la Fiera Letteraria - XI - n. 17 - 22 aprile 1956

Domenica 22 aprile 1956 Il babbo stava studiando il Libro di Es.ter. Mancava poco alla festa di Purim, l'epoca tn cul !'lella sinagoga si legge la storia di Ester. L'inverno era stato lungo e rigido. Fuori, Ja neve sì andava sciogliendo, il pesante man– tello bianco della terra scompariva a poco a poco e il sole portava lentamente alla luce tutto quello che era rimasto nascosto sotto la neve e il ghiaccio. I sentieri fangosi si trasformavano in un'u.rùca grossa pozzanghe– ra. e le strade divenivano 1mpraticabili; i << laghi » g~lati si aprivano e i vicini poteva– no comunicare solo dandosi la voce l'un l'al– tro poichè incontrarsi di persona era troppo dlfficile. Nell'interno delle case l'aria era più calda e respirabile. Le finestrelle coperte di gelo lasciavano cadere i fiori di ghiaccio che erano germogliati sui vetri per tutto l'inverno e l'untldità gocciolava tanto che, guardando al di fuori, era impossibile distinguere quel che accadeva. La stanza era piena di vapori e del fumo della cucinetta, che non poteva trovare una lia di uscita per il camma fuligginoso. Gli abiti pesanti, che durante il corso del– l'inverno erano divenuti per il corpo quasi una seconda pelle, cominciavano a dar fasti– dio, a ingombrare, e tutti desideravano libe– rarsene. In questa stagione 11 babbo cominciava a provare la lettura del Libro di Ester; e quan– do la sua voce risuonava durante l'intonazio– ne, scendeva il sol1ievo sul mondo, sorgeva di nuovo la speranza, sembrava che fosse gmnto il pruno saluto della primavera. Quando il babbo provava il Libro di Ester, il silenzio in casa doveva essere tale che si potesse udire cadere uno spillo. A dire 11vero, era cosi ogni qualvolta c'era il babbo (spe– cialmente quando si concava per il pisolmo pomeridiano), ma quando studiava o si eser– citava. nella lettura della Bibbia, tutti dove– vano camminare in punta di piedi, parlare piano, anzi respirare piano, e persino questo riuscivi. di dis~urbo E cosi, come abbiamo detto, non appena il babbo faceva una delle due cose, o si cori– cava sUJ divano pieno di bitorzoli per fare 11 pisolino, o si accingeva a recitare la Scrittu– ra, doveva regnare in casa un silenzio reli– gioso. Ma. in casa c'erano - il Cielo li protegga - più bambini del necessario; in serie, da Shioime Chaim, l'apprendfata del ciabattino, alla bimba più piccola, che portava il nome · della nonna e si trascinava sul pavimento. Perciò lasciamo immaginare quanto fosse difficile per la mamma farli star buoni quan– do il babbo dormiva o studiava: ognuno di essi aveva un'abitudine speciale, un modo particolare di far valere i propri diritti. A comjnciare da Moishele, « il Bue)): Moishe– le, che il maestro aveva rimandato a casa dalla scuola elementare ebraica perchè la mamma non aveva pagato le tasse dell'ulti– mo trimestre. l\lioishele considerava proprio i momenti che il babbo dedicava alla prova del Libro di Ester ~ome i più adatti per inse– gnare al fratellino minore, Joine Gedalie (lo chiamavano Jolne col nome del nonno pater– no e Gedalie con quello del n,:mno materno e anche con un soprannome, che l'etichetta non ci permette di riportare qui) per Inse– gnare a questo Joine Gedalie a fischiare tra i denti, tenendo le labbra serrate. La mamma, che stava ritta vicino alla stu– fa, temeva che il po' di minestra condensata che stava cuocendo andasse fuori e diffon– desse un odore sgradevole nella stanza e cer– ca va di far star buoni i ragazzi dando a ognuno un colpo nelle costole. Allora Il più piccolo, Joine Gedalie (con il soprannome non menzionabile) pieno dì cc joie de vivre )), scoppia va a ridere di cuore e com.inciava a fischiare tra ! denti. II babbo sollevava gli occhi dal libro, si al– zava gli occhiali sulla fronte e guardava pri– ma la mamma, poi il bambino dal sopran– nome attraente; intanto recitava, col tono di voce più alto possibile e con tutta la forza di cui era capace: « In quei giorni il Re As– suero di Shushan sedeva sui trono del suo regno)>. La mamma disse a Moishele, cc il Bue ll: « Bene, vèdi che hai fatto ora?>>. I ragazzi tacquero e pur avendo delle cal– zature poco adatte, decisero che era meglio LA FIERA LETTERARIA LE PAGINE INIZIALI DEL NUOVO ROMANZODI SCHALOMASCH Il babb10, la D1onin10 lo .f 0U1i9 lio uscire sulla strada a guazzare tra. I vari « la– ghi>> e «fiumi». Quando il silenzio fu di nuovo ristabilito in casa e si udl solo U rumore della macchina su cui Shloime Chaim, « 1l maggiore 11 - che era a quell'epoca l'unico sostegno della fami– glia - cuciva tomaie per il calwlaio del vil– laggio, la cantilena del babbo continuò a cre– scere in volume e fervore, fino a ra~g!Ungere l'estasi. Ora egli gareggiava col 'brontolio della macchina per vedere chi sarebbe riu– scito a mantenere il tempo e il ritmo e chi avrebbe superato l'altro in volume; la sua voce andava acquistando sempre plù forza trionfale. Nessuno al mondo era più felice di lui quando provava la parte settimanale della lettura del Sabbato Cl). Ma !a felicità rag– gungeva il massimo quando leggeva il Libro di Ester, poichè era quello che preferiva ad ogni altro della Bibbia. Quando !o recitava, immaginava di trovarsi alla corte del Re As– suero, seduto alla gran tavola festiva dove il vino era servito in vasi d'oro e ognuno pote– va bere a volontà. E quando arrivava al passo che narra come il Re Assuero si ubriacasse al punto <e che il suo cuore era allegro per e !e paro,le e l'intonazione venivano l\Jorl quali voleva udirle, egli era l'uomo più felice del mondo. Aveva un'imma1:tlnaz1one vivacer ma non si librava mal cosl In alto tanto Jn alto da rendere possibile per lui perfino l'im– possibile - come gli avveniva provando 11 Libro di Ester. Sembrava che li !ascino in– cantato che circondava la corte di Assuero lo avesse contagialo. La mamma faceva presto ad accorgersi che egli era di buon umore. In queste occasioni le piaceva indulgere a un po' di autocompas– sione a specialé beneficio del marito. Sara Rifke non si lamentava mal con nessuno; nessuno la confortava. Ma quando notava che fl suo Ansel era di buon umore, le pia– ceva Iaflo sentire un po' addolorato per lei. Non che èlla avesse alcuna a!Illzlone parti– colare in quel momento, ma solo perchè ciò le faceva provare una sensazione piacevole. Cosi accadde anche questa volta. Il babbo chjuse il suo libro con un gesto di magnifi– cenza. sospirò un po' (anche questo faceva provare a Jui una sensazione piacevole) e andò ·vicino a Sara Rilke che, tenendo « Il poppante» fra le braccia, stava in piedi ac– canto H fuoco; egli diede al piccolo un col· aria !ndlflerente, come se la capra in quello stesso momento stesse legata a. una cordi– cella davanti alla porta di casa. 11 Tanta gen- ~~~i~ziif~à qt 1 :s~i t;~i;1~fr:e; i~;oi~:l~e ~ : trire più di una >>. Durante questo discorso Sara Ri!ke ~uardò il marito con aria lnterrogatlva e nspose: (< Dimmi, caro marito, dove prenderai il de– naro per una capra?». « Questo non ti riguarda. Se dico che ti compero una capra, te la com1>ero; certo, co– nosci abbastanza bene Il tuo Anse!, indi– cando se stesso - per capire che quando dice una cosa, non pronuncia delle parole vuote; quando Artsel dice una cosa è quella))_ La mamma non rispose sillaba, sospirò sol– tanto. Era uno dei suoi ben noti sospiri. Al che Anse! esplose: « Le prometto una ca– pra e tutto que1 che ~a fare è un sospiro! Suppongo che ciò signit!ca che non ha! al– cuna fiducia nelle mie promesse, no? n. La mamma sapeva di essersi spinta troppo lontano questa volta. Per quanto amabile po– tesse essere l'umore del marito - e certe volte Io si poteva abbordare senza precauzioni, co– me una persona qualsiasi - anche la sua AIINOLDO Cl,UUIOCCHI: Paesaggio (VII Quadriennale d'arte di Roma J li vino» e desse ordine di condurgli la Re~ gina Mashti, allora U babbo accarezzava i toni in gola come se si fosse vergognato di permettere a quelle parole di oltrepassare la chlostra dei denti. li Re siede sul trono e tiene in mano lo scettro d'oro, la Regina Ester con la corona in capo appare a1 suo cospetto e cade in ginocchio; ella scorge cle– menza nello sguardo di lui che le rivolge lo scettro dorato e dice, vezzeggiando affettuo– samente le parole in gola: « Qual'è la tua richiesta, Regina Ester, e perché hai paura? Anche se chiedessi la metà dei Regno, ti sa– rà data ... ». La mamma era in cucina_, vicino alla stufa e quando udi Il babbo provare il Libro di Ester, e tornire ogni parola come se fosse stata una perta inestimabile, il suo cuore tra– boccò di gioia; si destò in le! l'orgoglio dei maritv, il dotto Lettore della Scrittura, e. le venne fatto di pensare: « come mai mento questa felicità?,, E sembrava si riconciliasse con tutte le sofferenze che la vita le aveva riservato. Quando la prova dei babbo procedeva bene petto sulle natiche e cominciò a parlare fin– gendosi di cattivo umore: e< Ebbene, che cosa mi cucini per cena que– sta sera, Sara Rifke? >>. « Cucinarti? Che il Cielo ci aiuti, che ,cosa ho da poterti cucinare?». (e Oh, naturalmente non puoi cucinare Il t;po di cena che fu servito alla Corte de! Re Assuero di Shushan, cara moglie», risponde Anse! con un sorriso nella voce. ,eOh, come si può paragonare il lavoro delle nostre mani aHe meraviglie della Scrltura? ,,, dlee Sara Rilke con un sospiro, poich,è '(ede il suo Anse! di un eccezionale buon umore. « Ansel - continua _ ho allevato parecchi bnq1bini, ma questo - passa il grembiule sul– la fronte de! bimbo che le giace tra !e brac– cia, come se fosse divenuto una parte di lei - questo mi toglie proprio la vita, mi mangia viva addirittura, che sia benedetto"· Passa ancora una volta il grembiule sulla fronte del piccolo e asciuga il sudore· freddo che gli si e raccolto sulla testma calda. << Sai, cara moglie, sarebbe proprio meglio s,e ti comprassi una capra, così potresti avere sempre del latte Cresco>>,o serva Anse!, con amabilità aveva un limite, e la mamma ave,.. va paura di superare questo limite. << Perchè dovrei discutere con te? Prima porta la capra, poi vedremo il da farsi>>. Questo era troppo, e< Dunque le promesse di Ansel non signi– ficano nulla, è cosi?>>. « Chi dice questo? Al contrario. Non credi che nù farebbe piacere possedere una capra? Solo, portala a casa, dammi !a. possibilità di vederla qui>>. << Ah si, credevo. Credevo ... )>. II babbo si · calmò, e si mise. Il cappotto imbottito da in– verno. La mamma lo aiutò a togliere il fango secco dall'orlo e gli spazzolò !I cappello. Anse! si lisciò la barba, prese il bastone e andò alla sinagoga per le preghiere della. sera, La mamma capì che non poteva contare sul denaro per comprare cibo per la cena, ·Perchè quando ii babbo tornava da! mercato a mani vucte ... (ma no Anse! non tornava mai a mani vuote; se non aveva denaro ave– va semp·re pront9 Il discorso su . cc una ca– pra J>, (I un buon affare», e « un biglietto su un vapore per l'Ameri:a »). Cosi accadde anche questa volta. Il momento In cui Anse! cominciò a parlare della cc capra», Sara Rlfke seppe che egli non aveva in tasca nemmeno un groschen. Per– ché, quando ha guada[<Tlatouno o due gulden di provvigione, non nomina ma1 una capra. ln questo caso entra nella stanza, cantarella adagio un'aria e comincia: << Bene, cara moglle, credo tu abbia biso– gno di un po' di denaro per la cena, non è vero'/». Con queste parole tira fuori di tasca due gulde1i e li mette sulla tavola. Un cavaliere anLico, prendendo lezioni di maniere da An– se!, ne avrebbe tratto profitto sul modo plù grazioso di consegnare al suo re i prigionieri di guerra: con un gesto altrettanto magni– fico Ansel metteva 1 due gulden davanti alla moglie e Il cc consegnava>> nelle sue mani. E, parlando, si Hsciava i baffi con due dita, si afferrava la barba e diceva con noncuranza: « Là c'è la picca, cara moglie, uccidili, 1es– sall, o friggili, e servili per cena! ». Ma questa volta. seguendo la conversazio– ne sulla capra, la mamma capi che non do– veva aspettarsi da Ansel denaro per acquJ– stare !I cibo per la cena. Ottenere pochi groschen dal ,, giovanotto 11, il cucitore di to– maie che stava risparmiando denaro per un biglietto su un vapore per l'America, era pos– sibile solo a costo di molti alterchi e ingiu– rie, e polchè la mamm~ non intendeva gua– stare il buon umore in cui l'aveva messa la riuscita lettura del babbo, non volle abbor- ~i~f Jf u~fi~v~~it~~;~a~l s~g~;~iti~~ql~e si~ pentole. Erano prodigiose, quelle pentole del– la mamma I Sembravano proprio normali, non diverse da tutte le altre pentole del mon- fibc~i 1e;;~,.°:~~n~ 1 t~~\~;é;b~c}stt~~ 1is~! 0 ~tr:~c;: 0 ·af1~te:~p:~"l~~a~~t~~ani~n~1 ~~~r~~t ~:n~~ mamma era capa~e di fame Sara Rifke poteva cc mungere » le sue pen– tole come mucche. Esse non le negavano mai nulla. Consegnava loro acqua fredda, e le rendevano la zuppa di carote di ieri; dava loro acqua bollente, e le pentoie le restitui– vano un piatto da re. La mamnia possedeva una sola Ionnula di estorsione da usare eon loro: un sospiro. Quando le pentole sentiva– no sospirare la mamma, era come se ella avesse ripetuto un sortilegio segreto per scon– giurarle a fornire !I boccone di cibo pietosa– mente magro; tutto quel che chiedeva per la sua grande nidiata. Nè questo era strano. Solo che quelle non erano pentole normali. La mamma le cono– sceva bene da anni. Molte cli esse le aveva conosciute fin da bambina, e sua madre ave– va goduto dello stesso Potere segreto su di loro. E da sua madre, anche lei, le aveva ere– ditate. C'era la pentola con 1a stretta fascia nera e con l'orlo sbrecciato dal tempo che era stata invariabilmente la salvatrice della famiglia. Era la migliore amica della mam– ma. Non le rifiutava mai nulla di quanto chie– deva. Sapeva come conservare nei suoi orli e nei suoi angoli l'essenza delle carote cotte e della carne messa in salamoia, e sulla sua superficie interna c'era sempre uno strato Ln– visib!le di grasso, qua\! che la pentola capisse che la povera gente non può indulgere nel ~~svs~ r~ 1pa'!-1,~r:i:r:u:~~~a ~er ~n:io~~lt~i l~t gi;a. Era a questa che la mamma si rivolgeva sempre nell'ora del bisogno; e anche adesso, quando Anse! !a ! asciò in difficoltà. col suo discorso su e , u.oa, capra 11, ella si avvioin◊ alla pentola e redit ata dalla madre. Pronun– _ciò il suo sortilegio segreto, un sospiro, vi versò l'acqua e g-Havanzi del pranzo del gior- ~{urfs~~~bhiu:~~~n~0:~Pr~~~o~Y~ti~~it'e t,: time mdiri.zzate ai due bambini che erano appena tornati a casa con i piedi infangatt, da! loro « viaggi su laghi e fiumi » per le strade. E ben presto Ja. pentola tirò fuori dalle sue screpolature 11grasso che vi si era -accumu– lato in tanti anni d1 servizio, emanò l'odore di tutti i cibi che vi erano stati cucinati e mandò Cuori insieme al vapore un profumo cosi allettante che ben presto la casa intera fu riempita da un odore appetitoso, e tutti i bambini sl riunirono ln oucina per vedere quali buone cose la mamma stesse preparan– do. E quando Anse! tornò dalla sinagoga e IJ profumo della zuppa !o salutò sulla porta, cominciò ad aver l'acquolina in bocca e ar– diti progetti riempirono !I suo cuore: <t Sai, cara moglie, - cominciò entrando - ti com1>eroun posto permanente, dopo tutto». i< Che tipo di posto permanente?», chiese la mamma so11>resa. << Un posto permanente nella sinagoga, quello che prima apparteneva alla defunta moglie di Reb Le!busch, E' rimasto vedovo, Pag. 3 La più recente immagine di Scbalom Asch sai. Ora, dimmi, non dovresti avere un posto permanente nella sinagoga?». « Via, via, smettila con le tue sciocchezze!». Ansel aspirando il profumo emesso dalla pentola benefica., commciò a sognare I c1bi piccanti che m quel momento avrebbe man– giato con piacere. Tirò fuon una cartina e usando 11suo ul– timo pizzico d1 tabacco si arrotolò una siga– retta per dopo !I pranzo. E facendo questo com..nclò a enumerare tutte Je specie di arin– ghe marinate e in salamoia: <C Un'aringa con cipolle a rette, condita con aceto marinato: se ora ne avessi una, non potrei davvero resisterle; o torse un'aringa bianca, grassa, carnosa, condita con pepe e con sopra un sottaceto tagliato a fette: an• che questa avrebbe un buon sapore: o per trebbe esse"re un'aringa affumicata non trop– po imbevuta di acqua manna, ma nemmeno troppo ascmtta, gocciolante grasso: neanche questa sarebbe male». Quando. Sara Rifke s1 accorge che 11 suo Anse! desidera ardentemente un pezzo d1 aringa,• non ha pace. Se deve nfiutare un pezzo di pane ad uno dei figli non si rattnsta. tanto come quando Anse! desidera un pezzo dl aringa. Ogni volta che ciò accade, s1 ri– volge all'unico salvatore della famiglia. Apre la porta e chiama: « Debora, Debora!,,. Ansel si ricorda di essere ti padre della. bambina e comincia a rimproverare: << Dov'è? Nelle altre famiglie le ragazze del– la sua età hanno già comlnclato a portare denaro a casa, ma lei va m guo tutto il g10r– no senza far niente >1. <C Debora! Debora! >1. Anse! ta il nch1amo della moglie gridando fuon nella strada. D<>– po essere stata chiamata ripetutamente, De– bora entra. Le gnda agitate del gemtor! avrebbero in– dotto a domandarsi che tipo d1 appanz1one questa Debora potesse essere; Debora, di cw il padre aveva detto i< nelle aìtre famigile le ragazze della sua età. hanno già cominciato a portare denaro a casa». Ma, invece, ecco entrare una bambina di dieci o undici anni che ne mostra nove, con un collo lungo e sottile su cui la testa dell– cata posa come un fiore sullo stelo; il suo oorpicino è sostenuto da due gambette ma– gre, simili a ramoscelli che possano piegarsi alla brezza più leggera: come un flore tra l'erba, il suo vi.sino minuto sbuca ingenua– mente dalla massa di riccioli nen che· le ri– cadono intorno alla testa come una cascata, coprendo faccia, occhi, guance, collo e schie– na, cosicché la fanciulla non sa che fame. Ha in mano un pezzo di lino, sul qua le ha imparato a ricamare, e tiene in braccio 12.ZY Meyer, « 11 bimbo grande». Pnma che arri– vasse 1< il poppante n - quello che ora la mamma tiene in grebo - Izzy Meyer era sta– to chiamato cc il poppante n. Dopo l'arrivo del nuovo bambino, Izzy Meyer aveva avuto ù nome di ,e bimbo grande ,, e le braccia di Debora erano divenute la sua «casa». Da allora egli aveva insistito ostinatamente per stare con lei ogni minuto della giornata. Cosi Debora ora tiene in braccio « 11 bim– bo grande» dalla mattina alla sera, sia che el\a s1 trovi fuori in strada a giocare con I sassolini nelle ore libere, sia che s1 preoccupi d'in1parare a cucinare e a ricamare. << Dove te ne stai tutto il gìorno? Non si riesce mai a vederti n, è il modo dl salutarla de! padre. cc Che cosa di aspetti dalla bambina.? E' una ragazza adulta ora, deve imparare a guadagnarsi da vivere, ed è per questo che passa le sue ore con Feigele, e sta imparando a cucire,,, la mamma di.fende la figlla. << Debora, vai, corri al negozio! Forse t1 daranno un'aringa a credlto; tuo padre desi~ dererebbe mangiare qualcosa di salato». SCHALOM ASl:H Scheda per Valdarnini UN BRANU DEL MANUSCRITTO SECONDO l'LASSiflCA1'0 AL PREMIO !if.. "FIERA " dì ALHER'l'O PEHHINI Alfio Valdarninl ha mostrato, all'inizio della sua atbivltà radiofonica, un certo In– quieto sforzo nell'ascoltare la propria ispi– razione al microfono. Nei suoi primi lavori - primi di una lunga serie Valdarn.ini è stato preso da un insolito tbnore: di non poter. cioè, ,far ue,·itare in << draJnma » la minuziosa e sottile ,·ena della sua penna. ricca di ,ibrazioni e di ferment~ Egli tentò con cura di far aderire le sue «storie» e i • suoi «personaggi» alla diritta e nitida pro– rodia della fonua rodiofonlca e se nel conio del suol priml Javori non seppe evitare bolle d"arla dobbiamo riconoscere che in seguito nella ·sua lega raclioteatrale ha brilla.o an– che un po' d"oro zecchino. Grave difetto cli conio, infatti, nel suo primo tentat!,•o, che risale al 1948, / ragaz– zi sono tornati in giardino. m·e preoccupa-– zlonl moralistiche e intemperanze tecniche ne hanno slabbrato e deformato l'arcWte,– tura poetica. Ma già al secondo radiodramma r Mia cu– gina Battistina, 1949) una maggiore since– rità e un più composto equilibrio av\"icina– no rautore al « nido di ,·espe » dei micro– fono. I personaggi, costruiti dal di dentro. caratterizzano e rafforzano le sue sequenze. Al terzo radiodramma < Una visita per Da– niele 1950), Valdarnini rivela un'interessan– te ~rsonalità: intorno alle parole de! suo!– personaggi. che si esprimono in battute pre– cise, s'aprono spazi dalle molteplici dimen– sioni. cieli risonanti di segrete angosc!e, di fllggevoli terrori. Che importano orma! gli sbagli, anche grossolani, se ha dimostrato di arnre qualche cosa da dire e da rappresen– ttare? Ed ecco Sabato i1l casa Slater (1950). dove ad un !nlz!o confuso ed incerto segue una ampia e distesa rappresentazione dramma· tica: un vecchio giudice inchioda alle loro responsabilità gli ipocriti difensori del figlio In Processo per nessuno (1951J. Valdarni– ni è già sicuro di sé ed ha compreso come ya affrontata e raggiunta la forma radiofo– nica: libertà d'ispirazione. semplicità, con– fidenza, ardimento. ma anche attento rigo– re cli costruzione, sorvegliata carica rii ba - tute, senso de! ritmo e delle proporzioni. Il personaggio ancora una volta sta al centro del suo «racconto» e difende accanitamen– te Ja sua personalità. difesa che costituisce già di per se stessa dramma. i:erorazlone, procesw. catarsi. Con Seli11a ( 1952) Alfio Valdantlnl rag– giunge Ja sua maturità di au:ore radiolonlco specializzato. Attraverso un dialogo minuto e intrecciato. l'autore ci presenta la storia cli una trovatella, ospite, fin da bambina, dl una caritatevole fantlglia borghese. Ma !a carità che ci mostra non è una virtù ma una forma mos.ruosa di ipocrisia. Quando la fanciulla denuncia una maternità !llegiUi– ma. la famiglia, sotto l'incubo delle respon– sabilità. scatena una guerra subdola e iu• ribonda contro Sel!na che si difende ta– cendo a tutti i costi. e riesce perfino a sai· varsi dal suicidio che le è stat.o lndlrct.",a– me1lte propos.o. Attraverso una d.rammatl– c!tà incalzante. l'autore raggiunge un clima lirico e disteso. Valdarnini t.enta di enucleare una verità sfuggente che si manifesta attra– verso il fitto lampeggiare di un coro ag1t,ato, In Candido (trasme= due anni dopo, nel 1954, e col finale cambiato per cervel!Ot 1 che esigenze imposte dai programma tor; della RAI! abb:amo forse !I capolavoro rad!odra.m– n1atico di Valdarnini": una forma agilf", un «mestiere» preciso. sicuro. controllaUss!mo e anche un contenuto più splccatamen:e !Io– nico, diremmo anzi umoristico, grottesco. An– che in candido rautore là cardine sul prc,.- 1agouisLa che acquista figura a tutto tondo dal pregnante carosello del coro fom1ato da personaggi minor!. In questa radiocomme– dia Valdantlni ha raggiunto un compiuto senso del ritmo. quasi da balletto: una st! l!zzaz!one perfettamente aderente alla mi– gliore prosodia radiofonica. Nei Iarnri che seguono in gran copia r Il ladro, 1954: Ritratti in provincia, 1954: Un uomo btLgiardo, 1954; U110 come te, 1955: Quel buon dia~olo di Stanislao, 1955; Ada– mo, 1956; e altri, scritti anche in collabora– zione). Valdarnini sembra avere volontaria– mente rotto la forma di cristallo che aveva raggiunto dal 1951 al 1953. 1 suol interessi si allontanano sempre più dal rigore del "dramma» per diffondersi in sloghi. impen– nate, bozzetti, frammenti. monologhi cli evi– dente sapore «letterario». Forse abbiamo perduto !I Valdarnln! radio– autore per arquistarne un al ro. narratore. lnsolTerenle di leggi. regole, prosod:e dram– n:atiche. Fatica sempre più a comporre bat– tute in architettonico equ!l!br!o le une con– tro le altre e più facile gli riesce dilatare le superfici della sua prosa, effondersi in liquidi ondosi movimenti descrittivi e nar– rat,:v!. E ra,·er scrit o già alcun! romanzi testimonia l'indirizzo della sua vena più vi– cina orma! alla fitta pagina scritta che alla disciplinata scala di un dialogo comgoslto verso un fme e un s!gn.!ficato. ALBEHTU PERRJNI DIARIO D'AGOSTO ALFIO D. VALDARNINl on potrei descrivere M. perché è una città che non conosco. Mi trovo a M. e nemmeno io saprei con esattezza perché. Vi trascino il mio ultimo me,,e di vita. Abito 1n una vecchia pensione. La mia camera dà sopra un vico.a a cunicolo che esala odore di orina a tutte le ore del giorno. Di notte vi si riuniscono i g_atti. Le ,·ecr.hie riempiono durante il giorno gli angoli di immondizia e i ~Hli vi si involtano con la loro ghiotta p1gn– zia e poi si involtano fra di loro. A tratti. la nolle. sono destato da lun– ghissimi lamenti che clila,niano le ore notturne e mordono l'epidermide. I gatti si danno ai loro lamentosi baccana,Ji in- oltali nel calcio che la giornata canico– lare ha allungato nei vicoli della città. Sono aifetto eia male inguaribile; in verità avrei dovuto essere trasportato all'ospedale, ma le mie insistPn~e so1\o valse a trattenermi qui. M: sono come cucito fra queste quattro pareti. . Ho ventotto anni. Forse ho sperato di )f. dl Al,FIO B. VALD,IR~Tf~Tf }f. viverne molti di più; ma anche questo è UJ1 fatto appa11tenente più ad una na tu– rale pigrizia che ad una necessità • sto– rica•· Fino a qualche tempo fa ero un individuo sano in tutto, quadràto. Poj la rivelazione del male incurabile. con la freddezza brutale di uno schiaffo dato da una mano ignota. Accadono, mi è sta– to detto, reazioni a volle violentissime, - in temperamenti anche del tutto affini al mio, - in casi del genere, ma ad onor del vero, debbo dire che dopo quella im– mediata sensazione cli freddo pungente alle viscere, al mom<>nto della rivelazio– ne ciel ma'1e, non ho provato altro. Non ho reagito. Ho continuato a vi– VE>re,senza propormi risoluzioni violen– te e non mi ha preso plinto l'orgasmo delJla precipitazione, quando ci preoccu– piamo ùi troppo sistemare. Non è sta1o nel mio ordine naturale. Tutto si è fa<tto piano piano, ordine da sé. Con buona pace del sottoscritto, ecce– tePa, eccetera. 1. agosto Caldo. L'estate pare affamata di caldo. Dal vicolo esalazioni di orina, chiacchie– rio di innamorati, orgie cli gatti lamen– tosi. Ho trascorso la glarnata senza gravi disturbi e sono riuscito ad ingoiare un po' di cibo liquido e di latte. el pome– riggio ho avvertito violenti strappi allo stomaco e una diffusa nausea. La signora Anita - la padrona della pensione - è salita due volte in camera mia. Poi nO'l'lsi è fa ~ta più vedere. Tengo le imposte spra'!lgate per timore de!Je zanzare, la notte. La posizione distesa - (trascorro in– fatti moltissime ore sui letto) - mi ha riel a to soli levo. Ho la te,,,ta meno pesante. li mio male ha variazioni che paiono in– credibilli. A VO'lte mi piglia una euforia improvvisa, che, per partire direttamente dalla mia zona m~."ata, sono costretto a darle valore del tutto clinico. r Dormo raramente e sono stato costret– to a un compromesso fra la mia esigenza distensiva - che ha anche significato metaiislco (questo punto si chiarirà poi da sé) - e le alterazioni del mio orga– nismo in disfacimento. Le due finestre d~lia mia stanza danno - come ho eletto - sopra un vicolo e l'aria che penetra ha un sapore di trapas ato, di vecchio, di cosi consumato' che nessun cliente è riuscito a sopportare. Io me la sono riservata per mio uso totale e mi trovo a mio agio. In genere dalle due alle quattro del pomeriggio, queUa coltre di odori, mi af– floscia e allora riposo - un riposo cosi caduto> che sembra il preludio di certe immaginarie morti nel deserto. Anche la sta,nza si addol'menta. Respi– ra il fetore invecchiato a caldo del vicolo. Tutto si fa opaco, con r~lessi iridescenti, come certe macchie di grasso sopra una superficie lucidissima, Ma da questo tra– spira una atmosfera di riposo supremo - vorrei dire l'essenza ste sa del ripo– sare - che imbriglia i muscoli, in una forma totale, antica. Sa di riposo dopo luride fatiche estive .. Unico ospite della mia stanza è un gat– to massiccio, di pelo rosso. Vi entra nelle ore più brucia te e si accuccia fra il comò e l'angolo ciel muro. Allunga con la pi– grizia dei gatti il muso sulle zampe da– vanti; guarda a lungo un indefinibile punto con due occhi spezzati e cisposi. Poi si rovescia sulla pancia, come un pa– chiderma, e si addormenta. folte volte i miei pensieri si riducono ad un gioco di Immaginativa, afferrati agli essenziali gesti del gatto che non mu– tano mai. Sono riuscito persino a trova– re. in letto, una posizione comoda che mi permeLta l'Intero godimento di quello spettacolo. L' impartecipazione della bestia. alla mia e mozione. è del tutto evidente. Rara– mer.te si volta in allo, con aria non si capisce bene se di sufficienza o di noia. Tutto si riduce ad una mia isolata scher– maglia di motivi sUl gatto che trovano l'oggetto distaccato. La sera non riesco a prendere cibo, nemmeno liquido. Il mio stomaco atrocemente si rifiuta. Ho sete, ma non riesco a trattenere dell'acqua. E questa deve essere tiepida. li mio stoma– co non sopporta più emozioni violente di freddo. Due volte la settimana viene il medico. E' un uomo composto, sempre un poco emozionato. Io gii ho strappato con le pinze - come si dice - la verità del mio stato; ma questo non lo ha necessariamente messo in imbarazzo. Continua a venire a tro– varmi. Assolve con criterio e serietà la sua funzione burocratica e poi si intrat– tiene con me. Fuma dei sigari che a gior– ni trovo deliziosi, ed altri insopportabili. Mi consigliò in un primo tempo di sot– topormi ad intervento chirurgico. Mi op– posi e da allora non ha più insistito. E' un giansenista. Con la serietà, la preoc– cupazione, il limite ossessivo dei gianse– nisti. Sopporta l'orrore deLJa mia stanza e, a giorni, della mia irrequietezza, con la pazienza un poco fatalista di quelli della sua convinzione. E' venuto questo pomeriggio. i\lLi ha parlato della funzione mediatrice dena medicina tra la realtà originaria dell'in– dividuo e creato con serietà> - dice lui - e l'evoluzione (non dice ma.i dissoluzione) degli elementi pratici che questa realtà. sostengono. Io non mi metto quasi mai i,n polemica. Mi stanco presto. Appena calate le prime ombre su\ vicolo, ho aperto le .l\inestre. Di qui si 9ede un ritaglio di cielo, àJ– Jungato a rettangolo - metaiisico -. Di– sera le due linee parallele dei tetJti delle case tagliano Cassiopea e acchiappa.no una manciata di frammenti di a'1tre co – stellazioni che non so più distinguere. Mi sento calmo. Bevo con voluttà l'aria che questo angolo della città mi propila con la prodiga costanza di una pu1ta1Ta di strada. Lo stomaco non mi disturba. Penso df riuscire a dormire un poco, questa notte. ALFIO B. VALDARNINI ,.

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