la Fiera Letteraria - XI - n. 44 - 4 novembre 1956

Domenica 4 novembre 1956 LA F l EH I. E I I ~-H A H I POLITIC;A E LETTERATURA * lllea ctilpa del critico * Per un 111i;;:·liore andamento della c1•itica militante. SUJJerando ;:·li int1·alci d.-lla 1•0l ..mica Non staremo a presentar Falqui a1 nostri lettori, che lo conoscono e lo seguono da an– ni. Cl limiteremo a comunicare che nei giorni scorsi ha licen– ziato le bozze della quinta se– rie della sua raccolta critica sul Novecento let.teTario e che ora. me:-:.tre vien correggendo quelle sulla Bibliografia e ico– nografia del Fu.tu.ri.smo, prepa– ra 12 sc.::onda edizione del suo repertorio su La giovane poe– sia e prosegue la scelta aelle più belle novelle del ·900 per una nuova grande collana an– tologica da lui ideata e dir_etta e già in avanzata preparazione presso la casa Vallardi. Fatevi raccontare come sono compen– sati i giudici delle commissioni che ~1- stribuiscono i milioni, se non la gloria, dei premi letterari: il più delle volte, sal– vo eccezione sempre più rara, senza nem– meno un biglietto di ringraziamento. Eppure continuano a prodigarsi. Perchè lo fanno? Forse perchè lo considerano un dovere? Assai più doverosa è la P:e– stazione del medico. Ma il m~co esige un compenso per i suoi consigli e inter– venti. Sacrosanto (se contenuto dentro g'iusti limiti). E dunqu~ viene spont'.'-°eo d'immaginare che sotto 11pervicace d1sm– teresse del critico letterario si nasconda la rivalsa della· segreta soddisfazione di un pubblico riconoscimento: quello dì veder– .i ancora in tempi come i nostn, mter– pellato p~r un giudizio. Giudizio di cui poi si tiene addirittura conto nell'asse– gnare un premio. Quale compenso, quale risarcimento migliore? Ma, per dare o accettare una simile spiegazione, bjsogna essere gonfi _dello ~te~– so pessimismo dì cui, ad esempio, s1 e ri– velato afflitto il poeta Eugenio Montale, quando, nel chiudere la propria annata di critico con un articolo sulla contrastata Fortuna del Pascoli e nel coglier così la occasione per commentare le apologie e le stroncature toccate in vita e in morte al cantore di Myricae, se n'è uscito col dire che « uno scrittore d'oggi sente di istinto che tra l'apologia e la stroncatu– ra non corrono p-andi differenze e che la sola cosa che conti è il rumore. Ormai - ha aggiunto (Corriere della sera, 30 dicembre 1955) non si fa molto credito alla critica: i critici non esistono più o sono inascoltati ». E il poeta Montale non è il solo a 1?1:n– sarla così tetramente. Anche il critico Giuseppe Ravegnani, per citare . altro esemo;o. La voluminosa raccolta dei suoi scritti sugli ultimi « quarant'anni ~i le!– teratura » (Uomini visti: Mondadon, Mi– lano, 1955) si apre con un'epistola al ~o– stro sottinteso indirizzo, ch'è tutto un rim– pianto e una lamentela per_ il diminuito, scaduto prestigio della cr1t1ca di « terza pagina » sulla letteratura contemporane~, -nei confronti della quale, m passato, il g1omale pur valeva « come u.r:ia specie di lettura universitaria». Ma ogg:i, non aven– do più « modo - secondo Ravegnani - di svo!gersi, nè come informazione e com– mento, nè come pungolo per il farsi della nostra lPtteratura », starebbe venendo qua– si meno al suo compito più genuino e più fruttuoso. Oggi, « tra giornale e pubblico, almeno per ogni cosa che riguardi le at– tività dello spirito», ci sarebbe « un'arida ~ netta frattura"· E, dì conseguenza, Ra– vegnani non esita a dichiarare che « il p~b– blico, abbandonato a se stesso, carnmma p<!r suo conto, imbocc.i qualsivoglia str~da, fa l'orecchio ai luoghi comuni e alla sciat– teria, confonde il sacro col prooano ..., pren– de per buoni tutti gl'ìntingoli, d'ogni cu– cina e d'ogni cuoco ... Non c'è un criterio sicuro dì scelta ...: e la scelta, per una ra– gione o per l'altra, tende al deteriore e alla scrittura anonima». Ecco un .doloroso tema di meditazione. E' vero o no che, di anno in anno, le sorti della critica letteraria contemporanea si sono svolte in modo tale da aver condotto all'eliminazione, o sparizione, dei critici militanti, o nella migliore ipotesi alla loro dimenticanza, al loro abbandono? Nelle sconsolate affermazioni del Montale e del Ravegnani ci' sarà forse alcunchè di ecces– sivo. Ma quanto non c'è, anche, di speri– mentato e d documentabile? Chi di noi "addetti ai lavori» non ne ha fatto la prova? Senza esagerare in pessimismo ma neppure in ottimismo, è fuori dubbio che, da un pezzo, ne stanno accadendo di tutti i colori e che, fra tanto disordine e mal costume, non poche son le nomee d'oggi– giorno affidate al rumore e allo scandalo, non poche le fame basate sull'equivoco di una condiscendenza eccessiva. D'accordo: scherzi e inconvenienti del genere s: sono sempre, più o meno, veri– ficali. Ma oggi la loro freque02ia non sta un poco troppo aumentando? E almeno una di * Ell1RICO J? AL Q {, I parte della colpa non sarà da dividere tra critici ed autori, per quanto non alla pari tra la forsennata vanità di certi autori e la rassegnata cedevolezza di questo o quel critico? Qui ci corre l'obbligo di confessare che, allo stato delle cose, il silenzio, per quanto sdegnoso delJ'uno o dell'altro dì noi « mi– litanti » non basta più per smentire e re– spingere, sgonfiare e ridurre taluni con– sensi e taluni elogi. Meglio del tirarsi in– dietro, gioverebbe il farsi avanti. Sia detto come riconoscimento di una nostra stessa arrendevolezza. Rinunziando all'intervento, e rinunziandovi anche quando si tratte– rebbe di intervenire sopra un fatto di co– stume (il quale tuttavia non manca di tra– sferirsi poi sul piano letterario): è così eh<' la critica militante ha perduto credito sen– za scadere di valore: militando meno del necessario, proprio quando sarebbe stato più urgente intensifìoare la propria azione; e illudendosi di poterlo fare senza danno. E ora? Un po' più di fiducia in se stessa e nP.gli altri, con un po' più di passione e di rigore, potrà dì certo aiutarla a ricre– dere con più fermezza e intransigenza nella Letteratura. Il segreto è tutto qui. Ben lo sapeva e ben ce lo ricordò Charles Du Bos nella prima delle sue quattro mi– rabili conferenze su Qu'est-ce que la Lit– térature?, quando scrisse che, « senza la vita. la letteratura sarebbe senza conte– nuto; ma senza la letteratura ... la vita non sarebbe altro che una cascata d'acqua: quella ininterrotta cascata d'acqua, sotto la quale tanti dì noi sono sommersi: una cascata d'acqua priva di senso, che ci sì limita a subire, che sì è incapaci dì inter– pretare. Di fronte a tale cascata, la lette– ratura cempie la funzione dell'idraulica, capta, raccoglie, guida e solleva le acque. Ma la cascata d'acqua è una cascata inin– terrotta... E se la letteratura deve alla vita il proprio contenuto, la vita deve alla letteratura la sua soprayvivenza, le deve quella immortalità che sì arresta soltanto alle soglie dell'eterno, quella immortalità al dì là della quale comincia la vita eter– na,,. (Plon, Parigi, 1945: Fussi, Firenze, 1949). Ma va subito aggiunto, tornando al no– str.:, mea culpa, che ognj difficoltà atta a rendere più ingrato e spesso assurdo il mestiere del critico (ch'è poi una vocazio– ne) costituisce alla fine, per chi la supera, Oltre che dalla letteratura sulla quale è tenuta ad esercitarsi e dal poco spazio di cui si trova a disporre nei quotidiani, non dipenderà anche dall'accumularsi di un insieme di circostanze, che vanno dal– l'engagemént politico all'aTTangement op– portunistico, dallo scandalismo al disfatti– smo, dall'inflazione alla baraonda, dalla condiscendenza alla faciloneria? Fatto sta che a lutti questi inconvenienti non sem– pre la critica militante riesce, come do– vrebbe, a sottrarsi. E succede che, ora qui ora là, per ragioni troppo spesso extra– letterarie ma in occasioni perciò tanto più delicate, essa demerita della propria cau– sa. Osiamo credere che non ne valutino abbastanza le conseguenze, qnantunque gravi. Proviamoci a ricollegarle tra loro e con– stateremo che sono all'incirca le stessi' messe in luce da Ugo Spirito in uno dei suoi saggi sul Significato del nostTO tempo (Sansoni, Firenze, 1955), volti ad indagare la problematicità della vita presente ne– gli aspetti culturali religiosi scientifici ar– tistici politici e sociali. Esaminata la Fu~ìone politica della cu!tura nell'attuale periodo di transizione, U<>o Spirito ne ha esaltata la potenza, se7npre ch'essa sappia, specialmente oggi, serbar fede alla libertà come alla propria condizione essenziale e ìnd ispensab1le d 1 verità, al di sopra di ogni equivoco e di ogni fazione. E non dobbiamo nascondere, che per conseguire tale risultato. all'uomo di ~ultura occorre opporsi al traviamento, o al tr,idimento, tanto della politica quan– to della cultura, respingendo il doppio– <>iochismo dell'una e l'astrattismo dell'al– tra sempre che accennino a prevalere e ad allontanare così la tregua di una tre– gua e di una intesa nella lotta tra Bor– ghes:a e Proletariato. « Fuori del com– promesso e della tattica», l'uomo di cul– tura è il solo ad avere facoltà dì « spin– gere lo sguardo fino all'avvenire lontano » e di « operare quindi alla profondità ne– cessaria per cercare i veri valori della vita». Orbene: la funzione del critico lettera– rio non è, in definitiva, diversa, se ba– diamo a con.. erarla in rapporto non al solo riconoscimento e apprezzamento del bello, ma anche alla ricerca e alla difesa del vero. Sìcchè allo stesso modo che dob– biam,i approfondire la nozione di « cul– tura» fino all'essenza più dinamica della "Otto volante", opera di Gino Lombardi, morto a Napoli il 9 luglio 1956 una prova di resistenza. Non chiudere un occhio, non cedere, an– che se altri li ha già chiusi tulle e due e ha già mollato: non dar confidenza e non regalar lode a chi non la merita ma pur la pretende: ecco una norma attenendosi alla quale il critico militante può star si– curo dì guadagnarsi la impopolarità, con quanto ne consegue di ritorsione, trascu– raggine e indigenza. Ma non perciò dovrà rinunziarvi. E meno ancora vorrà sorpren– dersi se, analogamente all'uomo di cultu– ra, per « tener fede al proprio compito deve ormai essere rassegnato in anticipo a ogni sorta dì reazione"· Gli anni fug. gono, ma per una rivista letteraria, che voglia far sul serio, il programma più va– lido resta immutabilmente quello enun– ciato, nella Voce, dal De Robertis: « In ar– te, creare cose vive. In critica, abituarci a riconoscerle. Nella vita, accettare la mi– seria J>. Onori, quattrini e lusinghe fanno stra– ge, e alla lunga intaccano la stessa ca– pacità dì giudizio, indebolendone la seve– rità. ••• A questo punto val forse la pen<>di sof– fermarsi un momento sulla dolorosa que– stione del minore ascendente che la critica militante è oggi in grado di esercitare, ri– spetto a quella di ieri. sua azione per la conquista della libertà spirituale, cosi dobbiamo conservare alla noi-ione di « letteratura » il prestigio e il fermento che le provengono dall'essere in definitiva un filtro dì verità. Ma appunto ciò fa correre alla lette– ratura gli stessi rischi che alla cultura. « Se il gioco è doppio da tutte le partì, discaro a tutte le forze politiche diventa l'uomo di cultura che del doppio gioco rappresenta l'antitesi più radicale». Non diversamente succede al critico letterario, sempre che voglia conservarsi libero, oggi che il rapporto fra potere della politica e potere della cultura è diventato « molto più teso e gravido di conseguenze,,. An– che il critico letterario deve quindi acco– gliere, più dì quanto non faccia, l'« invito al colloquio» dell'uomo di cultura; gìac– chè al pari di questi - per dirla con Nor– berto Bobbìo (Politica e cultura: Einaudi. Torino, 1955) - « non può decidersi che per i diritti del dubbio contro le pretese del dogmatismo, per i doveri della critica contro le seduzioni della infatuazione, per lo sviluppo della ragione contro l'impero della cieca fede, per la veridicità della cienza contro gli inganni della propa– ganda». Se il colloquio tra Borghesia e Prole– tariato, intesi come due diverse civiltà, non sì attua e non si intensifica, la prima a risentirne .è la cultura. E, almeno tra gli uomini di cultura. il colloquio dev'es– sere avviato nei giusti termini di chiari– ficazione e di equilibrio. tenendo presente che la "politica compiuta dall'uomo di cultura in quanto tale non coincide ne– cessariamente con la politica eia lui svolta come uomo sociale, onde la larga possi– bilità di unificazione» che un colloquio " può promuovere tra intellettuali appar– tenenti a partiti politici diversi». Insomma: « contro la politica culturale. che è la politica fatta dagli uomini politici per fini politici, la politica della cultura» deve sforzarsi di promuovere l'esigenza antitetica di una politica fatta dagli uo– mini d1 cultura per i fini « stessi della cultura». E sarà sforzo vantaggioso anche tra i critici, specialmente di letteratura contemporanea, essendocene di quelli, so– prattutto tra gli iilìberalì, che nelle opere vanno ricercando solo la rispondenza con la propria ideologia politica e su di essa regolane il gìuòizio. Politique d'abord. Al– la cattiva interpretazione del rapporto tra politica e cultura fa così sèguito, peggio– ranàol~, quella del rapporto tra politica e letteratura. Incompatibilità? Bisognerebbe ammet– tere che la cultura possa estraniarsi dal « mondo quotidiano delle passioni e degli interessi di tutti» senza isterilirsi e pe– rire. Mentre se - come ci rammenta Re– mo Cantoni (La vita quotidiana: Monda– don, Milano 1955) - « chfamiamo J>Oli– tica, in senso lato e aperto, la partecipa– zione alle cose del mondo, la vita attiva nella comunità, assumendone i reali pro– blemi», allor.a è certo che la cultura non può in alcun modo presumere di prescin– dere dalla politica. A meno che l'una non degeneri nell'astrattismo o funambolismo, o accademismo, o tecnicismo, o formali– smo, e l'altra nell'intrigo e nella preva– ricazione. Ma in tal caso si tratterà di una cattiva cultura e di una cattiva politica. E Cantoni ci ricorda anche che, tanto per i politici quanto per gli uomini di cultura, « chi non si impegna mai come uomo vivo nella storia, non è situato in alcun punto della storia ». Difatti anche la non-azione è un'azione; solo che chi la compie, invece dì farla da soggetto attivo della propria politica, la fa da oggetto passivo della politica altrui. La non-azione è inazione, e spe so si trasforma in cat– tì va azione. Non per nulla, ogni inter- vento modifica sempre alcunchè • della realtà sociale. E, anche se la politica vuol coronare e organizzare le azioni dei sin– goli, l'azione dì ogni singolo rimane per– sonale e qualitativa. Pertanto - conclude Cantoni - « la politica della cultura deve essere qualificata dalla presenza consape– vole e fertile dell'elemento culturale in quello politico». E l'elemento culturale si traduce e sì sviluppa sempre in un impe– gno di informazione e di formazione, dì ricerca e di critica, di comunicazione e di persuasione, ma al di sopra di ogni ac– corgimento politico, quasi sempre più o meno contingente. D'altronde è indubbio che alcune di queste e dì consimili proposizioni. scelte fra le tante di cui sono intessute le tre opere citate, sono suscettibili dì svolgi– menti niente affatto immuni da faziosità o, per lo meno, da quella stessa « partiti– cìtà n contro la quale sono invece rivolte. Tuttavia, quali le abbiamo riprese e se– g:1alate, esse vogliono semplicemente, in– dicare quanto siffatte indagini intorno al rapporto tra politica e cultura riescano utili altresì per agevolare e conseguire un migliore andamento della critica let– teraria e in particolare dì quella sul No– vecento. Serviamocene come di altrettanti aiuti per superare la polemica. ENRICO FALQUI Pag. 3 y ·~ f~. ~ ..,- ",.,. ... ,n, Luigi Bartolini: "Paesaggio" PADRE - se giova la memoria * di Lf;IGI BARTOLl.\·l Tu, come un Dio eri. per me, oh mio buon padre, ormai vecchio! Tu, sì, come un Dio fctiU. per me, oh sì, nell'infa:1zia innocente. Io ti vedevo risplendere come il sole che ogni giorno sorgeva, illuminando i miei giovani ann~. Crescevo alla tua cara luce, alla tua benefica ombra caro buon padre, quantunque severo e severissimo (ahimè, forse troppo lo fosti con me, oh mio buon padre!). Oh mio buon padre: a passeggio io con Te per le strade dei camp: verse sera, per candide strade fra timide ali di acacie, là, per quella del Cimitero chiomata dai sambuchi. Oh le cetonie dorate, fra i bianchì ombrelli dei sambuchi! e i marginati ditischi. le notonette acquatiche, l'acqua breve dei foss: oltre la strada del Cimitero profumala dai sambuchi. Poi a Santa Rma, 1Il'edicola, nella selva delle ginestre ci recavamo. oh mio buon padre, e mi guidavi per mano sino alle querce alte. là, sopra i vigneti dì San Marco (della chiesuola di San Marco - da Utrillo mai dipinta -). Sì giunse, a volte, persino alla villa del lontano Bifolco, in vista alla Torre dei Ghisìlìeri, alla lunga piana dì Jesi. Era, nella villa del Bìfc,'.co, l'Erma antica virgiliana in una nicchia dorata dall'ora del tramonto. S1 ritornava stanchi. Sul colle era mia madre ad attenderci, era dietro agli intrecci degli alberi; piropeggiava una grande luna. Oggi, non più tali dolcezze per Te, per me, per mia madre lontana, lontana, ol_tre Stige crudele, la madre santa è passata. Ora non più, da assai tempo: ora non più, oh mio buon padre Troppo, ahi!, anobe per me, fu lungo il tempo che dall'infanzia felice m'addusse al grigio dei capelli. Sorsero, scoppiarono, intanto, i tormenti dì più d'una guerra nè ristettero mai a lungo spenti; brevi furono le ore di pace, brevi le ore di pace a contarle, oh mio buon padre!; ed in ultimo eccoti: che, quasi cieco, brancoli al mio fianco. Me misero! ti vedo, o buon padre, con mani tremanti penare passi! Padre, eri quale una quercia dei Ghisilieri,_ dell'alta Torre! Giovane eri Tu, carne un Dio oh padre, per me nell'infanzia. Eri, con i tuoi neri capelli come un cipresso dei Ghisilieri.. all'eccelsa Torre. lo ti credevo eterno, nei miei anni tanciulli, per le pareti istesse di questa casa tu risplendevi come un sole. Così opera il Tempo; nefasto ad ogni creatura; la distruzione finale opera, d'ogni erba, d'c,gni fiore, d'ogni città, d'ogni regno, del mondo intìero. Anche per te (che operasti il bene del lento indicare ai fanciulli la a, la e); anche per te, i cari libri ora giacciono allineati in sc.iffali irti di poh'ere. Oh il tuo sapere di greco e latino! e la tua alta umllità: i tuoi eletti giudizi, rimasti impressi nel mio cuore! In me, l'istesso amore per le Arti, l'istesso rispetto e venerazione peì grandi nomi, oh mio padre, degli uomini del passato; l'istesse ansie per il futuro degli uomini; l'istesso desiderio di redenzione! Ma gli uomini mai in tempo faranno ad aprire gli occhi che la falce s'avventerà tacitUTna mietendoli senza pietà! Oh quale, qual è la tua intenzione oh Signore? o Giove inflessibile. qual è il tuo disegno ultimo, Tu che cancelli di continuo? Tu che distruggi o folgori, o logori; saetti le miti chiome degli olivi e lentamente logori la corteccia fra la canicola e la brina. (Tale è, oggi, simile al vecchio olivo, mio padre; un vecchio sostenuto dal bastone). Perchè Tu, così operi, oltre il bene ed il male, oh Giove eterno? Nell'innocente C'u.llaè già segnata la trìstezz,,a. della morte (né più si giuoca ai dadi, a testa o corona, oltre il tre.mendo Stige!). Era pieno di bacche aulenti il cipresso, giqvane, della Torre dei Ghisì ieri ma lo spaccarono le folgori; e solo per la legna fu buono ad ardere; fece pietà, in uJtimo, anche il già verde e dritto cipresso dei Ghisìlieri . Cosi, vecchio buon padre, purtroppo, presto anche tu cadrai. Darci coscienza il Fato (eppoi di che cosa?) e quindi distruggerci; creare altri noi, altri miseri noi, e sempre più miseri di mano in mano che il numero dei ·nati nel mondo si moltiplica. Io rimarrò solo, senza di Te, a reggere la mia croce; spilluzzicare, a poco a poco, ,il mio grappolo, bere il mio vecchio vino, e avvìlìrò, come te, a poco a poco, cessato il ritmo di gioventù. arrugginite le mie sfere, gemeranno le mie ossa; invano, dentro dì me, incolperò le giovani ore del mio passato gìacchè nessuno ha colpa di ciò ohe gli accade mentre invecchia. Sei Tu medesimo, oh FatC\ che ci lusinghi ad esistere. se siamo giovani. e Tu medesimo che, da vecchi, ci mortifichi e ci spegni. O Tu, più crudele dei t1,ibunali umani, di Te parlano gli ospedali, le carceri, i mucchi dei morti nei campi delle battaglie innumerevoli! Non ti dirò «addio!» mai, oh mio buon padre, vecchio stravecchio; tale cuore non avrò no, sortendo da casa, dì dirti •addio>; noi possediamo, certo. un bene che il Fato, senza pietà, non possiede. Da' a me la tremula, la gelida mano oh mio buon padre ch'io te la regga a lungo. Non brancolare nel buio. La sosterrò sino in ultimo la tremula e gelida mano! Alla fatai tua sera non accostarti; ti stringo forte! Deh non cadere, oh mio padre; fa cuore sino in ultimo! Rammenteremo, insieme, le passeggiate lantane, sino all'Erma virgiliana, sino ai piani dì Jesi velati di nebbie tenui. E le rive dell'Esinante. Rammenteremo le prime ciliege clle m'appendevi all'orecchio, oh mio buon padre! Erano bianco rosate ciliege corniole, a due a tre nell'istesso piuolo; la tazza era bianca, smaltata (la tazza colma del venditore di ciliege). Luccicavano le ciliege, pendevano lambendo le mie gote di fanciullo. Se fu, per tali momenti, inefil.abile l'ora del tempo, trascorse allora, candida quale un bel sogno: lasciò una traccia nel mio cuore insieme ad altri fanciulli 5ogni, ed alle brame di gioventù, su questa terra: dura a raccogliere, ormai, i miei ultimi sogni. LUIGI BARTOLINI

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