la Fiera Letteraria - XI - n. 51 - 23 dicembre 1956

Domeuic:i 23 dicembre 19-6 LA ~ I EH A 1,~111'.H H I A Pag. 3 I COMPITI Gli sfoghi di un romano impaziente )f. . DELLA CRtTiCA * di GIP CINTO SPAGNOLETTI Non c'era bisogno che il banditore venisse a gridarcelo nelle orecchie. Era ovvio che, dopo la guerra. alla critica letteraria - a quella militante. i,. particolare - non sarebbero più spettati quei compili fissi e limitati che si conoscevano. Averla ,·eduta irrigidirsi, durnnte il fascismo, di fronte alle accuse di scarso impegno politico e alle richie– ste di calore < umano •· induceva più d'uno ad aLlendersl al più presto ogni possibile apertura nor solo rispetto alla letteratura. ma - attraverso essa - alla vi la e alla società. Itn-ece è accaduto un fatto straordinario. I luo– ghi comuni imperversanti sui nuovi compiti dello scrittore (e quindi della critica). in luogo di sti– molare quest'ultima sulla via di una maggiore libertà e di un maggiore coraggio, sono stali una delle cause del suo impoverimento. Si potrebbe asserire che non sia. quello che appare, un deca– dimento. bensì un processo di piena < democra– tizzazione•; avendo. appunto questo carattere, la letteratura, in regime democratico: di raggi1,mgere con una partecipazione individuale e sincera, di– battendo problemi che sono di Lutti, le ragioni e gli interessi più alti dell'umanità. Errore che non finisce di apparirci grave. anzi fatale, se applicato sul terreno della critica. La quale non si fa con i buoni principii, ma contro ogni principio, non con i programmi stabiliti, siano pure di estrema socialità. ma contro ogni programma. La critica deve aiutare la letteratura ponendosi come inter– mediaria tra questa e il pubblico che legge, d'ac– cordo: ma le richieste del gusto diffuso nelle masse non ces·ano cii forman, quell'astrazione contro la quale poi si muove il critico. consapevole non meno dello scrittore di dare al pubblico u11interpreta– zione inedita del travaglio spirituale del lempo. Questo è l'impegno di verità della sua opera; e non è a caso che in ogni epoca noi lo riconosciamo direttamente proporzionale alla sorpresa morale - ollrecchè artistica - che riusci a generare. Immediatamente dopo la guerra. i .cervelli dei gio\'ani furono imbottiti di formulette. condite di ammonimenti e consigli altrettanto superflui: < Te– nersi lontani dalla letteratura pura. parlare a tutti, e non solo ai letterati. ecc.•· Si agitarono spau– racchi: ancora oggi, si continua a popolare l'avve– nire di propositi velleitari e inutili: < Indietro non si toma: tullo ciò che è stato prodotto tra le due guerre riflette una mentalità, uno spirito riprove– \'Olmente egoistico e reazionario•· E ancora: < Ban– do alle questioni formali: la poesia è. un·a1tra cosa!•· Chi non ricorda frasi del genere? Una parte della critica. forse per timore di farsi sommergere. invece di reagire come doveva a questi facili imbonimenti. se ne lasciò incantare. • acque di qui quell'esigenza di realismo a tutti i costi che ha inchiodato (pare) la nostra giovane narrativa. E per reazione. quindi. si verificò t~1tto un pericoloso rifluire verso stagnanti posizionj dì gusto. specie in quei letterati ben soddisfatti di quanto le nostre lettere avevano espresso nel re– cente passato. e abituali ad applaudire solo gli autori più affermati. Due aspetti irritanti del me– d~simo fenomeno di insufficienza intellettuale. che certamente rion siamo i primi a denunciare. ma che ,·orremmo per primi vedere scomparire sul p;,ino c1el gusto e dell'intelligenza crit.ica. Aggiungiamo a questi rilievi generali o psico– logici il profilo delle circostanze in cui si colloca oggi materialmente il lavoro del critico. Sono cir– costanze spesso avvilenti. L'errore vantaggioso e ben calcolato di alcuni partiti politici - in prima linea quello comunista - di far corrispondere al lavoro di esegesi e di interpretazione letteraria almeno un pizzico di dottrina ideologica, va va– lutato p•~r quello che è. Ma. ciò che è grave. que– sto errore è diventato la convinzione più o meno sincera di chi l'ha accettato. e in base alla .quale egli giudica e giudicherà il prodotto letterario del suo e di ogni altro tempo. Si capisce che qui non si vuol offendere l'impostazione ideologica ed este– tica di chi sa il fatto suo. Il guaio. è che, proprio scendendo dal piano della critica ideologica più seria. l'influenza esercitata sul pubblico diventa nefasta. Chi non ha sotto gli occhi le solite rubri~ rhe dei settimanali politici dedicate al hbro di attualità, dove il gracile peso delle considerazioni letterarie si sposta di continuo dall'argomento_ dP.l libro ai cosidetti <fini> intravisti? Una tagliente arma messa in mano al povero autore, senza averle consultato. E fin qui. siamo nel dominio concesso lecita– mente alle idee. Quando si passa all'altro dove la critica si esprime senza alcun presupposto, il panorama non è meno des_olante. Ci s_i chied~ a ,·olte: dove è andata a fimre la vecchia. gloriosa critica militante, che un tempo si batteva pro o contro l'opera di uno scrittore'? Eccola: 'per soprav– vivere essa ha accettato posizioni umilianti, r1- dotta 'in quello stambugio mal illuminato che è la rubrica letteraria dei settimanali a rotocalco. Di qui fiuta il tempo che spira e finisce per ade– guarsi. Sa di essere seguita, in ~ondo, .solamente dalle signore e perciò si acc?ntenta d1 _svolgere un modesto e salottiero compito di cermta e d1 segnalazione. Tu,tto sommato. queste rubriche no_n sono che un piccolo prolungamento degh uffici– stampa delle case editrici, ma hanno l'imp_erdo– nabile torlo, però, di essere firmate da nomi non di rado illustri. Il tono la dignità della critica. diciamolo pure, sono scomparsi anche da moltissimi quotid_iani, UJ~ tempo abituati a rispettare la cultura dei yropr! lettori e l'opinione dei letterati un pochmo di più della e parola del medico• o del resoconto di un viaggio alle cascate del Niagara. La malafede: J'uidifferenza, il disprezzo verso la letteratura d1 molti giornalisti hanno di certo giuocato un ruolo in questo decadimento. Tanto che si può. a occhio e croce. stabilire quanto valga un quotidiano. :al– meno sul piano della serietà industriale, osser– vando il posto che viene offerto alla discussione dei fatti culturali. Ma, allora, quanti se ne sal- vano? • E viene .da pensare - dopo queste scorag– gianti osservazioni - allo stato etE;rnamente pas– sivo della nostra civiltà letteraria; alle spaventose fatiche di Sisifo che s'impongono ad ogni gene– razione. Ogni ven fanni bisogna rifar tutto da capo. ricominciare da zero, rimettere in movjmento la macchina degli entusiasmi, delle scoperte, delle rivolte. Il ciclico avvicendarsi dei fatti generali del gusto determina al tempo stesso vuoti paurosi nella cultura delle masse, ed insolenti caratteriz– zazioni: oggi (poniamo) sul realismo, ieri sull'er– metismo, .. Si abbattono idoli, se ne innalzano pre– sto altri. Così, il bisogno di < democratizzazione• vol– gare della letteratura ha finito piano piano per soffocare la vita della' critica, riducendola al com– mento ad lwc, giorno per giorno, di ciò che passa nelle vetrine. Uno sguardo e via. E in più, c·e il perjcolo che, venendo a man– r.are l'aria onesta, rassicurante, della buona cri– tica, alla volontà di far meglio si sostituisca il piacere di far peggio. cioè il lasciarsi andare agli incontrollati impulsi del pubblico, allo stupido de– réglement; fino a giungere alle vocazioni fin troppo controllate. anzi ordinate su un metro ideologico e politico. Alla scomparsa della critica militante. si è già vicini. di questo passo. GIACINTO PAGNOLET'l'l di GOFFll.EDO BELLONCI Da bravo romano che ha ricchi che , sognano una vii– perduta la pazienza, Fabrizio letta sulla via Aippia con il • presuntuosa autostrada con gili obelischi in tile as iro– babilrnese • proprio perchè ha disLrutto l'incanto di un 1 uogo acro. Egli ricorda qua– le sentimento -reli_giososusci– ta va persino neg1i increduli. l'entn:ata nei Borghi, ne1le vie dove i pelleg,rini e i !ed'eli dei secoli scorsi avevano la eia- lo qualcosa del loro spiritc, Ora egli sottoscrive le paro– le del Berenson che vide S Pietro • ridotto a oua1che co·a di simile dell'Ooera di Parigi quale s, offre alla vi– sta dal fondo del noiosissimo corse, che vi conduce•· Bada– te: H Sarazani potrebbe ,par– lare dei delitti deH'u•rbanisti- ca citando i testi antichi e moderni· che conosce b,mis– simo: gua1xlate. del resto. nel capitolo su -l'Appia le testi– monianze del Des Brosses del Goethe e o:i:ì sino all'Al– varo che egli richiama. E potrebbe anche svolgere idee appena accennate: questa, pe, esempio, che allargando il centro non si rende più la– cile anzi più difficile H 1raf- 0co cittadino che si accresce– rà e farà gorgo: o quest'al– tra che l'architettura nuova di Roma. Del re5to, di là dei confini popn!i e governi di– fendono con le leggi i centri antichi delle antiche città, vietano la speculazione sul– le aree del centro. come in lsvizzera. magari demania– lizzandole, e proibiscono di innalzar edifici . fuor di sca– la•· di proporzioni non con– ,·enienti all'armc,~ia de g I i •spazi» cittadini. Io sono un ammiratore deH'architettura modernissima. quando si a bella (troppa se ne fa di brutta) ma non compre..>do perché debba essere polemi– camente inserita in forme di– ·cordanti. demolendo antichi edifici, in una via o una piazza barocchi o del Ri– nascimento. Ccme del resto mi domando perché mai gli adoratori di Wri"ht si osti– nino ad alzare nelle nostre città quei ~rattacie1i che il maestro ha condannato in un memorab:le e ra~ionatis:slmo saggio. • ndrebbe benissimo se. come le sempre diverse archi tet– Lure dei ·ecoli scorsi faces– se rima~ com'egli dice, con il paesaggio e con l'aspetto a•razani si pianta davanti ai giardino decorato da fram. nemici di Roma e con peren- menti di ma11Jno antico o fa· torio accento romanesco li suJlo, pe,;zebti di pietra vec– aposbrofa ornar;, cafoni. bat·- chia inca \'rati nella faccia– bari, farabutti. Di antica no- ~a. il cÌiJ)resso fatto arriva– bi,le famiglia cibtad,ina. odia re in camion dal1la Toscana. questa gente che gli è en- e la 1Piscina •· E soggiunge: trata in casa a metter lutto • quando i pensa o quel che so sopra: in casa, cicè neJlla è peggio i vede ohe tulla sua città. Rico1'<la beni·simo questa robaccia è a contatto quane el'a: l'ha vi :ta, bambi- con [e Oa,tacom'be, con fa no. ancor bella con l'Aippia, chiesa del Quo vadis? c'è da i Bol'g'hi e via R,ipetta intat- farsi il segn 0 del1la oroce •· li. e l'ha Tesusciilata al!,la sua Finailmente, c'è un catloli- Architettura ID pieno sole fantasia come si mostrava nei secoli corsi dalle testi– monianze dei uoi famiUiari. e degli 0l'iblori s1,ranieri e italiani, Taine, Sa·inte-Beuve, Chateaulbriand, Le op ardi, Goebhe. Non la l'ÌCOllmCe più; e s·tpete a ,proprio strazio e con•f011lo 1e parolle di Ber– na,rdo Berenson. • sono la– lo in una grande ciUà e mi hanno detto 'eJhe era Roma; ma io ne,~ l'ho n·iconosciuta ». GH sembra clhe vi si•eno ca– lati di nuovo i bas·bari. un'or– da di vanda'li che di trug,go– no ['ope1,a di molti ecoli per far den-ao·i wn i ;>rezzi deHe aree e de!lJe case e degli ap– pa-Ptamenti nuovi. La singo– larità del uo libro, • Rc•ma per bene» (Fratelli Palombi editori) è appunto questa. che è stato scril\.to da uno dei , pad•·oni di casa», da un , sig,nore » a4 quale codesti a'l,J.:icc'hi,Li <Sembran gente da' g>u'a•xla•·e con disg;usto. daù– l'•alto in bas o. E rnedùa sua prosa, ra,pida i'Castica, en– za attenuazioni. senti quegto disprezza. Ma dategli to,,to. e pote– te. quando paragona l'alber– go diumo a piawa di Spa– gna a « un bi 1 dé in 'lln sa– lotto•. o quando vi t'icord•a le nefaste sbrag; di ,pini e di p>latani ,o la disbl'Lt71ionedel– le vil1le aJ centro, ohe enu– mera ad u,na ad una. • vi1l1la Costagu,ti a pot,ta Pia, villa· Giustiiniani p1res o tl 1a via La– bicana. vi!Qa d'Este aillleSette Sa1le, vi,Jila Miuti a '11es'baccio, villa Otitoboni a Sa,n Cosima– lo, villila Fonseca a S. Stefa– no Rotondo, vi4fa Nunez a Porba S. Loi-enzo. vill,la Cesi in Bo11go, e le v,i1ll!eLudovisi Chigi. Cmtag,UJ1!i,A<.l!Jallni, AJ.– tieri. Alldobrandini, Lancel– lotti, Ba111berini, Sad.'!111etti, Pabrizi. Non vi consig;lio di sciorinargli con la olita pe. bulanza i saliti asigomenti sul cenroro dEil!J ,aoibtà d he deve apri111Si a1J ' trraiffi.co " e non può essere i ngombro da ,g,iaT– dini. Vi rispondere'bbe impa– ziente, che Lond1ra ha v,asti - imi meravig;l,iosi ,parchi ,pro– p1ic, nal suo cenLro. E forse prosegui,rel:Ybe cosi: l'avete vista Lond•·a? sì? e a,lll:orasie– te in mala fede: no? e and,a– tela a vedere, disg,i·aziati. Glli inv,idio. io ohe pure di so'lito pado chi·a•·-0. q,uel suo ::,arlar chi-a•·issiono, sen:z>a peli u la lingua. « A1pr.i11:e 't.Nla di cus– sione ( u il' Ai!),pia) e ncm tro– v,a,re un accordo unanime nellla difesa d1 questa sbrada divina, si1g,nifi.cain pnimo lliuo– go essere dei cafoni, e in se– conido lluogo deg1li incor,reg,gi– bili soina,,i •· E 'Conrfnn ua tra t– tando di « pover uomo • uno sbandMo professore ex ac– cademico e per di più a,r– cheoilogo • senza dubbio il– lustre ma che egii non nomi– na perohè con le sue • be– s11emmie estetiche» gi,ustifi– ca l'insa:n,ia dei devastatori, deg,li speou[aitorl. 'dei nuovi t:li LEOXARDO SJ.l'lSG.'1.LLI cc, ohe ·ente e comprende quale danno ia per' la reli– gione mutare. guastare. di– st1,uggere i luoghi dove la tradizione cr mostra la pre– senza di ,a,postoli e di santi. Romano e cattolico. dete– sta ,·ia della Conciliazione Realtà L'S dicemb!'e è fe. la dell'Im.nacolata Concezione. un bel giorno per inaugurare i due grandi bracci del Villaggio del Fanciullo a Trieste. sulla collina di Opi– cina. La sloria di questo Villaggio qualcuno la con - ce già. Nacque per volontà, coraggio, ostinazione di un gran prete. Don Shirza non è un e prete amaro • nè e prete bello». Non è un prete diabolico nè un prete sur,realista. E' un sacerdote moderno che viag– giava fino a un paio d'anni fa. su apparecchi tran– so~eanici. usava come il Papa il rasoio elettrico. si intendeva di tecnologia e di operazioni bancarie come il poeta -r.s. Eliot. Don Shirza era assente que 1 'anno alla festa del Villaggio. I ciuecentocinquanta ragzzzi apprendisti. raccolti daJla sua carità. lo avranno a pettato ! Hanno ,·isto arrivare vescovi. mini ·tri. deputati. Non è arrh·ata la vecchia Pontiac. Da aua - che tempo è ricoverato m una clinica. Le. bora batte forte lassù. Quando furono piantati i quattro funghi in cemento precompresso qualcuno a Trieste ebbe paura che il vento furioso potesse rovesciarli. Io li ho sentiti stormire veramente quando i erano sp– pena rassodali dopo la colata del calcestruzzo. Da tempo. da anni. seguo l'architetlo Marcello d'Olivo. Lo seguo ne; suoi folli voli. Nei suoi traslochi. Sto ~!tento a quello che dice. Marcello parla poco. So che quando viaggia in treno si porta appresso i trat– tati di Scienza delle costruzioni. Li :egge come noi leggiamo i libri di ,·ersi. cmne Vigolo legge 1a mu– sica in autobus. Dipinge. disegna col pennello ca– valli, galli. uon1ini e donne giovani otto un gran •ole cuspidato. Il sole di Marcello non as omiglla "I sole di Van Gogh e neppure al sole di Klee. Ba la guardarlo in faccia, guardagli gli occhi. la fronte. stargli vicino per riconoscere in lui e un figlio del Sole». Comi.nciò a tudiare tardissimo. divorò i libri •n pochi anni. Chi non lo riconosce. chi non lo ao– braccia. quando lo incontrano i compagni della Scuo– la di Architettura di Venezia? C'è voluto un camion per trasportare da Udine a Ivrea i suoi progetti per un concorso bandito dalla Olivetti ultimamente. on gli hanno pagalo neppure le spese. Che vergognu! Deve [are alti mortali per vivere. A poco più di tren– t'anni anà co truito una \'entina di edifici. Ha co– •truito anche una città. icnte bagatelle. Hanno inau– gurato un cinema a Lati ana che è iì più bel cinema d'Italia. !la lerebbe il di egno dei uoi ampioni per Lignano-Pineta a fare la fama di un • designer >. I e designers >, og~i. guadagnano un 1nilione col di– se,:no di una forchetta. Andate a ,·edere l'ingresso della Villa Mainardis. due muri e un cancello. po1 venitemi a dire. Ci sono architetti che rosicano em– pre lo ;te· ò osso. un osso d'oro. C'è gente. tra noi. che con un oldino d'ingegno riu cirà a pagar·i lo ingresso anche in paradiso. Ma torniamo al Vii- ''01.,TO •·~1co • vince il si1nholo !aggio del Fanciullo. Sabato 8 dicembre. dopo il grande refettorio. dopo 'officina. sono stati inaugurati i dormitori. Fra poco sarà fabbricata anche la chiesa. Sono migliaia di metri cubi di calcestruzzo armato. Il maggiore dei quattro fratelli Ursella, impresari di Buia, vive con la sua squadra da sei o sette anni nelle baracche di Opicina. Questi uomini. questi muratori friulani. sono davvero degni della fama che godono in tu:to ii mondo. Nervi, Niemeyer, Candela stringerebbero commossi la mano dura di questi operai, D'Olivo ha ovuto una grande fortuna dalla sorte. incontrarsi con gli Ursella e la loro èquipe. Si sa che ii mestiere offre delle scorciatoie. L'architetto ha costretto Ja squadra a dei veri 101tr de fc ree, in ogni senso. Spi– goli obliqui, angoli acuti e angoli ottusi, triangoli. losanghe. distorsioni e sfasature imposte a una ma– teria nientaffatto fluida com'è il calcestruzzo. Ed ecco questi edifici che scoppiano net:o spazio come stelle o come fiori. che tagliano l'aria a fette, che scintillano alla luce. Io non ho nessuna voglia d spaccare il capello in quattro. Qualcuno verrà a fare rilievi e sondaggi. Qualcuno vorrà aprire il pro– cesso a Marcello d'Olivo. Trovo già miracoloso che un committente abbia lasciato all'architetto P,iena li– bertà. Del resto. quando questa libertà traballà. ?.lar– ~ello come un topo mastodontico abbandona le im– palcature. Sulle sue opere non pesa alcuna risen·a. La ua re ponsabilità è piena. Il Villaggio del Fan– ciullo di Trieste non è la ViJla a Garches o la Casa sulla cascata. non è un petit poème. Il Villaggio è un'opera composita e grandiosa. una scommessa che vale quanto una \"ila. on è un Kai-Kai. né un so– netto. C'è \'Oluta l'indipendenza e la temerarietà di un ragazzo (sei o sette anni fa Marcello era ancora ragazzo) per concepire un monumento (questa. amici miei, è la parola) di tanto peso. di t,mta evidenza. Che importano le scorie. le reminiscenze le ridon– danze? Qualcuno trova da ridire sui Ca11ti' di l\1al– doror?- Lo so. il cubo, il quadrato, il rettangolo sono moduli sublimi. :Possono spiegare il Partenone ~ i grattacieli. Ma a spiegare la Piramide e Borromini non ba la l'addizione. Con una materia piuttosto \'i– le. che non è pietra. non è marmo. non è mattone, non è legno. ma una pasta. 1 1n cong!omerato; ~on !e prezzature tipiche di un Picasso o di un Lipchitz. que t'opera può vivere per \'irtù della sua forma! Un'opera che nella sua solennità impron·isa. nella sua grazia esplosi\'a. nasconde la fatica dei lunghi calcoli. le pe,·ipezie di una esecuzione compie sa. An– ni e anni per risolvere un probletna. aggiustare una immagine. Qua·nto ha messo la natura per fabbri– care un carciofo o una pigna. una chiocciola o una istrice? LEONARDO INISGALLI SECOI..JI Ripeto: il libro di Fabriz:o Sarazani è lo ,.fc,w di un romano per bene contro questa ge,1te tutt'altro che per bene venuta a ;:uastar oer lucro la sua antica no– bilissima casa. E' un Ebro vivo. di!ettoso. e. nonostan– te alcuni erro r. (palazzo Sc:ana è di Flam.in;o Pon– zio, ncn di Carlo '.\,laderno: Maria Mazzarino starà qui per :\!aria Mancini nipote del Mazzarino) sempre bene in– formato. La -ua Roma è quella che fu cara ai via::(– siatori dei secoli scorsi. quel– la ohe sorse .[ungo le vie trac– ciate da Sisto V da bas:'lica a basilica. da chiesa a ch.e– sa: santuario e città per i fe– deli e per i peccatori, quan– do i romani dal patrizio al oopr,ano sembravano una fa– miglia. I suoi capitoli su 1e donne romane. sui costumi di Trastevere. su le tazioni del– la città. su la campagna ro– mana. ul Pascarella. sul Tn– lussa. e su 4a vita della so– cietà prima e dopo l'unità di Italia ci esprimono il suo sen– timento di rimpianto per le bellezze perdute. Forse, i due capitoli più belli sonc, • Ri– tratto di antenato" e Can– dida tra gli àngeli• nei quali rie\'oca il bisnonno e la non– na. Adopra )a parola come se~i. e ci dà - tac. tac - due vh·i r:trattì: c0n cjue!'a sua pro.sa immediata. a vo'.te. ma gari, lim-acciosa. ma con parole. spesso. azzeccati'sime (•la campagna rom-ana spa– lancata e verdissima) e c"n modi persino di classica ele– ~anza (, cinque ecoli prima che Roma fosse»). GOFFREDO BELLOXCI nella poesia di Betocchi * In figura d'operaio pm che d'intellettuale, Betoccbi riesce a restituirci vive le nostre or1gm1, quando la poesia era strumento esortativo d'una verità da dimostrarsi in bellezza: la verità d'una fede ma anche d'una precisa terra Firenze, lo sappiamo, è un luogo preciso della nostra civiltà letteraria attuale e della nosl'J:a attuale poesia. Ma per vederci davan li, vivo e concreto, Carlo Betocchi (uno dei protagonisti maggiori di tale cul– tura, nella fervente stagione del Fron– tespizio, tra La Voce e Campo di Marte), non ci basta dire ch'egli è fiorentino. Non ci basta il sottile aggettivo, che pur è tale da accendersi ,subito in noi d'una lim– pidissima luce d'intelligenza, così come nemmeno ci basta il dirlo toscano; anche se quest'altro più esteso attributo può in qualche modo far tacere il barbarico ser– pentello che abbiamo dentro, invidioso di tanta chiarezza dell'anima. Per vedercelo vivo davanti usand'o una parola unica, abbiamo bisogno· di dire che Carlo Betocchi è italiano (romanico addi– rittura anche nel suo • arcaico • e reali– stico cristianesimo), e allora si che iL suo volto lavorato dall'a1·ia aperta dei can– tieri. dove sole e tramontana provano la bontà della pietra come la resLstenza stes– sa del cuore, ci appare col suo tagliuzzato sorriso - d'etrusca terracotta, ma tempe– rato da un ghibellino e comunale· soffio di cattolicesimo in prog,resso - a ramme– morarci il tipo ch'egli rappresenta: l'uomo di casa nostra in figura d'operaio -più che di intellettuale, e che sulle remote orme . d'Enea, di contrada in c ontrada, va o è andato vagando in cer.ca d'una nuova spe_ ranza da fondare, percorre ndo intera quel– l'umile Italia che scintiliante di sabbie marine o :filuviali, di bianchi greti estivi dov'egli ha aiutato gli uomini a gettar ponti, alzare argini, affiancare strade dure e squillanti, ~inisce sempre col ritrovarsi nel volto unico d'una <fo'lla, wnile ne.i secoli, che grigia sale in lunga catena su1le piramidi •, e per la qua'1e • l'amore è tutto, anche il nemico •· L'immagme può apparire di comodo, e perfino sbrigativa nella propria forza pro– verbiale, ma se è vero che anche la reto– rica è indizio del Nume.(in quanto è egli stesso ad alimentarla), lasciamo che le farfalline delle nostre parole volitino an– cora un momento into1'no alla fiamma. Intanto, per il nostro Betoccbi, l'attri– buto di italiano appare come H più pro– prio anche e precisamente per la defini– zione sommaria del suo lavoro poetico. E' ·vero, s'è parlato, a proposito di lui, di romanticismo, a11udendo non a caso a * di G I O R'G I O I quella corrente anglosassone che com– prende i più verticali (gotici) slanci sbel– leyani; ma a parte il fatto che in ciò non è una <Smentita, anzi è un allargamento dell'attributo (ovvio per chi ha sede sul suolo e nel tempo d'Europa). forse è più facile concordare - tenendo di mira il carattere - con coloro i quali, nell'orche- trale trasporto dell'• eloquio • poetico be– tocchiano (concertato quasi sempre su uno sfondo basso di elementi casalinghi, su cui s'innalza lirico e alto lo squillar del– l'ottone), hanno preferito riconoscere l'ac– cento, e il timbro leggermente invasato, di certi nostri mistici; e magari, aggiun– giamo, la reviviscenza (ancora pre-dante– sca) d'una poesia che vorremmo dire so– ciale, ma nel primordiale senso di poesia da società (cioè rivolta alla coscienza - religiosa ma anche ~ivile - d'una ocietà stretta alle sue fondamenta e istituzioni), quale po! s'è andata perdendo .nei secoli del'la tradizione, sia pure per risorgere in parte, e fugacemente (dopo i massimi esempi ottocenteschi), cqn quel Carducci più italiano (anc'he se meno italiano-del– la-Terza-Italia) cui, laico o ateo che sia. meglio si avvicina la i:adice della parola betocchiana. Radice che per la ritrovata virtù di darci il fiore della terra nella quale s'affonda, capiVarmente potrebbe anche diramarsi, sul terreno dei raffronti. fino alla macbadiana Soria o a certi scin– till!a.nti accenti populares d'un mai nato fra noi Garcia Lorca, ma che comunque, per superare ogni altra approssimazione, riesce ancora una volta a renderci attuali e a raruiresentarci vive le nostre origini, quarrdo ancora la poesia era considerata, e attuata, come strumento esortativo di una verità da dimostrarsi in bellezza: la verità d'una fede indiscussa ma anche, ~ non secondariarnente, d'una precisa t.err~ Toscana certa, chiara e cura, e la schiera mutevole dei teiti con ta bandiera che non ha paura dei vizi, falsi o schietti... Per non arrivare addirittura, con mag– ~ior melos d'italico romanticismo, ma con minore schiocco di frusta, a: Bella Italia che serri la palma e nel mezzo ti fai la Chiana. quando guardo nell'aria lontana. .•.eccetera Il gioco degli accostamenti deve fer– marsi qui, e certo non varrebbe nemmeno e .l J> no X I li più sottile Carducci (per l'ordine to– scano della composizione, e per certo ma– scolino e cristallino impressionismo), od ogni altra possibile assimilazione (com– pre i Rimbaud e Pèguy), a spiegare il brillio - la mattinale pruina - di cui quasi sempre luccica e appare inebriata, come in una leggera allucinazione, la pur cosi ferma e concreta e terres1re parola di questo poeta, e che è poi i1 brillio natu– ,·ale , e non letterariamente accattato, della i.ua anima: il sigillo inconfondibile della sua originalità, e u nicità. di persona. Ah i, :i.et fastidio e nel do lore creo La goccia amata e l'incantata acqua mirabilmente salta Ahi nel fastidio e nel dolore e l'acqua senza requie strepita e nella mente Ahi, nel fastidio onore allo splendore dell'acqua iridescente e nella nuvola ahi, nel dolore! Od anche: Fumo che te ne vai o!o, spensierato, liberamente, da! focolare del duolo al cielo: prendimi la mente ... Ma è fumo (raptus) eguale poesia (eguale fede: nel vocabolario di Betocchi sono si– nonimi), che invece di aececarlo fino a non veder più gli oggetti terrestri (difetto di tanti altri poeti rapiti nell'estasi reli– giosa, che intellettualizzando troppo, o troppo sensualizzando, finiscono col far del mondo un cosmico zabaione dove non è più possibile scorgere un oggetto umano: una stringa, una cravatta, una persona, qualcosa di nostro) piuttosto è dentro di essi che gli fa accendere ta luce nuova, fin quasi a restituirceli, più veri e più vivi che mai, nella loro indubitabile presenza di • cose create •• e non di positivistiche (o idealistiche, qui è lo stesso) concezioni E invero non c'è poeta (religioso o no) meno di Betocchi abbandonato al « sogno • (RealCà vince iL sogno fu il suo primo titolo), e di conseguenza al vago simbo– lismo d'un'Europa dO\'e una sfuggente religiosità ha cercato di surrogare in qualche modo la smarrita Religione; cosi come non c'è poeta più di lui stretto alla concretezza de! paesaggio umano, e pro– prio per quella fede cieca in esso che soltanto un cristianesimo profondamente sentito (romanicamente più che romant·– camente sentito) poteva infondergli. Io non ho bisogno che di te, solitudine: a!ta, solenne, immortale dove più nulla è sogno ... .·.E godo la terra bruna, e l'indistruttibile certezza delle sue cose già nel mio cuore si serra ... Oreste Macrì, che a proposito di Betoc_ chi ci ba offerto tante preziose notizie– chiave, parla, riferendosi precisamente a una pagine di Mietiture II, di • intenzione ri\·olta sempre ai positivi dell'essere, alle punte di luce, alle cuspidi degli affetti • Ed è un'osservazione che saremmo tentati di dilatare sino a farle coprire l'intero campo (o quasi) della poesia betocchiana, la quale un'altra virtù antica ha ritro– vato, che è quella di restituire al Simbolo (quando lo adotta) il proprio oggetto defi– nito: il sicuro punto di riferimento d'una specifica società, in ciò distaccandosi dal– l'indeterminato simbolismo di tanta poe- ia moderna, così drammaticamente teso (ma atonalmente teso) oltre ogni razio– nale (o rivelata) verità comune. Guardo crescer sui secchi picchi dell'umana argilla con !'asciutta scintilla de! so!e i miei dì vecchi; mamma, la vigna muore, ecco i ginepri, duri e stiUanti, e ai giorni oscuri della ftiggiasca lepre, i gio·rni che ne bagna la guazza i! peto, e la paura de! cacciator, l'oscura voluttà della campagna ... Che è una cadenza perfetta, una per– fetta risoluzione della settima diminuita (c'è bisogno di dirlo?) nella semplice e realistica - e antichissima - novità del– rallegoria cristiana, e anzi una delle più beJle allegorie cri liane dell'anima (anche que to è ovvio dirlo) che ci siano state offerte dalla Poesia. GIORGIO CAPRONI

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