Critica Sociale - anno XLII - n. 22 - 16 novembre 1950

CRITIC~ SOCIALE 319 A questa importante domanda, la risposta è così semplice che si esita un po' a darla; ma niente dopo tutto impedisce di pensare che la soluzione dei grandi problemi è relativamente facile da tro- vare. · Negli Stati Uniti, per lo sfruttamento di tutte le ricchezze e per la loro messa in opera esiste un ter– ritorio, una frontiera, un mercato, una moneta, una economia. In Europa esistono quindici territori, quindici frontiere, quindici mercati, quindici mo– nete, quindici economie. Sembra che da una parte si siano soppressi tutti gli ostacoli di natura tale da intralciare uho sviluppo razionale e che dal– l'altra si siano moltiplicati gli ostacoli, come a pia- cere. · Date all'Europa le stesse condizioni di base di quelle che esistono riegli Stati Uniti e nulla per– mette di supporre che non saranno ottenuti gli stessi risultati. I nostri operai non sono meno abili dei loro compagni americani; i nostri dirigenti non sono meno competenti dei loro cçmèorrenti; i no– stri ricercatori meno audaci e meno inventivi. Ma continuiamo a obbligare i singoli paesi del– l'Europa, isolati, e che dispongono di un ridicolo mercato interno di qualche milione di abitanti, a farsi la concorrenza t_ra loro con i mezzi più arti– ficiali, con i diritti di dogana, i contingentamenti, le restrizioni di ogni genere, le creazioni di indu– strie nuove ed inutili, ed a sopportare nello stesso tempo _la concorrenza del gigante americano, e il nostro destino J segnato. Forse non subito. Nessun,o crede che la nostra decaden7/a sarà totale, nè, soprattutto, immediata. · Essa può prolungarsi per decine e decine di anni, ed è questo, del resto, che costituisce il nostro più grande pericolo. Come interessare i popoli ed i governi a una situazione i cui inconvenienti più gravi appartengono ad un avvenire ancora àssai lontano; come, in tali condizioni, chiedere loro il coraggio di prendere fin d'ora le misure difficili che si impongono? Perchè è questo il problema europeo: accettar~ subito certi sacrifici -per assicurare un migliore av– venire. Sacrificare certi interessi anche legittimi, per assicurarz per più tardi un equilibrio migliore e più solido. Per preconizzare una tale politica, per farla so– prattutto, per sfidare l'impopolarità che in certi casi essa può suscitare, bisogna avere , la convin– zione profonda che il problema europeo esiste; che nello stato attuale dell'Europa esso è alla lunga insolubile e che al contrario, in una Europa nuova, che utilizzi_ meglio le sue risorse enormi e che ra- . zionalizzi i suoi sforzi, la soluzione di esso è alla nostra portata. Se tutto questo è fondato, se queste premesse -son esatte, la conclusione è chiara: bisogna -stabi– lire in Europa nuove istituzioni il cui compito sarà di regolare i problemi comuni che si pongono. Si è entrati in questa via. Il Consiglio dell'Eu– ropa esiste. Suggerito al Congresso dell' Aja; orga– nizzato dal movimento europeo; preparato dai go– verni firmatari del Trattato di Bruxelles, esso di– venne una realtà nell'agosto 1949 quando i suoi due organi, il Comitato dei Ministri e l'Assemblea consultiva, si riunirono per la priina volta a Stra– sburgo. Ma è esso in grado di assolvei;-e il suo compito? A mio parere no. Così come è stato concepito, esso non può essere che un luogo di incontro tra de– legati dei diversi parlamenti; un luogo di discus– sione, e il suo solo potere, quello di fare delle rac– còmandazioni che il Comitato dei Minisfri prende o no in considerazione, è insufficiente. Questa opi– nione -è condivisa oggi da un gran numero di rap– presentanti all'Assemblea consultiva. Si cerca di modificare l'istituzione. In questo compito si con- BibliotecaGino Bianco trappongono gli impazienti che vorrebbero subito creare una vera federazione europea, e coloro che, tenendo conto· della complessità dei problemi, del– le esitazionJ e delle ripugnanze di certi paesi, pre– conizzano metodi più lenti e più agili. Solo questi ultimi possono riuscire, perchè solo essi tengono conto dei fatti. L'Assemblea consultiva si riunirà a Strasburgo per una settimana, a partire dal 17 novembre pros– simo. L'esercito europeo, il Piano Schuman, la sua propria trasformazione saranno i punti principali del suo ordine del giorno. Tutto l'avvenire dell'Eu- ropa vi sarà discusso. , , Strappandosi alle preoccupazioni della politica interna, occorre che i partiti socialisti seguano da presso i dibattiti che stanno per svolgersi: essi sono di una immensa importanza per il nostro fu– turo immediato .. Si svilupperà una grande speranza, e prenderà tutto ,il suo -slancio, o noi conosceremo una nuova disillusione sulla· via dell'organizzazione necessaria del mondo? E' il dilemma davanti al quale ci troviamo. Cerchiamo di fare la buona scelta. IL PROBLEMA DELLA GRAN BRETAGNA Credo che non sarebbe bene terminare questo articolo sul problema europeo, senza attirare !'_at– tenzione dei miei lettori sulle difficoltà ·generate dalla posizione presa dalla Gran Bretagna. Gli Inglesi sono stati molto criticati dopo la guer– ra. Il grande esperimento socialista al quale essi si dedicano è evidentemente alla base dei rilievi malevoli, amari e spesso ingiusti di· cui essi sono' oggetto. Non ho bisogno di dire che è questo un punto di -vista che io non condivido in nessun modo e che; al contrario, ho molta ammirazione per la disciplina di cui gli Inglesi, sotto la guida dei la– buristi, hanno dato · prova durante guesti ultimi anni; che io sono anche perfettamente 'cosciente di quello che vi è di essenziale nel loro e-sperimento in cui socialismo economico e libertà politica si completano armoniosamente. In urna parola, io sono anglofilo, sentimentalmente e politicamente. Ho vis– suto a Londra gli anni della guerra, sono stato te– stimone dell'ammirevole esempio di coraggio e di tenacia dato da tutto un popolo e credo di aver molto imparato. Non dimenticherò mai questa gran- de lezione. ' Mi trovo perciò tanto più a mio agio nel dire che la posizione di prudenza, di esitazione, di freno, ~ presa dalla Gran Bretagna, per quanto concerne il problema dell'organizzazione europea, mi dà ad un tempo tristezza e preoccupazione. Se l'Inghilterra l'avesse voluto, nel 1944 essa avrebbe potuto con facilità essere l'elemento fede– ratore di cui l'Europa aveva bisogno. I suoi diri– genti hanno ·1asciato passare l'occasione. Qualche anno. più tardi essi hanno cercato di riparare que– sto errore. Churchill, a Zurigo, predicò la riconciliazione franco-tedesca e la formazione, intorno a questo nuovo blocco, di una Europa continentale. Bevin, alla Camera dei Comuni, nel gennaio 1948, annun– ciava• solennemente che bisognava d'ora innanzi esaminare i problemi dell'Europa dal punto di vi– sta dell'unità, e il suo coraggioso discorsQ era così importante, che il trattato di Bruxelles rie uscì im– mediatament'e, e che attraverso il Trattato di Bru– xelles nasceva il Consiglio dell'Europa. Dopo essersi così, con due dei loro uomini di Stato, fatti i leaders dell'Europa nuova, perchè gli Inglesi si mostrano ora così reticenti, così pòco coo– peratori? Perchè bisogna che all'Assemblea consul– tiva dell'Europa i rappresentanti laburisti si trovi– no quasi sempre,. e quasi tutti, nel campo di quelli che esitano o rifiutano di marciare innanzi? Per– chè, soprattutto, bisogna che nel ·Consiglio dei Mi-

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