca,·a con cura fum1.wa pars:moniosa– men1e e distendeva a dagio !e labbra tirate e !:vide:. c--tpete dai sole spietato d .ilta quota D!sse - E una 1ona ancora buona. c·è roba. _ f'i ·o:• a1•~,. ,.... o:e dPl oenere. il dialetto la r:vela,·a r salita qul da zone prea:pine. E .:a)•.ova 9 ;• mndn per i 2h:e:oni. Lavoravano QU da un mese. le:. U ma– r:10 td un ve!"M1no •. il mari~" e.-a stato minatore ave\'~ ~là molta pussièra •· qui respirava meelio: certo :avnra,·a po~~- f,a niente. Ma gfù ~i curano la "pusc:1era • ne11e osterie RiurP,.<:i. QU; sono lontano le osfer-ie. almel'ln ouello Volevo dei ch'od? Ma che andassi su, be.stava dar fuoco alle baracche. re$taveno i chiodi ne:la cenere. E guardava :a cicca e due centimetri di cartina la spense e mise via. E non voleva prendere il pec– che.no, lo agognava e non ,·oleve ed in– f ine lo accettò. se lo andavo su e prendere i chiodi. io ero sua amica . darle un co– si merav:glioso pacchetto di iabacco Do– ,•e\'o andare e prendere i chiodi Sulla Forcella. de dietro un sasso dove sonnecchiava con t pledi poggiati al risuc– chiare del neyalo perenne. usci un ometto arrostito, disse lui pure scattanti parole su auel 1aharcn e s precipitò a cercare chlod:; c'era del vento lassù e faceva mu– Ln~.Ji d: pol\.·e1t: e di neve caduta qual· che notte aventi. poca e stramba come succede a volte in un tentetivo di bufe~a Tra mulinelli e rocclaie l'omino si muo– veva e raccoa:lieva chiodi, Marie.grazta scende,·e in picchiata dietro un altre, fa– scio di ferro. sotto si sentiva battere e scassare; certo il e germano• demoliva po– stazioni. Il sibilo del vento sulla forcella ormai estranea: e eh. ah. lo hai perduto il regno, regina con corone di chiodi vecchi ... •. Puh, infine ne hanno perduti di più grossi e im– portanti. E l'ometto mi portava il mìo secco ma– ledettamente pieno di chiodi. ere uno stra– zio quando parlava, al dialetto tronco del vallone prealpino eggiungeve il soffiare della respirazione difficile e lo sbattere gli occhietti arro...o:satled a tratti un risolino a singulto. Li ritrovai altre volle. cresciuti di nu– mero, con aggiunte di germani e di aiu– tanti, altra gente secca e lacera: caricava– no il ferro ammassato sotto Pra del Vec– chio su di un autocerro e con tutta disin– voltura tra I ciarpami gettavano pure sipe ancora e!flcienti. esploraveno con un cer– camine pittoresco dietro la Croda D'An– cona, gironzolavano esplorando la solitarie Val Trevenanzes. Tuttavia era sempre Ma– riagrazia la " copa •, lei correva e con– trattava e strillava. La rividi P,OCO dopo un'esplosione eh~ aveva maciullato uno dei suoi aiutanti, ere tanto avvilita che me la tirai fino ad un bettolina assurdo Installato tra lamiere E disse Giovannino una sere. - Ho già carioo.to diverse volte nella Val di Dentro; sembrano tartari o mongoli, ti– pi usciti da un fllm di indiani. Avevano accatastato rami per chilometri, prezzi de– centi. Se vt1ole. le faccio un camion do– menica, ci pensi: ne rivende mezzo e ci guadagna bene. Vuole' - Benedetto! E' un"idea - Mi entus!a– smei io. - Ma bisogne far presto, o non si ttove più niente. E' un arrembaggio alla legna quest'anno. - Tre giornl dt poi. a prim'elba, partim– mo col • Vent:sel • di Giovannino, filava e settanta sul filo di tornenti e di forre, ere un tipo quel raga:zzetlo, a,•eva vera– mente Il volante, la strade, il motore nel sangue. E la spericolotezza imberbe dei suoi diciannove anni. Sulla strada di quella velie boscosa cl tro\·ammo davanti un grosso "Tri-Ro •, certo diretto a legna e poco sopra romba– va un Alfa•. Disse il ragazzo: - Per tre carichi forse non ce n'è più. Se non mangiamo quei due bestioni, re– stiamo e vuoto, ci rimettiamo la nafte. - Quella strada era una via militare del '15 col cartello "transito non garantito•, Gio– vannino passava impavido su pontili mar– cl e svolta,•e senza manovre nelle cun·e Con i ciuffi lmb:anch,tJ e le mani impa· state di resina ci affanna,·emo a fare I carichi. Giovannino incastrava rami su rami e dava o.I .. Ventisei• Impalcature da torre. Mariagrez.ia alternava ordini. an– dirivieni. comandi di menoVTe. saltava su per gli autocarri. vola,·e giù a legar fa– gotti e coperte. paioli ed attre:zzl. Quando I nostri padri Unni leva,·ano il nomade campo era una faccenda del ge– nere, penso. gli irti • sepin • nostri come le aste loro: ma i destrleq annitrenti Qui erano solo Bullccl. del suo metro e die~i di altezza cacciò un ra~lto desolato e ven– ne in scene con la frangette lnne,·eta che gli scolava sul neso. Mlarlagre.zie pia· gnuccolò: - E adesso. con quelle bestia Ji. uno di noi deve andare a piedi fino alla ferro– via. Ci si arriva all"alba tn stozione, con quella bestia Il. - E si poteva star certi che tutta le tribù. alutenll. germani e con– sorti. sarebbe montata sui carichi. nella neve e tapinare con Bulicci. per tu11a la notte forse. ci sarebbe rimosto lei. Dondolandomi ad une corde del cerlco Anni di vita alpina * di ALBERTO BEVJLACQUA e ••• 1Yon inten do assolutamente di re• srare sempre n.el mondo chiuso delle vallate. di sentirmi dire ·• scrittrice ca– dorina ", lo. 01:.tttosto nomade e di un ceppo familiare quanto mai mescolato. amo ii Cadore come l'unico paese in cui. slo bene e dot•e i.ntendo. lascia-re le ossa, ma confesso che mi spiace l'abitudine di inquadrare uno scrittore nella sua limitata prot:incia, di ficcarglielo e di imporgli quasi: "adesso non uscire di li. ti ho fabbricato cosi e se provi ad essere solamente italiano ti faremo a striscioline" ... •· tiua frattura c~n U mondo professio11ale in cui !a scrtttrice at·era compiuto il suo esordio into?llcttuale. La Zangrandi partecipò alliuamenfe alla Resistenza ne/l'atmosfera ostile di t•allate filo-na.:i.srP e. ricercata per que– sto da.i tedeschi, riparò jn Cadore. dot•e t•is.'ie facen<fn .a,,•ariati e duri mestieri. Dopo la guerra. prou1•ide alla costru– zione di e Rifugi,;, Antelao • nell'omo– nimo gruppo ,. ln ge.ottì rlirettamenle fi– no al 1949. ,\'el ·so. Gi.ot•anna Zangran– di dd alle stampe il suo primo libro: , Leggende de''e Dolomiti>. apparso nelle edizioni .. Ero,ca •· SegÙe. quauro anni dopo, , l Br•1M..: •~ tin romanzo che. ancora inediro. s-, ebbe ,1 e Premio De– kdda • e fu poi presentaro da Monda– dori nella e :'1-?dusa dcoli Italiani•· Sempre n('lla e ',fedusa • la Zangrandi ha pubblicato. 111,.•l 1957, e Orsola nelle stapion1 •· Le p7C1Ìne che presenliamo nella nostra ra.J.1~ ona ripren dono un po' l'ambit•nt<' di un roman.zo. ancora rne• dito. che ha int.·o,11rato mo lte disavucn- 111r<'e<fiMrin 1 i e nl quale l'autrice tiene particolarment~. lnrendtamo parlare di e Campi cl<'l fiore rosso>. una storia che proponr. $t•nza :ilr-u.11 riserbo. la vicenda aurnbioarofiro d1•1l~ Zangrandi. intendimenti e l.:r -nlsura e~ressira con i q1tali. la Zan9ranrli ci condurrà sotto i molteplici cie:, che hanno il/uminaro i suoi ripetuti. nosialpici spostomenrt. Si noti come µt?rsrno lo stile - con le sue fratture nllusivc, con quel StWflO schieri() - contribuisce i11tenz1onalmen– h1 ad incidere la fiqurn alla maniera forte. La penna ;. ;,crcorsa da una linfa sana ed esubergnte e in ogni pagina sosra a rifinire 11 quadro. con una spe– cie d1 pazren.:::a artigianale. Come non pensare infalti. legqendo di certe figure della Zangrandi, a quelle sculture in legno uscite da:1._. mani di certi artiqia– ni dr monte. eh~ trovano la loro ispira. zione 1n robuste e sagge tirale di pipa e in cordiali bevute di grappa? La sim– bolica. fantasio.~a ironia che colora per– sonaggi come Celeste e l'omino. ha le stesse rinre dt 1angue caldo che si ntro. uano sulle facc:r n.i.bizz-e scar•ate nel legno da quei montanart di razza. E' un'ironrn che rw..,ce da quella giudiziosa e sorridente d1Jfiden2a che i valligiani sl portano nel sangue com.e preziosa. ered1rd dì genernz1on1. Cosi ci parln di se stessa Giovanna Zangrandi. cort un tono d"espressione in cui c'è già tanto della sua persona– luà. viva di un estro indubbiamenre energico e vohrwo ma che al momenro giusto sa iltu•ninarsi per una femmini– htd teneramente attenca. sensibile. Cadorina di elezione. Giovanna Zan– grandi compì. reoolari studi di Liceo classico ed Uni:.,ersitd. laureandosi in chimica. Dopo u,1 breve periodo di as– sistentato unilwrsilario. cent6 per qual• c-he anno n,m..'Qnamento delle scienze ,iarurah 11C'lle scuole magistrali e nei licei. h1Jo1frrenre dr legami e di L 1 1ta sedentaria. G10,•anna Zangrandi preferì. i e-limi della moncapna e il modo di t•it•ere e di lru.-orare dei L·alhgian1. La guerra lini per de1erm11•are una definì- G;à nt'I rtJC'<"•lnlo qui presentato - dor•f' la çcrirrr,ce ,;ti rrta aUo, sua con– s111~taatmo!ff('r,:i ns~;milata in tanti anni di ,,,,a t1/pn1n - si pooono intuire gli S1 accompagna a questa ironia una cadenza quasi di fauola che noi possia– mo capire riandando con la mente ad una confessione dello Zangrandi: e A ve– eo per "hobby" la letteratura infantile, "hobby .. ora sQpito. ma non perdt,to ... >. ALBER.TO BEVILACQ A e baracche. su di un valico, un mattac– chione v 1 eve\"a pitturato col minio "Cri– stallino schic-Hotel ~. ci bazzicava gente non precisamente conformista. cl si be– ,·eva m1cidiele grappa di contrabbando, nor, che superasse d1 gran che i 60 gradi. ma eveva dentro tutta la Gegma, elcooli di coda e robetta che bruciava a dovere. Ne ord1nemmo un quartino. Mariagra– zia la sorseggiava adagio, con una sua di– gnità disinvolta, perlave di quel suo ope– raio fìnìto così. non si sbroniava, restava nrnledettamente padrona di azioni e parole. A:I autunno andavano a svernare in un c-a!-cnale ella. nell'Alpago più povero, ter– ra magra. poca. Il figlio che lavora"·a nelle centra,, .n banno ucciso in Grecia· - Perchè poi? Cosa c·entre,·a la Gre– cia? - Oice\'a sua madre, ma tre sé. sa– pendo che non c·era risposte - E" morto. ecco. Non potevano lasciarlo elettricista? No nella , Iulia lo m,sero con la mitra– sha pesante. La tulia • è sottoterra. Quello p;ccolo he quindici anni. Le bam· bine? Sì. sono due , là e casa ... due .... E quando arri\.'ova a nom,nar le bambi– ne. cambiava discorso. si oscura\.'a e sor– segg'eva quel che aveva davanti o si met– teva a tirare o ad accendere una cicca. Qualcosa non onda\"a in quelle bambine; ma non si chiede. Non sta bene. Ognuno dice quello che ho voglia di dlre. Poi andai anch'io a lavorare in altre zo– ne. non là incontrai per dl\·erse stagioni. Ma tutta,•:a mi risultava che la tribù di Mar:-agrazia aveva tentanto di invadere per le sue razzie certj territori sotto Cima t:ndici e là qualche ghenga di paesani de– cisi a,•eva attaccato baruffa con la gente delle bas~e. Dicevano che s·ereno bucati col serramenlco e dai connotati pan·e che un ometto asmatico, in ospedale avesse subìto la laperatomia per ferite "da rot– tame meta:l!co ~; io fui certe che rosse il consorte della Capa che per omertà si faceva martire del lavoro. Dopo tal lezione, la tribù di i'.\"!ariagraz.:e scese d1 quota ed appaltò rami sui tagli di boschi. ere pur sempre un lavoro sel– vatico e senza padroni. un ricercare ri– sorse natuNlli in un loro mondo libero. al– l"ar!a aperte. un dar sfogo al loro istinto arcaico e prepotente di predoni e di pio– nieri. e r:torno. a do\"e pa:.:i,assero le ruote era megl,o non pensare. Nell'unico sp:au.etto d pascolo s1 divo· rò il Tri-Ro, volando per :I preto .. come lo stallone di Nuvola Ros..~ • disse lui che era appassionato d1 western tn quanto al– l"Alfe lo fece fuori cacc1andos 1 In una di– ramazione che conoscevo, una stradicciola da cannoni. tre Rttc frasche e rideva. - E mi spolvero anche la carrozzena. ah. ah Loro sono forel)t1eri, non sanno la mappo 1 - Arrivammo all"accempomento dei bo– scaioli tallonati doi due traini funos 1 e furiosi uscirono coloro delle cabine. Ed erano in tanti. padroni d: fondaci e sen· sali. caricatori ed olleaL E s 1 accende,·a una schermaglia d parole. pre:zzi. ceparre. soldi, rami e tronchi. si alzava d: tono ed infitli\."a d, bestemmie. cominciava a saper di baruffa. due boscaioli ascoltavano sor– nioni. ch:~sà che ne sarebbe neto? Si sentì a:lora str:llare Ln alto. più forte ancora d. quello strepito. un grido acuto da falchetto. Ed arrivò sferragliando un rotolo di Rio sp:nato (nostalgia del r1cupe– ro!). poi un ceppo. poi un coso nero che era semplicemente Marlagraz.1e Ma guar– da:a! Arruffala. stinta e spiniate. Mariagr,a– zia, la capotribù SI piantò le mani sui fianchi e passò in rivista questi clienti. Cominciò ad apostro– farli: - Brutte canaglie dalla faccia di macachi... - Poi mi scorse d:etro Gio• vannino e s1 illuminò . - Benedeta del Signor' - E con escla· m.azioni si informava della mia salute. di– ceva che avremmo fatto subito il ca.ffe e dichiarò che avrtcbbe acconten1a10 tutti, ma a me la le~na era promessa. poche SIOrie E mentre i comprator; avversari ispe– ziona,•eno :e dlsPQn:bilità m; tirò nel ri– co\lero strmando a'• quel mecec • del con– sorte Silve~ ro che sl sbrigasse e far caf– fè e lui afRorò da certi pagliericci. am– miccava. soffiava .rlde,·a e bolliva i fon– dacci di un fet:dico p~ntolino. Disse Ma– riagrazia - A voi che siete amici ""i dò une ca– tasta d: faggio e larice. co: rami messi fit i, senza trucco. vedrai Me lo ricordo. sai, quel tabacco là sul Forarne quando non se ne avevo. - la guarda, o. smunta e storte. là sotto: - Dove v.a1., Mar:a2raz1a. dove vai sta– notte? - - Dto lo se. In stoz1one devo arrivare. a spedirlo. - Giovannino stava tirando une corda. sporse la sua faccia arrosc;ata e gaia: - Stasera g,1 che mento d1 andar dalle ragozza Ci vado. oh si. Li metta nelle mia camera. stasera. Oh, Mariagrazia. ce lo re– te uno sconto per !"alloggio? - - Gesù Sento - Fece lei e non si ca– piva se di protesta o di speranza - E ellora car1chlemo anche il Bulic– cl. - Strepitavo - Oh, Giovannino. lo carichiamo" - - Su 1I Muhcc1, m1 porta fortuna. vinco un tred1c1 - Si entusia<::mava il regezzo al1'1dee strampalata Meriagrazie d1sc:e solo. - Uh. Be quella best:e. Non fategli male - Ed il somarello tu contornato da eut1st1, mercanti e boschieri. tra fiocchi di neve e grida e risate fu issalo sul carico stupefancente del nostro Ventisei:-, sgambettava per ara. ra1:J;ò, poi si af'f1o– sc ò sul 1elont> Qualcuno passò un fiasco. c1 abbeverò tutti, qualcun"allro inneggiò alla fratel• lanza umanèl. finalmente raggiunte per il patrocinio di un asino. E si fecero anche altre considerez1on1 m merito. Stavo sul carico ad infilar certi strecci sotto la testa del Bulicc1 poggiata sui remi: 7\'lariagrazia mi allungò un sacche1to che si muoveva - Sarebbe bene legarlo là sopre. magen in cabina disturba Dacchè dite che ci date un passaggio. Capirai. se miagola forte disturba - Lo legai coscienziosamente vi– cino al muso di Bulicci. forse loro due si capi\•,ano e s: conSQlevano d: q11este av– venture. Tossivo e soffocavo perché in une maldestra risata s·era infilata farinella di tormenta nei polmoni Giovannino a,•viava il motore. nella grande ceblne del .- Ventisei • ospitavamo l'alto comando della tribù. Mariagrazia, Silvestro con il suo cagnetto in collo ed il germano più importante. I resto era sugli altri autocarri. ordine di adunate e casa mie Discendevamo con quei carichi mal bi– laaciati per la vecchia via militare ormai scivolose di neve. Nelle mie vita, di Im– prese e di transit! un poco matti ve n'era– no stat. tanti, con autisti del tipo dJ Cele– ste, dei molti stadi! poliglotti o con l fan– tasiosi fratelli MasperL Qui, G,ovannino aveva le magre mascelle da adolescente contratte fino allo spasimo, lavora\.'e in si– lenzio d: volente e di pedali, lo conoscevo abbastanz..a per sapere che non aveva pau– ra. cercava d. tornare a cesa vivo, ecco tutto. Gli accendemmo una sigarette quando ci ?nnestemmo sulle Statale. Penso che il Bullcci soffrisse 11 mal di macchina. taceva e. giunti davanti a casa mia. lo trovammo tanto inerte e triste da crederlo morto. ln compenso il gatto mia– golava così alto che pareva avesse un am– plificatore. Non pioveva que ed uno scia– me di ragaii!ni ci contornò, et accinge– vamo ella calata del somarello, i ragaz– z!nt più piccoli credevano si trattasse di un favoloso asino di quelli del circo, cat– turato nella foresta Calavamo il Bullcc, con quel sacchetto rimastogli appeso al collo, Dio come mia– golava! Ma quendo toccò terre, rinvenne e ragliò ed il cagnetto di Silvestrò scodin– zolava ed ebbateva. Disse Silvestro: - E' come quando Noè sbarcò l'arca, è proprio come in una storia. E' che le bestie sono meglio di noi, per questo me le tiro appresso. E ~iete stati dei gren galantuo– mini e portarci montati fin qui che passe la ferrovia Arrivavano gli altri camion. sbarcavano 11 resto della tribù. Ma mentre con Ma– riegrezie mettevamo el coperto I fagotti e l'asino (sotto il balconcino delle maestre. prof. Genoveffa), la tribù cl scappò di mano. Ci voltammo: niente. Disse Mariagrazia: - Ecco che sono andati per le osterie, ecco ch e ml fen no dannare. Dobble mo en· darli a ceree.re subito, prima e.be spenda– no del soldi, dobbiamo andare. Ma la mia Inquilina strepita,·a del bal- menttcammo che fosse declassato in la– vanderia. Ere un cuoco dell'accidente colui, verso le dieci furon pronte quelle due bestie, una cacciatore rimarchevole; le spolpava– mo appol.!a"iati su casse e gabbiette. ~la le ossicine delle costole usci\. 1 ano tonde e li– scie e ?e vertebre erano disincastrebili: &0n rosicanti le lepd, ne\.'vero? Picareschi compari di pece e di guerre m1 avevano ben appresa l"anetom.e com– parate per rosicanti e felinL Questa era una sQu:s:ta cecc1atore, de1Ustavo e pen– savo che se ... Dio non vo&Ee; ma. tento, ormai sono cuc:netl- Ed in caso che s.a ... Ecco: bo finito la via crucis di pul~re la varechina dalle loro sudicierie. Mansueto crollò nel sonno tra i fagotti ed il cagnetto gli fece de scaldina, il get– tino de giustacuore; questo era vivo ed arzillo, meno male. Gli altri uomini fumarono ancora un poco in silenzio le loro sigarette mal arro– tolate e sottili; poi gettarono coperte per teTT'8nella retrostante camera di Gio\"e.n– nino, si addormentarono pe..sciuti e felici, lasciarono il letto dell'autista per la capa. Io e lei reste.\.'amo ancore. presso il bra– ciere, Me.riagraz.1e ~veva adagio, come altrevolte, non 11 altera\.'a elfatto. Ora il suo viso si era un poco disteso. O nel!e. penombra rossa non si vedevano tanto le grinze e le crostose pelle bruciata dalla aria: si pensa\.·a che tanti anni fa era una ragazza anche le!. forse bellina. ch;..ssà, era una sposetta che dava dei figli. E le fiamma era rosse su dal tizzoni che avevo riallumati, vi gettavo legna, prendeva. lingueggla\.'a dal braciere della lisciate. Mariagrazia fi~se\.·e i1 vino, cen– tellinava adagio. disse: - Mi spiace che Giovannino non è re– sl8.to con noi, è un bravo ragazzo. - Lui è giovane, MorJegrezia. si è la– vato e cambiato, è corso via, dalle ra– gazza. Lascialo sudare. è il suo tempo. - Sono come puledri. Anche il mio, G10, 11.nn. :.. Zancrand1 .1 \ ill:u11,1,.1 eone, non voleva !'e.sino là sotto, dtceve un mucchio di parole con cui deprecava odori e rumori, m1nacc1eva orri.bili sen– zioni a quel santo innocente ed a noi. Disse Mariagrazia - Bisogna proprio andarli a cercare, denneti. Ma se quelle là mi rovina Bulle· ci. se lo sbollenta o lo avvelena? Non mi piace niente quella grinta. - Neanche a me piace. Quando le affit– tai la casa faceva lo carine. me adesso .. pillole! Gliene darei uno di Cianuro - Andiamo a cercarli, insegnami dove - ripeteva Mariagre.iie -. Andiamo Bu- licci. E lo slegò e se lo tirò appresso. te– soro de proteggere dalle smanie di quel tipo cosi poco zoofilo: quella amava solo due suoi gatti gressiss1mt e sporcaccioni che m1 lordavano regolarmente la scale. Solennemente. attraverso quella cittadi· na, io in braghe d1 stinto fustagno. Ma– riagrazia in gonna da ricupero e Bulicci col suo passettino d1 impiegato in pensio• ne. passammo tutte le vie ed i bettolini. Qua e là ricuperammo qualcuno della boschereccia tribù: per d1slnca.gliarli e te– nerli uni h dovevam o bere noi pure ed offrire e concione.re, Bullcci ogni tanti si esprimeva co n un raglio, in coda veniva Silvestro con le sue gambe d1 pezza. le gettava eventi già piegate come quelle dei buratt.ini, non si capiva dove avesse cac– ciato il baricen1ro e come facesse ad ado– perarlo ancora Solo uno del boschleri non trovammo Tuttavia lo si vide poj davanti e casa m!a che ci aspettava, era un comelicano alto e magro, con due d1abollc1 occhi da z.ingaro e disse - Voi cercate me ed 10 voi; ma non sapete che noi dell·c Alfa• abb,amo pe– stato due epri. due 1 E le ho g.à pelate e pronte - Due., Come due1 - Due. du~! Facevano all'amore forse. in un colpo. Eh ... noi Ma. lei. signorina - continuava rivolto e me - :;\li dia una teglia e un posto da far fuoco. son cu– ciniere io. Mi lascia Car fuoco in lavande· ria? E· un posto d1 lusso. ci lascio? - Se non vuol eltro. Correvo a portareli gli lngredienlj e MariagrazJa tirava fuori i paioli della po– lente: un festino, un vero festino, ci di- Antonio ere cosi: ci tene\·a al vest,to; ma lavoreva sodo. Era seno. sei, mica una ferfallo, studiava alla sera per diventare elettrotecnico, ma Ci teneva anche al vestito. ,.Aveva un posto buono .. ""I centrele. Gli assomiglio, Giovannino. gli asso– miglia quando st.l cosi attento a quel che fa. Lo guordavo quando guidava, l'ho guardato tutte la strodo cd onche se la strada fosse sWta peggio non volevo che finisse. mi faceva male e bene. E' pro– prio come Antonio quando andò via a ventiquattro anni lo presero, me lui sem– brava più giovone. Ora che la sua voce non si sforzava più in comandi a lunga distanza. ora le usci,·a sorde e fonda, appena roco di fumo. ma non spiacevole; cade\."a su quel focolare f:ttizio lentamente. pacate. senza lacrime, né isterismi. O: solito non s; ha tempo di parlare; in certe sere sceppa fuori quelcoso, e causa delle mascelle ~errote di Giovannino come quelle de-I H~l10. stavolta Diceva Marla– gra1ia - Certo i foci sono tutti uguali, do– vrebbero essere uguali per noi. Ma An– tonio ... lu fin da bambino pensava come un uomo, d:cevo che voleva comprere un podere vicìno alla centrale, dove la terra è buona e passano le strode. e E perchè Il hanno ammazzati, lui e tanti altri? Per i loro capricci e strambe– rie li honno retti ammazzare. Con una raffica nella testa, ce lo disse un caporale, d1Ce\.'a che non aveva sofferto. Ma forse gli si è rovinata la faccia. Era un bel ra– gazzo, un tipo come Giovannino. me più largo di spalle. Antonio E si stirava lui anche la tuta. mai con– tento. maneggiava il ferro come una don– na e brontola,•a che da noi lassù non ar– riva le corrente. avrebbe voluto il ferro elettrico e le coge della civiltà. diceva. Non puoi nemmeno andare a mettergli un fiore nel cimitero. Certe volte pare di scancars1 un poco ad andar dei morti nel cimitero, mo lui. è là. dicono che è die– tro un Monte che Ci ho:nno fatto la e can– ta •. lo sai tu qual'è? Ma non conte nien– te. E taceva per arrotolorsi una sigaretta di quel loro tabacco nero di foglie coltive– le nell'orto, mettevo tm le tobbra aride la carta appiccicosa, accendeva con la mac-

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