la Fiera Letteraria - XII - n. 21 - 26 maggio 1957

Domenica 26 maggio 1957 t;'A: FIERA: LETTERARIA: Pag. 3 RICORDO DI ROSAI ·OTTONE E' LASSU' ALLE PORTE SANTE * Ci 1netteva a parte di una graz1:aquasi eccessiva e certarnente llnprevedibile - Non aveva vergogna di consacrare spesso all'aniicizia la sua antica eloquenza * ,N ALl<'O!ISO t,;A 'l'TO FIRENZE, maggio Venerdì mattina. in p.ochì, tra noi. siamo tornati a ritrovarlo lassù, alle Porte Sante. E' stato come sa– lire a casa sua. Ma da Fontana. ove andavamo insie. me a prendere il caffè, non s'è voltato a sinistra per San Leonardo. Fracassini ha messo il p,iede sulPac– celeratore con 1a stessa rudezza con cui tante volte ln queste ultime ore ci siamo asciugati in fretta gli occhi per non vederci piangere. E intanto lo lascia· vamo entrare nei nostri discorsi che non volev::inn parlare di Lui. Al cimitero, abbiamo seguito Rolando in fila in. diana attraverso le siepi e i, vialetti delle vecchie tombe. E' un antico cimitero ove non si seppellisce più. I morti son quasi tutti dell'altro secolo e di– menticati. C'è un piccolo bambino di marmo che dorme sotto una tettoia di vetro. c'è Dolfi, il patriota– fornaio, c'è Papini. l'ultimo ospite dei tempi nostri. Ottone è in una remota cappella alle spalle di San Miniato. in un loculo basso a fior di terra, chiuso da una lastra che ancora non porta il suo nome. (E' la sua prima notte di camposanto. mi dico. Le rose di una ghirlanda sori'o ancora vive). « Non sta bene, qui)>, ci ripetiamo tra noi, « bisogna portarlo all'aperto del colle, sotto un giardino di fiori di campo e in vista di Firenze, più vicino ancora a casa sua>>. Ognuno di noi. Santi. Fracassini, Scatizzi, Paolo, ha detto a Lui qualcosa prima di tornare. Tornando, siamo passati per San Leonardo: tutto come prima. Ma Ottone più gr,ande della sua casa, uscito di finestra a darmi voce come un personaggio di Giotto - « ahi Gatte Gatte))_ diceva sottolineando la <(e>>- io non lo rivedrò. Alla porta c 1 è un luc– chetfo di ptù.. Quel pomeriggio dell'ormai lontano 1941 che insie. me scegliemmo i disegni e i quadri per la monografia di Vallecchi, era di primavera con la lu'nga guerra intorno a noi. Affaticato. sedendo sul piccolo letto con le braccia appese, Rosai andava tentando un fischio che non kli veniva. « L'è dura, Gattino)), ripe– teva di malumore. In quei momenti, rimaneva a guardarti con gli occhi grandi e vuoti, poi s'alzava lentamente intorno a se stesso, pescava un nonnulla in un quadro e lo metteva in parentesi nella sua grande mano per spiccarne il senso. Cercava sempre di capire qualcosa di sè: perch'era così forte con tanta tdstez.z.a intenerita dentra? Fiacco e solenne insieme, sembrava gingillarsi col suo malumore. ma tomava ai pennelli subito per non decadere. La sua dignità era fatta di lavoro: il suo colloquio, di là dall'usura delle parole, era nel disegno. Nessuno dei contempo– ranei ha Parlato tanto col disegno come Lui. Ora m'accorgo che ogni giudizio su Rosai è sempre il punto di avvio· per un ricordo. Ed è il solo modo con cui riesco a parlarne, lasciandomi soverchiare dalla piena del r'acconto. quasi- dal dettato della verità ch'era tra noi. Tutti gli amici ricorderanno. C'è stato sempre il momento in cui Rosai ha detto a ciascuno di noi una parola di stima con tanta semplice autorità e con tanta appropriata attenzione da sorprerìderci. E noi, che abbiamo scritto e riscritto di Lui. non siamo forse mai riusciti a rendere solenl\i e indiment\cabili le poche parole d'ir,_contro com'egli sapeva fare. Ci metteva a parte di una grazia quasi eccessiva e cer. t.amente imprevedibile. Non aveva vergogna di con– sacrare all'amicizia quella sua antica eloquenza che nello scrivere lo riprendeva e dava non so che illet– terata e spontanea classicità al suo stile. Forse perciò. a accompagnarlo lentamente per le vie del crepuscolo, gli amici che tra loro più non si scrivono o non s'intendono più, erano come raggiunti dal bisogno di dirsi una parola. Con Romano Bilenchi. con Chiurazzi, con Maccari. con Fracassini. siamo andati a mangiare in campagna_ dopo Galluzzo, a una piccola trattoria sulla Greve. Testimoni della sua vita, dalle prime date alle ultime, per tre ore siamo rimasti a parlare di Ottone. E a ricordar di Lui gesti e parole. le paure temerarie quanto le sfide. l'aperta lealtà e il difficoltoso corag· gio. gli impensati riscatti dalle passioni e l'incanti. nenza delle brame. la febbre di vivere e insieme la remissione alla noia. il rifiuto al divertimento pur tra le accese cupidigie del gioco e dell'amore. noi ci accorgevamo che Rosai non ci aveva mai esposti al frettoloso significato dei suoi' gesti, nemmeno quando sembrava chiedercelo o pretenderlo. Una sua «vita>) da scrivere - si diceva con Bi– lenchi - sarà un atto di verità per ogni italiano povero e nato dal nulla che ha dovuto trattare per mezzo secolo. giorno per ,giorno, con la propria in– clemenza. senza che il Pae'se sapesse mostrargli almeno una storia di errori utili. In uno scritto dei 1 37, Rosai chiedeva ai difetti dell'opera d'arte proprio questa loro necessità di rappresentare un punto di partenza per la verità degli uomini che si sarebbel'o trovati a l"avorar dopo nello stesso solco. Chiedeva quello che gli era sempre mancato. In Piazza Santissim_a Annunciata gli abbiamo detto addio senza parole, inghiottendo il duro della nostra voce. Nei silenzio del portico, davanti alla 'bara, ho cercato il volto di tutti i suoi veri amici, dei ragazzi che si erano fatti grandi e pittori con lui. da Tirin. nanzi a Caponi, arsi di lagrime. Ottone è morto, viva Ottbne. Si, ma noi, oltre il pianto. non avremo mai la voce per trarlo fuÒri dalla nostra comune storia, e sono cosi pochi gli anni che restano. Ho qui. di Rosai, sulla prima pagina di Wl volume di disegni che festeggiò alla e( Strozzina» di Firenze i suoi sessant'anni, la grande e stanca scrittura. Mi chiama <e Afò ». Sembra una pagina disegnata con Ottone Rosai gl'azia faticosa. Graziana conserva in un portafiori di vetro, secche ma intatte, le rose che Wla sera le offrì a Milano. (Era così felice quella sera, cosi libero. Volle a cena con sè anche Marina che venti anni prima metteva in piedi sul tavolo delle <e Giubbe rosse>). Sapeva - era tra i pochi a non dimenticare - quei miei anni difficili in cui era nata). L-eone ricorda le sue grandi mani. Tu resti nella mia casa: amico mio, poeta e signore di verità. E ora. addio Ottone. veramente addio. Firenze dia almeno al tuo nome la piccola strada di San Leonardo ove non perdesti mai i passi. E sia tua la casetta, a memoria perenne del tuo lavoro. Che tu possa sempre riguardarla dal camp-osanto fiorito sui colli. ALFONSO GATTO Nella sera della* morte diOttone Identità ra la persona el' rte Con Rosai è finita una grande stagione di poesia: crebbe con Ottone, da varie parti confluita, una ragione del/' arte, e rigerminò da.Firen– ze, nella sua pittura: ancora una volta, una virginea ~ittà u.niver:wle * rli CAIILQ BETQCCIII Luna di stasera, 13 mag– gio. che· è. morto Rosai. Luna piena, su dall'Incontro, alta sui tetti. Vi centro con l'oc– chio la croce a ri('.ami di !er– ro di Santa Maria Maddalena de' Pazzi, gugliata di disegni di ferro dentro la croce vuo– ta. Come se gli domandas?i conto di ciò che non può dir– mi. Cosi bella. alta, ~ere~.a luna: e non la vedra p1u. Tornerà nella cassa. Più tar– di la luna ha un'eclissi piena, pu'ntuale, incredibile - dice che era annunziata dai gior– nali - rossastra, in cui la ' luna agonizza, mentr~ si scansa, nell'altezza, dietro casa. Poi cresce la nuvola- gl~~nn:11;~r:taag~~:1:c;:ebru- ciare sarmenti nei camp\: avrei voluto, di là dai tetti_, •vedere una coroncina di falo sui poggi bui. Il mio cuore mormora, come l'Arno a tem· po di magra, in Alto Valdar– no, di sasso in ~asso .. Ma l'Arno di maggio e gonfio. e viene a morire, il mio cuore, leccando Je muraglie di lun– g-arno, e frastagliandosi tra l'erbaccia delle golene, _verso le Cascine. balla, stracco, sul muriccio- renza dell'arte, Dio li bene– lo -alla Costa Scarpuccia, o dica. Ma non potranno mai all'Erta Canina! E parli tra sapere come, da varie parti te, come i lastrici mal'·con- 'confluita. crebbe con Ottone nessi. dove avvalla la ruo- una ragione dell'arte, e ri– ta del fiacchere, i loro la- germinò da Firenze, nella sua menti di sassi di Monte Ce- pittura, ancora una volta, ceri e di Maiano, abbrutiti una virginea città universa– dalla città, nel sentore d'ari- le. Io non so spiegare niente. na cavallina, Ma trapassa Ho un sasso sul cuore. Ed dall'Arno un vento, nel:J.'esta- ho un suo solo quadro. Ho tate: e odo il cuculo, rimbal- conservato. di lui, la povertà za da·i sepolcri d'arenaria rigorosa con cui nasce la azzurra delle grandi cave, pqesia. Ho questo ricordo, in Cu-cu! Cu-;cu! sotto i poggi uno _dei suoi quadri_pi~ mo– di Vincigliata, nella sera desti. e tutta 1~ sua pittura malinconica; e c'è odor di P7r consolarm_1, e l'esser~ cipressi e di ginepro. Con VlSSLI;to~a g_1ovane, negh · una scaglia di grezza arena- stess\ suoi anni. Q1:-1ando na– ria ho arrotato il cuore· but- sceva. quando, pnmamente, tala in là con un calci~, Ot- farnetic~va; ~i quello_ che t.one, si va -a cena a Maiano, anche m lui farneticava. stasera; e l'unghione del tuo Guardo, ~ta~era, nell~ lun~ ~~:11c~aJ~~c:~~ fe~!~a ~~l~à~ ~~t1•o~;~nc~~rbfda ec~~:ai;;Ì « Sie, sie! >, 0 inconsola- s~nnge 1Jcuore,_e _chegalle/il'.-;_ to,.. Mignolano gli olivi timi- g1-a~ul~a tua c1tta. cur':'e d1 dezza sui muri che mignola- ~un, ~1gl!:'eproterve, f_1gure la 0 cf~e~~a~~~tafi~~i°1~~:i; d1 ~~e s~~~t~ 0 \?i~coens~f~tob~~:~ Bòboli; le mensole dei tetti gliare dei prati alle scorze di Firenze tastano delicate rugose che t'ammalavano di l'ari~ del~e via d'.Olt~arno; passione. Penso l'Arno che !~f v~J~ 0 j~~;~ti\~ut~~?e~o~~t~ sfocfa già al largo'. s~aser~ dal gioco e dall'amore, lieve nell ombra. Penso ~1 g1uoch1 di controluci, il cielo della della proda. che resi-stono al– città: deducesti pel cielo di la piena, Di altro non è fatta San Frediano i tuoi ninfali, la bellezza restituita alle te– pari agli antichi, verso le ri- le. Firenze resta con noi tra– ve d'Arno. _Enon ,c'è_una ra- , mortita e più bella per virtù e:t:: i~: 1 ~e~f~h:u: 1 il~es\~! di Ro_sai. _Quei pochi poeti desolate; che grande spazio, che vt res1st~no lo -sann~ e le separa, di muri, dagli idil- ?on han ~old1 da paga~si 1~ li segreti, taciuti; e stanno in men.arrabile bellezza d1 cui casa: odor di soffritto sotto vissero. Mentre viene la le tegole: e. bagnata dalla nuova estate, e Ottone non luna, d_isc~nse il p~tto 'dal c'è più, e scomparso il suo peplo d1 pietro la pr1mav~ra .fluire anche noi, come l'ac- m J~P~f 1 de~~ ~e.un vocìo di qua _del fiu_me, ci andiam~ ragazzi che svolta a dirotto, adagio adagio arenando tra 1 rincorrendosi, per Questi vi- sassi. coli; sguaiataggine che igno- CARLO BETOCCHI ra tutto. Odor di teppista: fuggite ques;u;i~i! « Sie, sie! », lasciali dire, Ottone, stiamo _floli.Portate– la via, la tua Firenze. O ~~ropa de' begli anni: o m1~1- diale Europa, tutta occhia– tacce, e poi d-all'o!bi~e rr:ia– cerate. Assenzio ne b1cch1e– ri verdi, cannoneggiame~to di frontiera. E da M~drid, Parigi, Leningra?o'. ~icasso Apollinaire M_od1ghan1 Un_– garetti Jessenm. la scarmi– gliata Europa, dai cafè-~h?n· tant veniva alle_ segg1ohne delle Folies Bergeres, le an– che di candore fittizìo, la prostituta provinciale,. Allo· ra mormoravano palpitando alla polvere· le foglie d'es-ta– te, ai pratoni della ZE:cca_. E nei mattini pullolanti d1 fresco i leggeri calzoni fio– riti e lo sguardo ta1:-1nesco di Campana lampegg1~vano fuggitivi lungo le ~etrme, e apparivan sui p?nt1. Tu(!na– va il cannone d1 mezzod1. _ A: mazzi di giaggioli creat1v1 fulminasti i colori di Firenze. Ro·mpo il discorso: mi fa assai! Butto tutto in un ~ac– co. O cenciaiolo che oos1 la Una grande stagione di poesia è finita. E la morte di Rosai è una di quelle cui si addirebbe il lamento di Lorca per la mòrte del to– rero. Ma è inutile. per ora, che noi, che abbiamo l'età di Ottone, Jo ridiciamo ai più giovani. Se hanno la rive- Prossimamente' la ~ Fle- ra ,, dedicherà a.I maestro scomparso un n u m e r o speciale a cura di Alfonso Gatto. * di GIJGLIEL1IIQ PETR0/11 Molti di noi che hJ.nno avuto inconsueta dimestt– chezza con Le generazioni più anziane, da quatche tempo hanno dovuto comin– ciare ad accorgersi. che il tempo comincia ad operare distacchi e passaggi che non possono essere considerati episodi, sono la nostra vita stessa ed i suoi impegni giunti ad un momento in cui propone meditazioni sempre più precise e dejt– nitive. In questi giorni è stata la voita di Rosai e, con lui è scomparso uno dei pochi. artisti nei qu.ati. si realizza– va pienamente queUa iden– tità tra ta persona e l'arte che va sempre più divenen– do raro esempio tra i perso– naggi significativi deUa no– stra epoca. Ai nostri giorni, purtroppo, tra la persona– Utà d'un artista e la sua opera sembra si apra sem– pre più larga differenzia– zione. rd è più facile trova– re tipica u11a dissociazione sconcertante tra le azioni e l'opera di 1m a.rt -ista di quanto non sia possibile trovare neUa vita d'nn ar– tista azioni che somiglino al significato deUa sua. ope– ra e gli ideaH che in essa cerca di porre. Con Ottone scompare una Firenze di cui rimane sol9 il ricordo, queUa stessa in cui ci formammo tra i più e che. bene o male, ci im– pose un costume d'arte e di vita ribeUe ad ogni <'Onfor– mismo. Da tanti anni non mi incontravo più con Ro– sai; ma bastava l'antica amicizia a tenerlo vivo nel– la memoria, perché Ottone era uno di quei personaggi che non si confondono con nulla e con nessuno. che restano interi ed il tempo non riesce a modificarr,e i comorni in nulla. Rosai era persona di dimensioni fuo– ri della norma; ma non si tratta qui dt quantità, ben– ché egli sapesse imporsi in modo sorprendente, ma di qualità.: la sua natura uma– na corrispondeva ben poco al metro usuale. alle norme borghesi o CL quelte intet– lettuaListiche con le quali si misurano correntemente gli artisti: egli debordava, in ogni senso: perfino la sua figura fisica di gigante pri– mordiale sconcertava, spe– cialmente nel contrasto di una j.-111 .. i.,.J.lioonza vivacemen- te raffinata senza la mini– ma sfumat:ura anche delle convenzionalità che sem– brano d'obbH9oj aveva sa– puto evitare perfino il maggior pericolo che un es– sere come Lu.i COTTeva ad ogni momento. quello di -una rettoriea di se stesso. Tra Firenze e Rosai. tra la Firenze aulica e popo– lare e lui correva ·lo stesso rapporto che c'era tra lui e la sua pittura, t·ra lui ed i suoi scritti, giacché anche ' questi meritlino di essere rammentati. V'è stata una generazione di fiorentini autentici o di adozione che idoiatrava ... Rosai: lo Si po– teva amare non giudicare; ogni suo scatto, ogni sua intemperanza non poteva che essere giudicata secon– do .una misura la quate non si trova in alcuna con– venzione di vita. Rosai era una reaUà di cui si dove– va prendere atto fì.n dal primo incontro, di cui sen– tivano il peso ed ti fascino anche colorò che, di for– mazione Lontana o contra– ria alla sua. 110n ri.Mane– vano im m.tini da un certo sgomento. da. wna tituh1"1.– za di cui egt! ridetin torsi'! come l'uo'1lo che h11 varca– to tutti i confini d'ogni convenzionalità guarda il buon borg1ìese che stenta a capire. La sua naturalezza era Htimitata, t,utta auten– tica ma t.utt'altro che estemporanea anzi spiri– tualmente elaboratissima our rimanendo nel cuore di auella antica vivezza popolare della gente "fio– rentina. di razza. Questa la sua coerenza umana che si è tramutata tutta in coere11-zad'artista. Benché la pittura di Rosai vada considerata come nn dato d'eccezione. sbaglie– rebbe chi la considerasse un singolare caso isolato: essa si inserisce invece netta storia deUa nostra arte figurativa e ne rima– ne un dato C':?rto che da solo potreb6e giustificare alcuni aspetti di quei No– vecento italiano per la ma,:mior parte naufragatn in un provì.ncial.ismo da cui hd fu im.mune. · La sua. essenzialità, o certo preteso verismo del– la sua opera, sono precisa trasfigurazione di una ve– rità di vita profondamente vissuta, rivissuta intera- 1t1ente affinché l'immagine significhi pienam·cnte e, malgrado l'apparenza po– polaresca, sia piena di ac– quisizioni culturali del tut– to assorbite e riproposte con freschezza nuova e prepotentemente sua. E' certo che H signifi– cato delle cose, deUe per– sone e , delta loro opera., varia a seconda delle per– .sone. delle età e delle espe– rienze delle diverse gene– razioni: ma con la pittura di Rosai si ha i-impressio– ne di trovarci dinnanz-i, a quel tipo di valore che mantiene il proprio signi– ficato intatto ,per tutti e che rimane I relativamente lo stesso anche con to scor– rere del tempo. GUGLIELMO PETRONI • Alta espresszone d'un bisogno di purezza * 1 migliori risultati del suo reoace impegno stilistico vennero documentati io una mostra del 1930 a Milano * di GIUSEPPIJ: Sabato 14 marzo e mortO a Ivrea Ot– tone Rosai, che si era recato nella tur– rita cittadina piemontese per assistere alla inaugurazione di una sua mostra di opere dedicate - diciamo pure co– raggiosamente, in questo bailamme astrattista - alla figura umana; e con Rosai scompare uno dei più autentici e caratteristici artisti toscani di oggi. Venuto alla ribalta dopo una espe– rienza di guerra (1915-18) come ardito, di cui ci rimangono alcuni estrosi dis~– gni e un volumetto di appunti, scritti con un piglio beceresco che non era nei diari di Soffici, dal titolo IL libro dì un teppista, Rosai ha saputo superare gli umori contingenti e consolidare i suoi ricchi e saporosi empiti della fan– tasia. Nella Firenze di quel dopoguerra, dov'io mi trovai\ qua-si quotidianamente in servizio con gli eliografi sui più alti tetti, alle mitragliere in una•caserma in via della Scala o nei plotoni a S. Fre– diano che dovevano sbarrare il passo ai tumulti di cui in quel quartiere era il focolaio, ~orse Rosai - ex ardito di guerra, che mal sopportava un ritorno alla normalità e credeva di poter tra– durre in realtà le opposte illusioni pro– pagandistiche della guerra e di dopo - era dall'altra parte della barricata; e doveva nell'appassionato esero.iz.io del– l'arte trovare un appagamento, sia pure provvisorio, o tale di volta in volta, che lo avrebbe portato ad essere - con Campigli e con Soffici - uno degli ar– tisti di primo piano nella Toscana dal– l'ultimo cinquantennio. Nato a Firenze nel 1895, un po' auto– didatta e un po' allievo di Soffici (del quale rimarrà nei suoi paesaggi il ta– glio sereno e una cromia quasi casalin– ga), Rosai fece la sua prima mostra d'incisioni a Pistoia nel 1911, che si cita a titolo piuttosto di curiosità; quindi la esperienza futurista (erano allora anche futuristi Palazzeschi, Papini, Soffici, ecc.: tutti toscani di rilievo) lo portò ad adeguarsi alle scomposizioni cubiste d'un Boccioni, d'un Balla, d'un Soffici, , ,d'un Severini: il _che e~a. in Rosai, un desiderio di libertà e forse di novità; ma la sua natura di popolano fiorentino lo mise ben presto a diretto contatto con le cose, gli uomini e gJi ambienti d'una Firenze popolare, beceresca e cia– nesca, senza per altro scadere nel rac– conto o in una visione d'interesse limi– tatamente folcloristico. C'era, in Rosai, un'istintiva esigenza di stile; e ta"le suo impegpo stilistico venne nei suoi migliori risultati docu– mentato da una memorabtle mostra che ebbe luogo nel 1930 alla milanese Ga!– leri8 del Milione. Nel catalogo di co– desta mostra, ricordiamo, vollero ester– nare la loro ammirazione per il nuovo artista parecchi nostri scrittori tra i più vi,vJ: Garrone, Giuliotti, Pàlazzeschi ed altri. La mostra poneva su piano nazio– nale l'attenzione e la stima per la pit– tura dì Rosai; partendo da una schiet– tezza artigiana, H toscano era senza dubbio arrivato all'arte: un altro pit– tore veniva ad aggiungersi alla breve lista di quelli che valessero qualcosa. La conquistata raffinatezza del mezzo espressivo non faceva deflettere l'artista dalla accentuazione lirica dei suoi pae– saggi, delle sue case, dei suoi e omìnì >, delie stradine di campagn·a e dei mu– retti o degli alti muri di cinta: tutto un mondo, di una rara semplicità, che in Rosai fu in un primo tempo espressione della sua profonda poesia e che poi, nel- Rosa.i nel suo studio SCIOR'.t'l:\0 la più recente produzione, doveva fare parte soltanto della sua poetica. Dal 1930, e per circa un ventennio. Rosai riuscì spesso a fermare sulla tela una realtà senza tempo: i bevitori al– l'osteria, i giocatori, i fiaccherai, i suo– natori ambulanti, i suoi scorci paesag– gistici, non sono dei temi per intesservi più o meno scolastici racconti, sono sol– tanto dei motivi fantastici. nudi. sche matici, monumentali, lirici. Perciò l'ar tista non è stato mai confuso, e non po– trà certamente esserlo in avvenire con i pittori popolareschi, ingenui, limitati anche se cari o curiosi o interessanti: le cose migliori di Rosai hanno una ge– nuinità inconfondibile, una purezza ed una compiutezza classica esemplare. so– no il frutto di un pittore di razza che per istinto rifugge dall'aneddoto e dal– la descrizione per affidarsi al senso in– finito delle cose. Ma, durante il ventennio predetto. dei mutamenti avvengono nelle postu– lazioni e nelle rese stilistiche di Rosai: assoluta e quasi segreta sino al 1930 all'incirca. la sua pittura si va sempre più sciogliendo, insofferente della rag– giunta icastica esemplarità in cui egli forse a un dato punto temette una con– danna all'immobilismo, cioè a Wlo sta– to che non si accordava con la sua na– tura. Una pittura più mossa, più sciolta. in un certo senso più accomodante si fa via via strada: « Che poi fosse più libera - ha scritto un suo biografo - bisognerebbe vedere volta per volta, quadro per quadro. Una cosa e certa: per l'innanzi era più difficile sbagliare. una caduta essendo più rara perché il pittore era già tutto teso a un limite>. Fi-nchè, di con.cessione in concessione, egli perviene a una genericità estetica– mente inaccettabile, a una pennellata troppo spedita e indifferente, a paesag– gi sempre gli stessi, dipinti di maniera nello studio, senza nemmeno amore ar– tigianale, con la fretta d'ineorniciarli e di consegnarli ai commissionari; pae– saggi m~canici, senza timbro, senza ri– sonanze, in ·una parolq senza poesia. Questo è il Rosai - e va detto con tutta franchezza - di quasi tutto l'ul– timo decennio: il Rosai che s'era lascia– to vincere dall'ingordigia del denaro e che, da Roma a Livo mo. da Firenze a Milano (il suo insuccesso aU"estero è noto) aveva riempito di quadri suoi - a migliaia - galleristi e collezionisti: il Rosai che ricordiamo per dovere di cronaca ma che lo storico dovrà natu– ralmente trascurare per fermare lo sguardo sul molto che l'artista ha pro– dotto d'indimenticabile. Nell'attività di Ottone Rosai c·è una epoca e un buon numero di tele che _consegnano il suo nome alla storia e fanno presagire una prospettiva - pro– spettiva solo possibile col trascorrere del tempo - in cui egli dovrà essere collocato a un posto di rilievo. Al con– trari() di De Pisis, il quale del torbido che era in lui impregnò alcune sue ope– re facendo convergere l'interesse su un e fatto innaturale> piuttosto che sulla pittura o sul disegno, Rosai-artista e di una purezza che va sottolineata. Dob– biamo anzi dire che, scomparendo l'uo– mo con le sue debolezze e con la sua peccaminosità, di Rosai rimarrà soltanto testimonianza di ciò che è stata più alta espressione del suo complesso e trava– gliato spirito. GIUSEPPE SCIORTINO

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