Critica Sociale - anno XLII - n. 22 - 16 novembre 1950

CRITICA SOCIALE 323 il pm spesso prevalenti sulle distruttive, della concentrazione di imprese di grandi dimensioni. Che sole possono realizzare la conciliazione, neces– saria alla vita moderna, fra le due tendenze con– tradittorie: dello svhluppo ilell'economia produt– tiva, che implica crescere di rischi, e dello sviluppo <lelle idee sociali, che implica rimozione di rischi. La stessa dottrina di certa rigidità dei prezzi, ma– nifestazione di questa esigenza di sicurezza per imprenditori e lavoratori, è smentita. Il sindacato non aumenta i prezzi; se mai, riesce a difenderli, e non stabilmente, su livelli non troppo alti. E attraverso le oscillazioni inevitabili della congiun– tura, che condiziona l'esercizio effettivo dello stesso potere economico, oscillazionf diminuite di inten– sità e' di conseguenze, se non di frequenza, appunto per la difesa delle forze organizzate, la linea seco– lare della domanda di lavoro e dei salari reali ha mantenuto un andamento crescente; proprio per– chè, nelle intime forze della dinamica industriale, la riduzione dei costi realizzata in dimensioni eco– nomiche più grandi finisce col prevalere su ogni possibile manovra dei prezzi. E quel che imporla al lavoro è l'aumento relativo del potere di acquisto del reddito-salario; mentre, se vi sono consumatori non produttori, cioè assistiti, o consumatori del ceto medio per breve periodo sacrificati nel loro potere di acquisto dalla dinamica industriale o solo dagli abusi delle aristocrazie monopolistiche ope– raie e industriali, gioca la reazione difensiva dei prezzi politici di servizi pubblici, che mature na– zionalizzazioni, economicamente gestite, possono -0ffrire. Del resto la concorrenza potenziàle è capace di scacciar,e dalle posizioni monopolistiche o frenarne il potere, per le stesse forze tecniche, assai più del controllo della pubblica opinione e dei poteri pub– blici, come si riteneva un tempo e ancora oggi si ripete. Che cosa, può aspettarsi- da quella e da questi, se sono in mano dello stesso potere monopolistico, che dovrebbero controllare e limitare, e che ha for– midabili mezzi di propaganda a sua disposizione, oggi financo la forza dei grandi partiti organizzati? La teoria economica è invece d'accordo sul fatto che causa, per alcuni unica, per altri più efficiente, delle tendenze monopolistiche e del l_oro prepotere, è precisamente la legge, nella concreta attuazione delle molteplici forme di interventi dei poteri pub– blici nell'·economia; p'iù pericolose da quando lo Stato delle clientele politiche e burocratiche usa, in modo sempre più brutale, prestare il suo braccio alla spoliazione degli uni da parte degli altri. Una specifica legge sui monopoli non sarebbe che iì ter– reno più propizio di coltura per la degenerazione politica, assai più costosa e anche psicologicamente più intollerabile, della concentrazione di forza eco– nomica. Sarebbe l'arbitrio più aperto o più subdolo degli spoliatori e degli arrivati, contro coloro che si von-ebbero q.ifendere e contro le forze dello stesso progresso tecnico, che assicurano una concorrenza potenziale, ben piiI efficacemente protettiva. D'altra parte, illusi sono· quegli economisti neo– libeiristi che, constatato quel fatto, credono possibile evitarlo limitando gli interventi rli politica econo– mica; che, a parte la degenerazione accennata, di– pendente per molto dall'educazione morale degli uomini che agiscono negli ordini politici, s·e favori– scono indirettamente le tendenze monopolistiche, sono essi stessi esigenza del progress-0 tecnico, for– me istituzionali di i:eazione del sistema capitalistico nel suo sviluppo verso la maturità, che ha bisogno di vedere integrati i sùoi poteri autoregolaton da interventi collettivi e pubblici. Agire sui monopoli per farli operare nell'interesse comune? Ma qual'è l'interesse comune, se non quello definito dai poteri pubblici, influiti dai monopoli? Precisare i limiti ibliotecaGino Bianco -----------''-------------- sociali economici e politici di quell'op.erare? Im– possibile: ha detto giustamente Tremelloni. Elimi– nare i monopoli che sono eliminabili? Quali, se non proprio quei pochi creati dal nulla per inter– vento di legge·? Ridimensionare le imprese, redi– stribuirle entro confini naturali, rivitalizzando il campo di lavoro dei piccoli e medi imprenditori 'e riducendo quello dei. grandi? Come? Con la disci- plina degli impianti industriali, ch'è limitatrice di concorrenza e che con grande sorprp,sa si ~ede oggi accoppiata ai provvedimenti limitatori del mono– polio? Piccole medie e grandi imprese non spno che tutto ·un organismo di tessuti complementari,. di cui· non si possono vi<:>larele proporzioni rispet- . tive, a un dato stato della tecnica; che oggi fa delle grandi imprese ff punto. di forza di tutto il sistema produttivo, capace di assicurare le vie più aperte per mettere a disposizione dell'uomo la maggiore quantità di beni; scopo ultimo, alla cui stregua va giudicato un sistema economico. Chi potrebbe assu– mersi la responsabilità del costo e del rischio di un'operazione devitalizzatrice dell'intero sistema produttiv6, per perseguire le chimere di una· con– cezione arcadica della vita economic::i. che, sebbene particolarmente cara alle nostre preferenze spiri– tuali, çontrasterebbe con il bisogno intellettuale di guardare i fatti spregiudicatamente? Trasformare, infine, il monopolio, in modo che sia costretto ad operare nella stessa maniera in cui, se esistesse, opererebbe la concorrenza? Quest'ul– tima istanza di certo neoliberalismo cattedratico ci riporta al centro del nostro discorso e alla sua con– clusione. E' pura -Hlusion-e pensare -che H reg-ofa– mento governativo, anche se possibile depurarlo delle scorie degenerative, possa imporre alle grandi imprese il modo di lavorare e di agire che la mera astrazione teorica presta alla libera concorrenza, mentre questa in fatto divora se stessa e sprigiona le forze della concentrazione. Del resto, diceva bene Scl;mmpeter, i socialisti devono puntare il loro cri-_ ticismo, non sulle virtù del modello rli concorrenza, ma sulle virtù dell'economia socialista. Intendo lasciare questo compito ai socialisti. E limitarmi ad osservare che quanto c'è di profonda– mente vero nella concezione marxistica del dive– Il'i-re storico, che ha avuto una rLprovai nei fatti di un secolo, è che il processo tecnico tende a socia– lizzare se stesso. Ora, la concentrazione economica è manifestazione di tale tendenza; che la legge non può apprezzabilmente affrettare, può solo ritardare attraverso una distruzione di ricchezza e deve finire col certificare nelle varie forme che· la tendenza via via assume. E' tempo che il socialismo prenda atto, anche negli atteggiamenti o nei motivi ·della sua pole– mica, del graduale verìficarsi della rivoluzione eco– nomica prevista da chi al socialismo ha dato il vigore di una dottrina nutrita nello studio dell'eco– nomia classica. Ma. ciò importa, che si domandi al fine, spregiudicatamente, sulla stessa linea di pen– siero, se il suo avvento debba attendersi dal falli-. mento {) dal successo del capitalismo, dalle miserie · della distruzione di un'economia immatura o dalla ricchezza di una piena maturità economie-a. La risposta a questa domanda potrebbe modifi– care il corso della nostra vita economica sociale e politica, contribuendo a una moderna educazione industriale, tanto attesa dopo le rovine causate dai due estremismi padronale e operaio, avvinghiati in una insensata lotta senza tregua sul corpo del paese. E potrebbe riavvicinare il socialismo nostrano, quello colto di « critica -sociale », se non anche quello veramente scientifico di ,; vie nuove», a un'altra concezione del moderno neoliberalismo economico. Il qualé non ha i:nai creduto alla sintesi

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