Critica Sociale - anno XLII - n. 22 - 16 novembre 1950

318 CRITICA SOCIALE ------------------------- FARE L'EUROPA FE' UN 'PROBLEMA EUROPEO? I Facc.io in questo momento un piccolo giro del– l'Europa. Visito i paesi scandinavi, Londra, l'Italia, la Francia, la Germania. Tutti questi spostamenti hang.o un legarne tra loro. Dovunque, mi occupo dei problemi et1ropei; cerco di contribuire, secon– do le mie forze, a organizzare l'Europa occidentale su nuove basi. ' Incontro una attenzione simpatica, alcune per– sone già convinte, un gran numero· di persone in– teressate, gente scettica o ostile,. ma, ·soprattutto molt'i indifferenti. Sono arrivato a questa convin– zione: che bisogna che io faccia· la mia propaganda cominciando dal principio, cioè persuadendo la gente che esiste un problema europeo. Bisogna che io provi che l'Europa occidentalé, così ricca di tradizioni, così potente per tanti se– coli della nostra storia, è in decadenza. Bisogna che ,i~ stlJ.bilisca anche che i paesi che compongono que!jta Europa occidentale sono oggi incapaci di risolvere da soli un certo numero di difficoltà dà– :vanti alle quali si trovano. Il compito non è tanto facile perchè si tratta di attirare l'attenzione della gente su ùn problema che è del tutto fuori delle loro preoccupazioni quoti– diane. Parlare della q.ecadenza di una civiltà è cosa che fa a molti l'effetto che si cerca di trascinarli in un ·campo purament~ speculativo. Tuttavia, è un fatto che l'Europa attuale è in pie– no declino. Durante venticinque secoli di storia è da Atene, da Roma, da Madrid, da Parigi, da Lon-· dra che la civiltà si è irraggiata. E' qui che si tro– vava la forza politica, militare, economica. E' di qui ~ che si diffondevano attraverso il mondo i tesori d!)l– l'intelligenza e delle 1 arti. Oggi, la semplice lettura dei giornali ci mostra che non è più così.' La sede della vita internazio– nale e finanziaria si trova negli Stati Uniti. I veri centri della nostra vita sono a Washington e a Mo 0 sca. E' là che vengono prese le grandi decisioni da cui dipende la nostra stessa esistenza. Di questa verità che la nostra esperienza quoti– diana ·ci insegna, uno studio più approfondito dei problemi ci indica la causa. Durante gli ultimi cin– quant,a anni, la _forza ,economica degli Stati Uniti non ha cessato di crescere ed è diventata fanta– stica; da trent'anni l'U.R.S.S. vede aumentare la sua potenza. Durante gli stessi anni, le forze dell'EuFopa, an– èora impressionanti, sono tuttavia lentamente di– minuite. Le statistiche non permettono a questo propo/iito alcuna illusionè. Si può, certo, spiegare il fenomeno, trovarne cause diverse, accusare due , guerre terribilmente crudeli: non si può negare il fatto. E non si può 1 nemmeno negare che, dopo l'ini~ zio del secolo, la bilancia dei pagamenti dell'Eu– ropa nei confronti degli Stati Uniti è diventata sem– pr·e più deficitaria. Il deficit annuale, ancora ir).i– nimo prima della guerra del 1914, quattrocento mi– lioni di dollari, raggiunge dopo la guerra del 1939 la cifra spaventosa di quasi tre miliardi di dollari. Pure, dicono gli ottimisti, l'Europa continua a vivere. Il tenor di vita in certi paesi è anche aù– mentato. ,Come spiegare questa apparente contrad– dizione? Io credo che la risposta si-a facile e che semplificando un po' le cose, senza tuttavia snatu– rarle, si può affe·rmare che l'Europa non è riuscita dopo la fine della guerra del 1914, ·a superare bene o male .le sue difficoltà, se non gràzie all'aiuto che le dànno gli Stati Uniti. Molti pensano che il piano Marshall è una novità nelle relazioni tra gli Stati Uniti e _ l'Europa. Essi si ingannano. Il piano Marshall in realtà non. è che ·Biblioteca Gino Bianco l'ultima forma nel tempo di una politica che gli Stati Uniti praticano nei confronti dell'Europa d,al 1918, I Durànte il periodo tra le due guerre, gli Stati Uniti hanno prestato, dato o investito in Europa più di ~ento milioni di dollari di cui soltanto venti sono stati loro rimborsati e ottanta sono stati in– ghiottiti nelle nostre disgrazie. Durante la seconda guerra mondiale e dopo, gli Stati Uniti sono intervenuti in Europa con il lend– lease, con l'U.N.R.R.A., con una serie di prestiti im– portanti e, poichè questo non bastava a ristabilire i nostri affari, con l'aiuto Marshall che, da solo, nei due primi esercizi, si è elevato a più dii nove miliardi di dollari. L'Europeo ottimista o presuntuoso deve por.si questa domanda: « Che cosà sarebbe successo del– l'Europa se questo aiuto' americano le 'fosse man– cato?>>. L'Europeo previdente deve porsi questa do– manda: « Che · cosa avverrà dell'Europa il giorno in cui questo aiuto venisse a cessare?>>. Per me la riSJ?OSta è chiara: senza l'aiuto degli Stati Uniti, noi avremmo conosciuto in Europa, do– po il 1945, una situazione catastrofica e non sa– remmo certamente riusciti, nella miseria e nel caos che si sarebbero abbattuti su di noi, ad imbrigliare lo sviluppo det comunismo. Sé il comunismo non s,i è espanso fino alle. rive del'Atlantico e del Medi– terraneo, lo dobbiamo all'aiuto americano. Ma questo aÌl!1to è forse eterno? Nulla è meno certo. Esso obbliga gli Americani ad un grande sforzo finanziario e più specialmente ad un grande sforzo fiscale. Che in seguito• ad alcune circostanze la' politica degli Stati Uniti nei confronti dell'Eu– ropa venga a modificarsi, e noi potremmo trovarci bruscamente posti davanti alla crudele e pericolosa necessità d'i ridurre sensibilmente il nostro livello di vita. E' saggio far dipendere cosi il nostro destino dall'atteggiamento comprensivo e generoso di altri? Io non lo credo. E' decoroso ,per l'Europa? Non lo credo nemmeno. Sì, esiste un proli>lema em;op·eo. Per risolverlo oc– corre soltanto un po 1 di chiaroveggenza e un po' di audacia. COME FARE L'EUROPA? Spero di aver dimostrato che esiste un problema europeo importante e urgente. Allora, due ·questioni restano da risolvere: vi è una soluzione _per que– sto problema? Eventualmente, quale? Noi, Europei, avremmo torto di mostrarci esage– ra~amente pessimisti. Ci è proibito sperare per · l'Europa uno sviluppo economico simile a quello che gli Stati Uniti conoscono? Non lo credo. Un confronto ·delle ricchezze e delle possibilità che esistono nei due mondi non è tanfo a nostro svan– taggio. Ai 140 milioni di Ameriaani noi possiamo facil– mente oppoure 200 milioni di Europei occidentali. Il territorio degli Stati Uniti è vasto, ma non più vasto di quello di cui noi disponiamo, soprattutto se si tien conto dei possedimenti d'Africa o d'Asia. Gli Stati U:niti sono ricchi di materie prim~, vi si conoscono climi diversi e produzioni variate. E' forse diverso per un'Europa che si stende da Stoc– colma ad Ankara; in cui si può pescare la balena a nord ed in cui si coltiva l'arancia a sud? Ma allora, da che cosa proviene la differenza nello sviluppo dei due mondi;' da che cosa deriva che si vede la forza economica dell'uno, e quindi la sua forza politica, aumentare senza posa, e che l'altra segna il passo e addirittura declina?

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