Critica Sociale - Anno IV - n. 22 - 16 novembre 1894

348 CRITICA SOCIALE valore, eguali, non YUOI dire che, essendo diminuito il sopralavoro sociale, essi non si eguaglino sopra un tasso mi1101·e di quello che si a\ 1 eva quando non c'era il capitale tecnico. Nello stesso modo, ogni nuovo aumento del capitale tecnico diminuisce in proporzione della sua entih\ il profitto sociale, e per conseguenza la pal'te che di esso gode ciascun c.,pitalista. Supponendo che JJ convo1·ta altre 2.) giornate salari in capitale tecnico o che anche A. introduca nn primo c.,pitale tecnico di 23, il profitto totale diventa di 25 giornate per parte del capitale salari di 50 posseduto da B, e di 37,5 giornate per parte del c.,pilale sala,·i di 75 adoperato da A: in tutto di (i?.5giornate. Ciascun capitalista c1uindi non gode pii, che un profitto di 31,25 giornate. Noi vediamo dunque che da11a premessa marxisto-loriana, pe1· cui il capitale tecnico non produr1·ebbeun profitto dall'intimo dell'atto produttivo, scaturisco questa lo– gica conseguenza: che l'espandersi del capitale tecnico l'iduce a sempre pili tenue propo1v1,ione il profitto goduto dalla classe capitalista. Ma tutto ciò ò enorme. I fatti anzitutto stanno cont1'0 questa legittima induzione. V'hanno paesi, corno nnghilterra e l'Ame1•ica, in cui il minimo di capii.aie tecnico adoperato in ciascun ramo e dcl– l'in,dustria e dell'agricoltura ha assunte oramai di– mensioni che appaiono gigantesche clifronte a quelle del capitale salai-i che fo accompagna. In rami spe– ciali il capitale tecnico ha completamente assorbilo il capitale salari. La macchina, raggiungendo il li– mita della tendenza ad essa innata di rendersi nel modo piit assoluto automatica, ha soppresso addi– rittm·a l'o1>eraio. Rimangono appena poche braccia d'uomo, e queste, non per procturre merci, ma per prestare quei servigi che sono necessari alla ma– nutenzione dei capitali immobili. Orbene, mentre in tali nazioni, essendo il soprala,•oro totale climi• nuito di tanto, il profitto complessivamente goduto dalla classe capitalista dov1·ebbe ~sere, secondo la teoria del i\'larx e del Loria, ir1·isorio; noi vi con: tiamo le piit colossali fortune del mondo. Nè varrebbe l'obiettare che la ricchez1.a di tali l;orghesie può parere così grande, solo perché essa, in causa de!l"accentramento della proprietà, O,r:1c– colt..'L sopra. un numero limitato di individui. E fa. cile infatti provare colle statistiche alla mano che i profitti goduti dai c.,pitalisti dell'Inghilterra e dell'Ame1•ica 1 non solo eguagliano, ma superano in grandezza assoluta la somma di quelli ricavati da altro classi dominanti nelle quali il numero dei proprietari è molto maggiore. Era del re to da prevedersi che i fatti dessero torto al concetto della scuola classico-socialista sul capitale tecnico. Qualora. quest'ultimo non sviluJ)· passe dalla produzione un J)rofilto, i capitalisti non si sarebbero mai indotti a convertire una forma di capitale (il capitale salario), che è produttrice cli profitto, in una forma che ne ò sterile come il c.1pitaletecnico. li fatto che il capitalo tecnico esisto. è la pro, 1 a migliore che esso non contraddice agli interessi di coforo che lo applicano, che non li priva cioè di un profitto. La stessa ragione, per cui il Loria non ha accettate le idee del Marx sul capitale tec– nico dinèren1.iale, obbligano noi a rifiutare le idee del Marx e del Lo1•iasul capitale tecnico in genere. Se i fenomeni pili incontestabili delle pit'1 s,,i– luppate costituzioni economiche, se la pili volgare conosce111.adei moventi psicologici che dirigono le azioni della classe dominante contraddicono alla te01·ia classico-socialista del capitale tecnico, in questa deve nascondersi un grave vizio d"origine. Tentiamo di scoprirlo. Bib ,oteca Gino Biarco li profitto, se der-iva dal sopmlavoro, se, ,•aie a dii-e, ò possibile in quanto la classe soggetta lavora pel" un tempo maggiore di quello necessa1·io a pl'Odurre le merci di suo consumo, consiste real– mente nelle merci che, ottenute con tale soprala– voro, ser\•ono ai capitalisti per soddisfaI·e alle loro esigenze. In altre parole il profitto, mentre ripete la sua causa dal sopralavoro, sta nell'effetto cli questa causa, nella sov,•avrodu:ione ottenuta col sopralavoro. Qualora si potesse suppo1-re che h classe soggetta, dopo essersi procacciate col lavoro necessario le me,·ci che costituiscono il suo con– sumo, passasse a compiere un sopralavoro, ma con questo non ottenesse pil'1 alcun prodotto, il profitto, malgi-ado l'esistenza del sopralavoro, non S..'L1·ebbe. Vb;to cosi che il capitale salari dà. un profitto perchò dt\ una sovra.produzione, una eccedenz_a di prodotti sul consumo dei lavoratori, non ò clifllcile riconoscere che fra un operaio ed una macchina non c·e. per rigua1'Cloalla questione che c'interessa, una differon1.a sostanziale. Come il lavoratore rap– presenta un organismo che per la sua costituzione può produrre pili di quello che consuma, cosi la macchina è un istrumento che produce una quan– tità di merci molto maggiore di quella che ò ne– cessaria alla sua creazione od al suo mantenimento. E come, dato un ordinamento capitalistico della societ,\, la potenza fisiologie.,. che ha il lavoratore di produrre più di quello che consuma, prende corpo nel fatto sociale che egli non dispone che di una parte di quanto produce; cosi la poten1.a fisica posseduta dalla macchina, di produrre una quantità di merci maggiore di quella che è ne• cessaria a crearla e a mantenerla, si converte nel ratto sociale che questa maggior <1uantitil è goduta esclusivamente dalla classe dominante. Dando adunque il capitale tecnico vita, se non ad un sopralavoro, ad una sovra.produzione, e con· sistendo appunto il profitto, che si ricava dal ca– pitale salari, in una sovra.produzione, il capitale t.ecnico \'iene a produrre, non meno del capitale l-alari, un profitto. Siccome anzi la macchina, per la sua stessa natura, crea una sovraproduzione molto maggiore cli quella che non possa il lavora– to1·e1 il profitto che si ricava dal capitalo tecnico diventa maggiore del profitto dato dal capitale salari. Ciò posto. noi possiamo benissimo ideare una società, in cui, non già col sopralavo1-o, ma col non lavoro, esista il profitto. Se, infatti, tutto il lavoro compiuto ora dall"uomo fosse surrogato dall'opera delle macchine. queste, con una quantità di merci relativamente piccola, ne produrrebbero una quau– liU\ enormemente maggiore. Ora, dato un assetto capitalistico della società, questo fatto tecnico offri– rebbe la base ·a1 fatto sociale che la classe domi– nante, potendo godere per sè sola la differenza fra il prodotto ed il consumo della macchina, verrebbe a dispor1•0 di una eccedenza di prodotti sul con– sumo dei lavoratori, cioè di una sovrapt'Oduzione, cioè di un profitto molto più considerevole di quando alla produzione concorreva ancora la debole forza muscolare dell'uomo. Già nell'economia presente la sostituzione della macchina al lavorat9re ha acquistato spaventevoli J)l'Oporzioni. Ma, data la teoria classico-socialista del c.,pitale tecnico, il fenomeno della disoccupa– zione diventa inesplicabile 1perchò non si comprende come mai i capitalisti, lasciando inoperoso un cosi grande esercito di lavoratori, voglia110 spontanea– mente privarsi del profitto che deriverebbe dal sopralavoro di questi. Ammesso invece che il ca– pitalo tecnico, apportando una sovrap1'0(luzione goduta in modo esclusivo da chi lo impiega, non si diflèrenzia dal capitale salari, l'uso delle mac-

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