Critica Sociale - Anno XX - n. 3 - 1 febbraio 1910

36 CRITICA SOCIALE •1·ism'{/imento economico nazionale e ha costituito w1 efomento dap1wima non p1·eveduto di sviluppo commer– ciale,, ( 1 )- J)el reslo, per farsene un'idea, lmsta considerare che i paesi, anche piccoli, da cui parte il maggior numero d'emigranti, hanno milioni di risp1urni depositati pre!:!SO le Banche o le Casse pol"ltali. Citiamo, ad esempio, Scilla, in provincia di Reggio Calabria (70iXl abitanti), con 600.000 lire di ri~parmi alla Cassa postale; da 500 a 600.000 Girifalco (Catanzaro) con 52W ahi tau ti i un milione di lire Cortale, nella stessa provincia, con ,JlOQ abitanti; Catanzaro, che ha nelle sue due Banche sei milioni; Co-.enza, che ne ha dieci, e via dicendo. 'l'ntto questo denaro, frutto esclusivamente o qua..;i del– l'emigrazioue1 serve, se non altro, ai rimpatriati per vivere meno peggio d'un tampo, per riedificare lo loro ca"o, per ri.scat.tare i loro terreni ed acquistarne dei nuovi 1 per sottrarsi agli art.igli degli strozzini, e, in ge– nerale, per liherarsi dalla "mala Signoria che .-;empre accora II nel .Mezzogiorno " il popolo suggetto ,,. Chi visiti, oggi, anche fugacemente, le regioni meri– dionali, si av\'ede si1bito, a colpo d'occhio, del benes– sere e della civilto\ cho ha saputo produrre il movimento emigratorio. ln ogni borgata il quartiere degli II Ame- 1·icani,, si disting11e, per la pulizia e la proprietà, dalla u Pagan.ia n, il quartiere dei poveri, dei non emi– grati, dove le case sono dei veri e propri porcili adi– biti ad uso di abitazioni umane. 11 I miglioramenti igienici che si trovano in questi paesi in fatto di abitazioni - spigoliamo ancora dal Rapporto di Adolfo Rossi - sono dovuti tutti all'emi– grazione. Le numerose case nuove e pulite che si ve– dono in ogni villaggio i;ono dei cosi detti Ame1·icani ,· esse consistono generalmente in una o due camere a pianterreno ed altrettante al primo piano, e sono co– struite con calce e mattoni. in esse non Ili vedono più i maiali, gli Mini e le galline nella medesima stanza in cui dormono i contadini. Per gli animali u:li Ame,·icani costrniscono un locale apposito accanto all'abitazione. 11 Ciò nell'Italia meridionale. Nella settentrionale poi i benefici economici souo ancora maggiori e più patenti. Nel Bellunese, per esempio, secondo la testimonianza di persone interpellate da Pasquale Villari, l'emigra– zione è stata una vera sai vezza. 11 Io non so - affermava una di queste persone - che cosa sarebbe di questa nostra provincia senza l'e– migrazione. Con una popolazione di circa 200.000 abi– tanti, abbiamo 20.000 emigrati, i quali ~i può calcolare che mandino o portino a casa 10 milioni di lire italiane ogni anno. J salari sono raddoppiati o anche triplicati, il vitto è assai migliorato, il benessere è cresciuto per tutti. Moltissimi sono quelli che, coi loro risparmi fatti all'estero, specie negli Stati Uniti, comprano un campo e vi costruiscono sopra una casa. Il prezzo dei nostri ~erreni è rarldoppiato, triplicato. Ne vuole una prova? E sorta tra noi una industria nuova. Si comprano delle grandi tenute e, divise in piccoli lotti, si vendono, fa– cendovi lauti guadagni, agli emigrati che tornano dal– !'America. 11 ( 1 ). . . . Ma i pessimisti anche qui banno delle obiezioni da fare. Tre giovani scrittori fiorentini, i signori '.l'arnffi, De Nobili e Lori ('). che han1!0 studiato con molta cura il problema dell'emigrazione in Calabria, però con una (') Rela:.W»e sui servizi d<lt'emigra:.i1me per il periodo da/l'a.pril11 1900 !lll'aprifo 1901. (') PMQl/Al.l: V11.1.A>U. - Art. citato. {1) D. '.fAllurr1, L. D..: Nos11,1 o C. Loa1, La questione !lgrario. e l'emig,·a:.io11., ;n Calab.-ia: con (ll'Ofaziono dì Pasqua lo Villilri, - 1-:ireW(.u,100:i. forte propensione a veder nero, sono d'avviso che, se l'emigrazione dà qualche frutto che non sia di cenere e tosco, questo frutto reca un utile molto scarso a chi lo procura e, in generale, al paese. 11 Beneficio reale, costante - ammettouo ancb'esSJì - apportano le rimesse, i risparmi degli emigrati: l'ali– mentazione più elevata, il saggio dell'interesse depresso, l'usura mitigata. Ma, senza insistere sull 1 esportazioue di capitali (nolo, peculio, capitale-nomo), i vanlaµgi so1w in g1·an pa1·te infi.l'mali dalla deficienza di c1·iti-·1·i eco– nomici nell'impiego dei 1·isp 1 0-1ni, e dalla tendenza a inasprn-e la pi ..ga detl'agglome,·amento. ,, In verità, la grnnde pioggia di danaro venuta dal– l'America, dopo aver servito a 1:1oddisfare i primi ele– mentari bh,ogni d'una più civile esistenza, resta per la massima parte a dormire nelle Banche, quando non venga legalmente furata ai rimpatriati dall'onesta bor– ghesia (che sa bene sfruttare il vivo desiderio dei no– stri contadini di possedere la terra), o, come s'è visto, non ripassi addirittura l'oceano per avere all'estero quell'impiego che in patria non sa trovare. )fa di chi la col,1H\? È anche questo un addebito dR farsi agli emigranti e all'emigrazione, o non Costituisce invece un male a sè, preesistente all'emigrazione, ila anuoverarsi anzi fra le sue cau.-;e principali? A noi sembra che gli emigranti avrebbero il diritto di do– mandare: - Ma, signori, che cosa pretendete da noi? Vantate, quando partiamo, il grande valore e la grande utilità delle nostre braccia; ma, se restiamo, ci lasciate inoperosi la massima parte dell'anno o ci pagate una meschinità: 60-70-80 centesimi al giorno. Ce n'andiamo alla fine, vi liberiamo dalla vi~ta inestetica dei nostri cenci e delle nostre miserie, vi salviamo dal pericolo di rivolte e rivoluzioni, lavoriamo all'est1;1ro come cani, e torniamo a cam un po' ripuliti e sfamati, con dei soldi in tasca, che depositiamo nelle vostre Banche. E ancora vi lamentate? .\ncora trovate che l'emigrazfoue è un disastro, e che i .suoi guadagni sono infruttiferi? Ma che cosa dovremmo noi fare per ricavarne dei frutti? Dovremmo sostituirci al Governo, ;\ tutti gli Euti pubblici e ai proprietari privati? Dovremmo, dopo che abbiamo saputo risolvere, a nostro rischio e peri– colo, il problema del lavoro, affrontare anche quello del capitale, e insegnare ai u civili II il loro mestiere? Queste domande, se non le fanno i lavoratori, le ha fatte qualcuno dei loro più autorevoli interpreti. L'ono• revole Bissolati, ad esempio, chiedeva qualche anno fa alla classe proprietaria del Mezzogiorno perchè, invece di lagnarsi della rarefazione della mano d 1 opera, non pensa a migliorare i contratti agrari, a valersi dei mi– lioui che giacciono infruttiferi, a sua di~posizione, presso il Banco di Napoli 1 e li. coltivare un po' meno adamiticamente le terre feraci che pur si trovano nelle regioni del Sud, compresa la Basilicata, dipinta da alcuni come una landa arida e deserta. (') Il buon senso suggerisce, e le poche esperienze fatte da proprietari volonterosi confermano, che basta offrire ai lavoratori condizioni appena appena decenti di vita, per guarirli di colpo della cosidetta mania emigratoria. Uno di questi proprietari, della provincia di Potenza (Latronìco), interpellato da Adolfo Rossi, informava di dare ai suoi contadini 2 lire al giorno e un litro di vino, e asseriva di trovarne quanti ne vuole, " perchè chi si lamenta dell'eci;essiva scarsità di mauo d'opera è gente che non vuol pagare mercedi ragionevoli ,,. E il Rossi, nel riferire, premette a chiarimento: ( 1 , LY.ONIOA B1SSOLJ.'l'I: Lt, respo11wòiliIa trei propl"io:to.r; »t1.'rid,01111li, nolla R,t11!f0: Agricofo, Roma, 16 ot.tòbr& 1006.

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