Critica Sociale - Anno XV - n. 17 - 1 settembre 1905

262 CRITICA SOCIALE creando così una specie di aUbi alla propria poltro· neria; o aguzzava Porecchio per udire se mai dalla Sicilia venisse il compimento delle sue idealità re– pubblicane. E su tutti i morti delle stragi frequenti essa recitava, come recita ancora, i suoi ampollosi discorsi, rh1guainando poi, a dimostrazione finita, le sue bandiere, i suoi propositi e le sue indignazioni. Cosicchè oggi possiamo confessare col Sonnino che 11 siamo noi, italiani delle altre provincie, che impe– diamo che 1a Sicilia si rinnovi e si redima , 1 • Le classi dirigenti, per tornaconto e per ingordigia, le classi medie, per ignoranza e per inerzia, il proleta– riato, per disdegno delle questioni pratiche e delle soluzioni graduali, tutti siamo 1·esponsabili ad un modo, però che siamo noi che 1 o imponendola, o subendola, « abbiamo legalizzata l'oppressione esi– stente ed assicuriamo l'impunità all'oppressore ,,. Non \'orremo dunque oggi, dopo il rombo lu– gubre della fucilata di Granmichelc, scuotere di dosso la nostra noncuranza colpevole? * • * La irriflessione passionata, che è una delle ragioni d'inferiorità del nostro rivoluzionarismo latino, ci suggerisce, ad ogni strage di popolo, una formula che accontenta la nostra presunzione di gente sa– puta: tragedie della dominazione borghese. E poichè questa dominazione ci par fatale debba difendersi dall'assalto violento della classe soggetta, noi, nel– l'atto stesso che protestiamo indignaci contro la sop– pressione della vita umana, offriamo con una legge– rezza inconsapevole la giustificazione storica dell'o– micidio e ne riconosciamo la fatalità dolorosa. Ora, tutto ciò non è che l'effetto di una gene– ralizzazione, altrettanto facile quanto errata, della ormai incrollabile verità marxista, secondo cui nel– l'epoca nost1·a si comhatte il supremo duello tra. bor– ghesia e proletariato. DoYe sono morti proletari noi ci immaginiamo debba essere borghesia, dove scoppia un conflitto sociale ivi noi crediamo dover rinvenire le grandi linee della classica lotta di classe. l\fa in Sicilia., anzi, meglio, nell'interno della Sicilia, siamo noi sicuri sia veramente una borghesia e una lotta di classe fra proletari o borghesi? La rivoluzione, che in Francia ahbattè lo Stato di Luigi XVI e impiccò ai fanali la feudalità. ribolle, e che nel resto d'Europa penetrò portata negli zaini dei soldati francesi all'ombra delle bandiere repub• blicane e imperiali del J3onaparte, ebbe diversi modi cli rinnovare i rapporti economici delle vecchie so– cietà feudali. Mentre in !◄'rancia la sostituzione del contadino al feudatario nella proprietà del suolo,....si operò attraverso alla confisca eia parte dello Stato di tutti i beni feudali, in Germania la terra rimase ai coltivatori che l'occuprwano 1 mcrcè una serie di leggi che li affrancò dal dominio feudale e li raf– forzò contro le successive usurpazioni. In Sicilia in– vece, nè la confisca fu tentata dallo Stato, nè ]a sostituzione del coltivatore al feudata.do fu possibile. La riforma del l8l2, promulgata in un momento in cui l'Europa attraversava un periodo di reazione, ruppe soltanto la crosta della feudalità, ma ne lasciò intatto il midollo. I baroni feudali rimasero i pa– droni del latifondo 1 e gli antichi servi continuarono sotto altro nome la servitù di prima. Così, quando la rivoluzione italiana introdusse gli istituti liberali nelln Sicilia e nel Mezzogiorno, essa si trovò di fronte a due sole classi: i feudatari, senza gli antichi diritti feudali ma con altrettanta potemm, e i proletari in completa balìa dei loro si– gnori. Leggi, istituti, costumi, fatti per una classe media a tipo borghese, vennero per_ tal modo affi– dati a due classi, l'una delle quali era troppo de– bole per profittarne, e ),altra troppo forte e troppo abituata alla prepotenza per servirsene con spirito democratico. La rivoluzione itnliana offriva la giu– stizia popolare e gli antichi baroni la trasformavano in Corti cli giustizia i dava il diritto di levar imposte e i signori ristabilivano le servitù del medioevo; ]argiva il Governo comunale e gli antichi feudatari ristabilivano il feudo. " Per tal modo - scrive il Franchetti (l) - la potenza indiYiduale vinse, do· minò e dette leggi da per tutto. R dall'Assere sempre stati i suoi effetti invincibili e ineluttabili, ne risultò che furono da tutti, sia che ne profittassero, sia che ne soffrissero, considerati come legittimi, e la prepo– tenza diventò il fondamento di tutte le relazioni sociali e del senso giuridico in ogni classe della po• polazione. Ne seguì che, in quelle parti dell'Isola. dove la prepotenza aveya forma violenta, si continuò fino al 1860 la tradizione medioevale della violenza, della facilità al sangue, del niun valore dato alla vita umana. ,, Nè le cose sono troppo mutll.te dal '60 ad oggi. Certo, una classe media, i ca,ppeddi, è venuta infil– trandosi tra il proletario e gli antichi baroni della terra., i quali, o trapiantati nelle grandi città del continente o rovinati dal fasto di uno spagnolismo senza limiti) vivono soltanto nelle fantasie di ma• niera della demagogia rivoluzionaria. :Ma cotesta classe media, e per l'origine sua e per l'assenza della vecchia aristocrazia di razza, non potò eserci• tare la sua funzione naturale, che è di equilibratrice fra le due forze sociali estreme. Essa ha semplice– mente !;lostltuito gli antichi feudatari, attribuendosi una specie di investitura feudale, per cui tutti i poteri locali rimangono nelle sue mani. Ora, da questo cambio provenne una delle mag– giori jatture della Sicilia. Una classe di feudatarì, prepotente ma ricca, avrebbe potuto, o per filantropia o per tornaconto, lenire l'estrema miseria del prole• tariato. Ma una classe, invece, venuta su dalla ra– pida fortuna dei gabello/i subito dopo il '60, fiaccata dipoi nella sua vitalità economica da una intestina concorrenza nei primi anni del generale deprezza. m,mto delle derrate, mantenuta in vita solo mcrcè il feroce sfruttamento della terra e dell'uomo in questo ultimo decennio di crisi, non può essere, neppure per un giorno, equa cd umana (l Perchò, nel Casino dei (:civili,,, que11a che vorrebbe essere la borghesia, e non è se non la sua miscrahile cari– catura, possa lusingarsi di mantenere, almeno nel– l'abito e nei costumi, l'antica supremazia degli scom– parsi baroni, è d'uopo che i contadini lavorino per salari di fame, paghino col dazio, col fuocatico, con la tassa sul bestia.mc le spese del Comune, diano al latifondo e alla miniera tutto il sangue delle loro vene. Ecco perchè, quando la misura è colma, il lugubre grido di morte ci li ca,ppedcli.! risuona. nei borghi di Sicilia, e il rombo delle fucilate e 11urlo dei feriti ristabiliscono, in nome dell'ordine, la servitù delle plebi. . .. Abolire questa servitù, rinnovare l'ambiente eco– nomico che la perpetua, schiudere la Sicilia. o il Mezzogiorno al la vita democratica, sono mezzi di salvezza, con cui si può preserva.re da altre stragi il proletariato d'l'talia. Finchè la causa profonda dcll'i11su1Tezione e quindi del conflitto non san\ tolta, flnche le nostre proteste e le nostre odierne battaglie politiche assomiglieranno all'opera di Sisifo, destinata ad esaurirsi nel vuoto. Se non che, a quale forza dovremo affldare la re– denzione del l\fezzogiorno? All'insurrezione delle sue ( 1) FRANcm:TTI: La Sfoi.!i.a 11ii 1816, O. Clll fa 8C8'lllto Il vohlll\O del Sonnino, J co11faàl11i In Sicilia. fl Vedi: VJLLARI, La Stcuta e H sociausmo, Mlla.110 1 189(;.

RkJQdWJsaXNoZXIy