Critica Sociale - XXVI - n. 4 - 16-29 febbraio 1916

CRITICA SOCIALE 61 t.iva. Lui, che vedeva nella guerra la creatrice della vita, che solo nella sofferenza scorgeva la fonte del grande, lui colmerebbe di gi,oia e d'entusiasmo que– sta Europa in fiamme. Egli, che era l'uomo· die-1 « tutto o nulla», si ergerebbe in fiera contentezza al sentire certe rodomontesche a.spirazioni dei pan– germanisti. Ma ciò non sig~ifica ancora che questa sia la guerra di Nietzsche, la guerra nata sotto l'in– fluenza della sua filosofia. · Sì, una tale filosofia par.e fatta apposta per i Tee-– deschi di questa ora; ma non è Nietzsche, che abbia foggiato il pensiero bellico di questi Tedeschi. Quella volontà di poten,za, che forma il fulcro dell',opera nietzscheian,a_, anima oggi tutta la Germania; ma è falso il credere che essa sia venuta dal filosofo alla nazione germanica, spingendola e tenendola forma, irremovibile, sul campo di battaglia. Si verifica pe•r la filosofia di Nietzsche qualcosa ci'i simile che per il famoso Deutschland, Deutschland ilber alles. È vero; oggi, mentre la Germania è ac– cerchiata c1a nemici implacabili, vi è chi dà a quelle quattro parole una significazione di pangermane– simo conquistatore. Ma si tratta di un adattamento anacronistico. Come già scrissi altra volta, quel– l'inno non ha nessun senso egemonico, non ha nulla a che fare con le pazze voglie conquistatrici di _certi nazionalisti. Basta, per persuadersène, legge·re i versi che succedono a quelle parole; basta ripen– sare all'origine di quel canto, che fu composto da Hoffman von Fallersleben il 26 agosto •1841, quando cioè non esisteva ancora la parola W eltpolitik, quando ancora non esisteva l'Impero germanico. Era appunto l'inno del patriota, che sognava la li– bertà e l'unità naziona-le. ;Ma oggi torna comodo ravvisarvi il canto pangermanistico, anche se il poeta non ci ha n:è colpa .... nè merito. Così è, a un dipresso, dell'ideale nietzscheiano. E innanzi tutto : nella sua dottrina di superuomo e di superpotenza, Federico Niietzsche non pensa al po– polo germanico. Egli è troppo cosmopolita. Predica il culto della forza, predica l'esercizio d'una vo1ontà verso tutto ciò che è bello e grande, non rivolgendo-si ai soli Tedeschi, ma a tutti: egli p-1Jedfoaall'uni– verso, all'uomo. Chè se anche ei pensasse. soltanto alla Germania, è un errore il far risalire alla sua filosofi.a le convinzioni, che, in questo- momenito, gui– dano i Tedeschi; è falso -il credere che sia stato lui. ad aprire la via alle idee di potenza e di supe,rpo– tenza, che oggi dominano in molte teste ted~sche. Ora come ora, si possono trovare nrelI'auiore· dell-o Zaratustra molte di quelle aspirazioni, che infiam– mano il popolo germani,00·; ma non fu lui a ingene– rarle. È quasi un'ingenuità il pensare che Nietzsche abbia potuto influire tanto rapidamente e tanto pro– fcmdamente sull'animo di quel popolo. La Comùnità di Nietzsche non è ancora tanto grande, i suoi li– bri non vengono ancora tanto letti (e tanto capiti!), c1a poter ammettere tale influenza. Per m9lto tempo egli _fuan,zi di moda in Fra,ncia più as;sai <:he in Ger– mania. E, se è vero quanto dicono, che lo cerca ora in Germani.a la gioventù che combatte, è però fuor di dubbio che non fu questa gioventù a preparare la guerra, a v-olere questa conflagrazione. Fu voluta e preparata, questa gµerra, dalla g-e•n,e– razione tramontante o inveicchiante: ma fu precisa– mente la generazione, che e,ombat1è Nietzsche con un accanimento, quale for&e non si vide in nessun altro Paese. Fu voluta e prep.àrata da « quei cari Tedeschi, <:he in quindici anni non pubblica– rono nemmeno una ·recensione èli uno solo dei mie,i dodici libri». Altro che influenza di Ni,etzsche! Fu voluta e preparata da quelle colonne de-Ha,società, che odiarono sempre, come il diavolo l'acqua santa (ma le parti era_no invertite), il banditore d-eil_ van-- ibliotecaGino Bianco ge-lo anti,oristi.ano, lo svalutatore di tutti- gli esistenti valori religiosi, morali e civili. Un Francese ha- detto una volta alla sorella del filo,sofo che « Bi-smarck è Nietzsche in stiva1oni da co·razzi,ere e che Nietzsche, con la sua dottrina della volontà di potenza come fondamento diella vita, è Bismarck in abito professo-raie». C'è molto di vero in simile appaiamento di quei due grandi. Ma ciò . prov a a-ppunto che non c'era bisogno di Nietzsche p.er venire a questa gue-rra, per creare l'ambi,enie, in cui q uesta gue,rra è scoppiata, per far nascere le voglie, che questa guerra ingenerarono·, e lè teorie, che la giustificano e la santificano. Nietzsche teoretizzò, e levò a sistema filoso.fico quel desiderio, qu,ella volontà di potenza, che ani– mava già i T,edeschi non meno di altri popoli .. Ora, che La guerra c'è, si può facilmente -ritrovare nelle sue opere il pensiero, la a-spirazione -che l'-o-riginò. Ma non fu lui a produrre quel pensiero nè quell'a– spirazione. Anche senza Nietzsche la gi'ierra sarebbe scoppiata. E sie, all'ultimo momento·, essa fu sca– tena,ta dalla Germani.a e dall'Austria, « noi non pos– siamo cessare dal ripetere che questa· terribile con– fl.agrazione è stata preparata dal criminoso impe- rialismo di tutti i Go·vemi ». · Le quali ultime parole non sono mie nè di un di– fens•o•redi Nietzsche o dei Tedeschi, ma si possono leggere in uno dei recentr numeri della « Huma– nité ». E, sotto di esse, la firma di Compère More]. (Zu,·tgo). G. SACERDOTE. PER UNA CAUSA 61ÀPERDUTA .... Pi,otori·bus a•tquepo,eti-s .... Ricordate il Fiacco? Certo è che ai poeti, ai letterati, anche più che ai pittori, convien dare larghissima venia per le bizzarrie del loro cerveDlo. Sono il loro modo di pensare, spesso una condizione necessaria" del loro pensare originale, geniale. La iperbole è, in fondo, il più onesto dei tropi. Non si tratta - per chi legge - se non cli « fare la tara ». Ma l'iperbole, pù man-tenersi tale, non dev'essere spinta oltre un cffto segno; non deve essere spinta sin là, dove sembra rov·esciarsi da se stessa, come un guanto, e piglia aspetto e nome CÌi ironia. Pèrchè al– lora ..... chi ci ·capis'ce più nulla? Or questo tÌ il lodo, ci pare .(e veiiùami -d.amus .... si intende!), del nostro ottimo amico e "finissimo rica– matore di idee e ·ai hum:our, Marco Ramperfi. Il suo articolo del Numero scor·so: « Buioa-to· di am,ime » · parve anche a noi, essenzialmente, ironia. « Essen– zialmente·», diciamo. Os_sia, non interamente, e non solamente. Gli scrittori non hanno il dovere (i lette– rati, tanto meno!)· di adattare ogni lor·o periodo al– l'tina o all'altra casella dei Manuali di Retorica. Ma l'ironia, a nostro avviso, doveva. esserne il fondo: E per questo lo pubblicàmmo; con la riserva di quel « ca,ppello » che, negando ogni riserva, preveduta o provocala dal/'autor·e, allo scritto da lui qualificalo essenzialmente letterario· e non affatto equanime, vo– leva essere la più cauta delle riserve e mettere vieppitì sull'avviso il lettore, se mai occorreva, che per ca– r·ità 11011 pigliasse abbaglio, che lo scritto, ripetiamo, . e,·a, essenzialmente, dell'ironia .... Ebbene, fra i più o meno bul'lati siamo stati anche noi. Perchè, inentre qualcuno dei nostri lettori ci -mandò, trasognato, a domandare se· la Griti,ca Sociale

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