Critica Sociale - XXX - n. 18 - 16-30 settembre 1920

284 CRITICA SOCIALE * Dopo le accuse pubblichiamo volentieri anche que– sta difesa della siderurgia (la quale, per difetto di spazio, dovette lungamente attendere sul nostro ta– volo), sia per lo spirito d'imparzialità eh 'è stata norma costante di questa Rivista, sia per alcuni interessanti dati di fatto che la parola di un tecnico riesce a por– tare nella discussione. del poderoso problema. Ma con la sincerità che si deve ad un compagno dobbiamo subito confessare di non aver ben capito quale sia la tesi che l 'ing. Piccioli si propone di sostenere. Che la soluzione migliore del problema del ferro o di tutte le materie prime si possa trovare nel trionfo della solidarietà socialista, quando « gli scambi delle materie prime si effettueranno cona stessa naturalezza colla quale un corpo caldo cede calore ad un corpo freddo », è una previsione e, insieme, un voto a cui non possiamo che associarci con tutto il cuore. Ma per noi, che d1 fronte ai prob)emi concreti ed attuali non adottiamo il sistema di mettere innanzi ad ogni passo la pregiudiziale socialista e di valerci di questa pregiudiziale come di un alibi comodissimo per seguire nell'azione quotidiana tutti i vecchi cri- / teri p_iù decisamente antisocialisti; per noi quel voto non nsolve affatto la questione urgente dell'atteggia– mento che il Partito e le Organizzazioni Socialiste devono adottare di fronte al protezionismo in generale ed a quello siderurgico in particolare; per noi è ur– gente determinare se anche in regime capitalistico sia possibile avvicinarsi a quel trionfo del libero scambio che è uno dei postulati dèll 'internazionalismo socia– lista e contro il quale uno dei massimi se non il massimo ostacolo, è costituito, in Italia,' dalle resi– stenze e dalle pretese della grande siderurgia. Su questo terreno della realtà attuale il ·pensiero del Piccioli, che è implicitamente favorevole alla con– tinuazione ad all'inasprimento della protezione oscilla fra i due concetti della naturalità e della nec~ssità di una siderurgia nazionale. La maggior parte della sua difesa tende infatti a dimostrare che la siderurgia è una industria naturale, non in tutta l'Italia, tna almeno all'Isola d'Elba ed a Piombino; e la dimostrazione si fonda sul fatto che o_veno_n~i possano trovare in una stessa località gia~ cimenti d1 ferro e giacimenti di carbone. è assai più vantaggioso costruire gli altiforni in vicinanza alle miniere di ferro e trasportare di lontano il carbone, eh~ entra ~~Ila composizione della ghisa in quanti– tativo sensibilmente inferiore a quella del minerale. Riconosciamo volentieri che l'iirgomento avrebbe un grande valore se la consistenza delle miniere el– b~ne f_osse tale _.ctaassicurare per un lungo periodo dr anm la matena prima ai grandiosi impianti dell 'Il– va. Ma anche in tale ipotesi è questo un argomento che non può certo valere a ~uffragare la domand·a di una maggior protezione : se infatti gli altiforni di Portoferraio e di Piombino godono già di un così sensibile vantaggio naturale per essere immediata– men!e_ vicini alle miniere di ferro, se i loro impianti tecmc1, come sostiene il Piccioli, sono ormai tanto perf_ezi~nati ~a non temere il confronto coi migliori 1mp1ant1 dell Estero, non si riesce a comprendere per quale ragione si debba proprio trovare I'llva alla testa di tutti i siderurgici che, oltre ai multif6rmi favori di cui già godono, chiedono ora la triplicazione BiblioteGaGino Bianco del dazio d'entrata sulla ghisa, sul ferro e sull'acciaio greggi. C'è - è vero - il danno gravissimo del prov– vedimento inglese per i prezzi differenziali tra il carbone destinato al consumo interno e quello desti– nato ali 'esportazione; ma la domanda di triplicazione del dazio è stata avanzata dai siderurgici molti mesi prima di quel provvedimento, ed essa ha carattere permanente, mentre il provvedimento iRglese ha, per fortuna, un carattere del tutto eccezionale e tempora– neo - e, per la ripercussione eh 'esso ha sulla nostra vita economica, è tale da suggerire non aumenti di protezione ma una più rigida economia nel consumo del carbone d'importazione, di cui nel 1913 - sopra 1O milioni di tonnellate - più di 2 milioni erano destinati appunto alla siderurgia. Ma in realtà la vicinanza delle miniere dell'Elba non è argomento sufficiente per dimostrare la natu– ralità di una grande siderurgia in Italia, e nemmeno in Toscana. Nella stessa relazione riassuntiva del– l'on. Pantano sui lavori della Commissione per la nuova tariffa doganale - relazione che non è certo animata da concetti antiprotezionisti ed ostili ali 'in– dustria - si riconosce che le miniere elbane si av– viano rapidamente verso l'esaurimento; che già ora· il minerale che esse forniscono comincia ad essere di qualità più scadente, e che questo rapidò esaurimen~o dei nostri poveri giacimenti di ferro ·può far dubi– tare se sia stato prudente· dare un eccessivo incorag– giamento allo sviluppo della grande. siderurgia. CCJn favori d'qgni genere lo Stato ha dato per primo la spinta alla costruzione di impianti grandiosi e costo– sissimi, che il Piccioli valuta a più di 100 milioni di lire e che egli dichiara inutilizzabili per qualullque altro scopo industriale; e si è dato vita ad un'indu– stria che già ora, nelle condizioni più favorevoli dello sfruttamento minerario, produce a costi sensibjlmente superiori a quelli della siderurgia straniera, e che fra pochi anni - esaurite Je miniere dell'Elba - si troverà di fronte ad essa in una condizione d'inferio– rità a dirittura disastrosa. Delle condizioni future. di quelle industrie possia– mo farci un'idea da una pubblicazione non sospetta, irr cui la Direzione degli Altiforni di Servola (Trieste) dimostra la necessità in cui. si trova di sospendere completamente la produzione. Ugualmente lontana dalle miniere di ferro e di carbone, quell'industria, per ottenere una, tonnellata di ghisa, nei mesi in cui il carbone inglese posto a Tries1e costava 1100 lire la tonnellata, doveva impiegare 1400 kg. di carbone a L. 1,10 L. 1540,- 2000 ,, di minerale di ferro a ,, 0 1 80 ,, 800,- Perciò, di sole materie. prime, una tonnellata di ghisa prodotta a Servola veniva a costare 2340 lire mentre una tonnellata di ghisa inglese od americana si poteva comperare a Genova per sole 1250 lire. 11 gio,no in cui gli altiforni dell 'Ilva siano costretti a produrre nelle condizioni di quelli di Servola non solo non basteranno le I O lire per tonnellata del dazio attuale sulla ghisa, nè le 30 o le 40 lire invocate dai siderurgici, ma sarà necessario un dazio mobile che compensi la naturalissima industria nazionale del costo dei noli per il trasporto del carbone e del minerale di ~erro, e che raddoppi almeno il prezzo della ghisa importata, a tutto vantaggio dell'industria metallur<>i- ca, meccanica ed edile. 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