Spetttacolo : Via Consolare - anno IV - N.s. - n. 2 - gennaio 1943

-SPETTACOLOFondazione Ruffilli - Forlì V I A CONSOLARE I MENSILE DEI CTNE - TEATRI - RADIO - GUF Dlroz. Red. Amm.: Fori!, Sede Littoria- Tel. 6018 - Clc. post. 816395. i( ARMANDO RAVAGLIOLI Direttore WALTER TlONCHl Vice Dir"ttore GUIDO ARISTARCO - PAOLO GRASSI Redattori Segretario di Direzione : ENRICO CAI\fPORESI i( ANNO IV - NUOVA SP.RTE GENNAIO 1943 '(Xl N. 2 i n questo n u m e r o: di FRANCESCOROSSI di GUILLAUMAEPOLLINAIRE (da " le ooèu~ assassìné .,) di GILBERTOLOVERSO ARMANDO RAVAGLIOLI Teatro di fede. ADOLFOAPPIA Arte viva o natura morta. SALVATORQEUASIMOOO Elegosper la danzatriceCumani WALTER ONCHI Per la conquistadi una civiltà. GINOSEVERINI Nuoviorientamenti nel teatro•. SANDRO BINI Magnasco,i Pulclnelli. EGIDIOBONfANTE Artisti del rinascimentoa teatro. GIANNIRATTO La festa del paradiso di Leonardo da Vinci e BernardoBelllndoni. FILIPPODE PISIS Pensieri su la " sceneggiatura,.. GIORGIOSTREHLER Nota per un teatro postumo. EDILIORUICONI Nota per Loverso. FRANCOROSSI " Paludi., di Diego fabbri. A. L. 8. " Arsura.. di Turi Vaslle. UMBERTOBENEDETTO " Maria Maddalena.. di Hebbel GUIDOARISTARCO Della dottrina estetica. GIANFRANCESCLOUZI Tempo ideale cinematograficoe teatrale RENATOMAY Il dnema e la filosofia. GLAUCOVIAZZI Poetltae critica. MAURIZIOBERENDSON La " Morte civile .,. LANFRANCfROIGERI La donna sullo schermo. GUIDOGUERRASIO MarioCamerini. ANTONIOGHIRELLI Appunti sui Teatrl-guf. E. C. Cronachedel Cine-teatri-guf. Disegni di DE PISIS• Bozzetti di costumi di VERONESI J,. cop•rtina: lcenografia di SEVERINIABBONAMENTO ANNUO L. 32 UNA COPIA L. 3,50 M E N SI L E' E O I T O O A L G. U. F. O I F O R L]

°'\V J[ .Al <O O N ANNO lV • N. 2 • GENN!J.IO 1943 • XX.I P.M. 207 . dicembre L'ESIGENZA del teatro nelle abitudini di vita delle nostre masse - le grandi masse operaie dei lubbioni d'opera e quelle delle ultime gallerie di prosa, come le celte delle due borghesie, la ,·ecchia e la nuova nata dalle due ultime guerre - è presente, radicale, profonda. Ogni epoca e ogni civiltà hanno un loro modo cli intendere lo spettacolo, di servirsi dello spettacolo, di fare lo speUtacolo. Perchè lo spettacolo deve servi re cl i natura sua al divertimento e alla presentazione cli quegli argomenti che accentrano l'attenzione morale e il gusto di un'epoca. Diremo anzi che, anche per divertire, lo spettaçolo deve trarre alimento dal gruzzoletto d'in.teressi di ciascuna epoca. Non siamo passati dalle giostre dei cavalieri alle competizioni degli assi del volante, parallelamente al passaggio dall'era del cavallo a quella ciel motore? Si sposta il riflettore dell'interesse umano dall'uno all'altro campo di attività, si passa digrado in grado di sensibilità; la sensibi'J.i,tà stessa si amplia in dimensioni di comprensione o si accentua in profondità d'indagine. È quindi naturale che il manovratore delle luci spettacolari, dalla cabina di « ciò che il pubblico vuole », sposti il faro luminoso su nuove tendenze o mode. C'è stata l'ora delle rappresentazioni civico-religiose all'aperto, l'ora ciel circo e dell'arena, l'ora del rito medievale, il teatro ciel rinascimento; nell'ottocento c'è stato il trionfo del melodramma e, nella prosa, del teatro chiuso (che molto dell'aggettivo « borghese » non possa venire spiegato da quest'altro: « chiuso? »). Adesso abbiaJJ110il cinematog,rafo, lo s1ia<lioe lru grande manifestazione politica. Ognuno cli questi ultimi «modi,. di intendere lo spettacolo co\pisce un lato dell'odierna sensibilità: il ci,nema rappresenta tecnicamente l'ampliaFondazioneRuffilli- Forlì mento all'infinito materiale e all'infinito geografico, dei nostri interessi cona·eti, per cui anche iJ più pantofolaio degli uomini sa oggigiorno correre il mondo ed è in grado di informarsi d'ogni più minuto procedimento di tecnica. Da un punto cli vista estetico può forse rappresentare il più grande tentativo che sia stato compiuto per una puntualizzazione, per una fissazione categorica della· sensazione, per riuscire cioè ad esprimere con precisione e potenza suggestiva senza confronti - e senza le possibilità clcviative delle interpretazioni individuali - la cadenza, la potenza, il pensiero e l'ispirazione di un o-eatore. ComLU1que il lato della pienezza tecn·ica e della capacità cli trasportare sulla scena il mondo far• male restano sempre gli argomenti principali per caratterizzare la " modernità » ciel cinema e la sua personale novità fra le forme storiche dello spettacolo. A.Uo stadio rimane, nei mitigati costumi di oggi, la funzione di sfogo della belluinità collettiva; e vediamo come la guerra tolga prepotenza e attualità al tifo sportivo. La manifestazione politica rinata consacra un regime di popolo, lega in espressioni comuni, attraverso un rituale, il sentimento individuale, disciplina la par• tecipazione ciel popolo alla determinazione della vita e della legge del suo Stato. Il teatro sembra invece restare fuori dal panorama spettacolare più esplicito del nostro tempo, affiochito, così come altre esigenze, come altre forme dell'umana civiltà ci sono sembrate affievolite negli ultimi tempi. Non abbiamo detto altrettanto - e non lo diciamo? - per i nobili studi contemplativi, non lo diciamo per l'esigenza moraJ_e e religiosa? Eppure, osservate un fatto (a pane il facile argomento che la gente ha ripreso ad andare a teatro, argomento che non significherebbe niente se non un ap-

punto di cronaca, qualora non fosse avvalorato da un preciso riflesso morale e se non possedesse una sua motivazione ideale). Osservate che da:ll'America - i,J paae che non ci darà la civiltà dei nuovi tempi, ma che, per essere vel'gine di ogni altra elaborazione ~pi![ùuale, ha potuto a!rrivare per primo a, precisare .certi,aspetti esteriori e anche non esteriori della nuova epoca, e lo ha fatto dàndo a· tunto una evidenza .grottesca, perchè non mediata e non frenata da preesistenti appoggi ideologici e tradizionali - da,ll'America dunque, dal paese cinematografico per ecce1lenza, dal paese delle pazzie s,portive e di un esibizionismo politico che ha del ridicolo ma che non fa ,che riconfermare paradossalmente l'assunto nostro che il popolo tende a trovare un suo rito esteriore di ,partecipazione aliJavita dello Stato; da·ll'America dei film colossali e dei romanzi-fiume ci viene la novità già diffusa di trasposizione dei soggetti di romanzi o <.hfilm al tea,nro. Ridotto il film, o romanzo, a traccia, pare che una nuova idea di teatro de1l'ane si sia impossessata di comoci e impresarj, per ridare vita sul padcoscenico a quelle situazioni e a quei personaggi che già interessarono il pubblico nel film e nel romanzo. Da noi 11'ottimoBrag,agbia, fedele aHa sua consegna di smaliziatore del teatro nostrano, ha mostrato concretamente che cosa significhi e che cosa esteticamenre valga J,a, tendenza di trasposizione dei generi spettacolari e come, in sostanza, se l'esper,imento deve conuenere un suggerimento, questo non può essere altro che quello che già sapevamo: essere ben poco probabile che una cosa, e,pressa in un modo,possa essere uguale •a i;e stessa detta in un a/1,nro. Ma non questo ci interessa ora. Ci interessa la constatazione -della corsa al teatro. Perchè già i soggetti del teatro e della narrativa avevano fatto ricorso aUa mediazione cinematografica per abbordare .un pubblico con cui avevano meno confidenza,. Ma qui, la tendenza del fratello più fortunato ad uscire qualche volta di casa cdl robbone del· nobille decaduto, atlo stesso modo che attori giunti alla celebrità degli schermi peregrinano alle ribalte per sentirsi confermati in grazia, questa tendenza rappresenta la constatazione di una superiore validità umana dello spettacolo teatrale che accosta allo spettatore il personaggio, che arricchisce di evidenza la situazione. C'è, nel teatro, un fascino che fo anima, che lo .mantiene in vita al di là delle mode. Nel teatro, inteso come diretta partecipazione, umana partecipazione, di folla, attori e creatore che insieme fanno lo spettacolo. È quel fa5cino, è quel calore di vena UIIIlana che ci ii:nducono a pensare che sia il teatro, nei suoi costituzionali elementi, l'optimum spettacolare, ,la forma di spettacolo che 'più possiede misura umana e che quindi più ha d'essenza spettacolare. Una forma perciò inderogabile e in nessuna epoca sostituibile. ••• In questo teatro, pochi anni fa, eravamo pochi a crederci. Anni di vita dura pare che abbiano aumenFondazione?Ruffilli- Forlì tato la fiducia nel teal:iroe, negli spiriti, l'istinto del teatro. Così è cresciuto l'interesse per esso e per le sue cose, nonostante le difficoltà che deprimono attualmente il suo lavoro (orari limitati, incertezza di repertorio nella inesistenza di una produzione o di un gusto bene orientati, un certo tono di senilità di tutto l'organismo alla cerca delle sue nuove forme organizzative; circostanze tutte che già l'anno scorso sentimmo di dovere denunciare, ma per le quali quest'anno, speriamo di potere ancora riservarci il giudizio). Ora che sono cresciuti quelli che credono in questo teau·o, occorre che ci diciamo delle parole chiare. Abla base del turbamen,to interiore nel quale si vivono questi tempi, c'è uno squilibrio morale. La nostra civiltà è a due strati. Lo strato delle affermazioni e del- .la purezza; lo strato dei corollari e dei cono·eti atteggiamenti. Le formula,zioni politiche e sociali volitive e ottimistiche pare che non siano completamente seguite dal movimento interiore degli ~piriti, pare che questo non tenga il passo. Pare che ,la vita di quest'epoca sia stata scissa. Mentre le intelligenze e le ispirazioni restano legate a vecchi fantasmi, o peggio non sanno riprendersi dopo una dissoluzione dovuta ad intime involuzioni, '1a legge della mecca,ni;:a sociale ha imposto invece deHe risolmioni definitive e vitali ahle arti della politica e m,lla morale. Per quanto pOS6a essere sciocco pretendere daH'impegno e dalla volontà ciò che l'ispirazione non dà, noi continuia,mo a ripetere il monito alle intelligenze e, se per qualcuno potrà servire, ripetiamo che una cosa sola è necessaria alla umanità dell'uomo d'arte: avere la coscienza di svolgere un magistero. La coscienza di scegliere, fra le tante parole che possono uscire dalla sua bocca d'oro, quelle che hanno virtù di guidare. Abbiamo avuto, nelle varie formulazioni di correnti ultime, un teatro di idee - palestra di ~ntelligenze slegate da una ca<lenza concreta e naturale - e un teatro di poesia - che quando non è sostanzioso ed autentico si può ridurre ad una dissoluzione di motivi concreti in un vago ambiente lirico. Oggi, se il teatro vuole tornare ad essere il vecchio maestro, cui lo Stato stesso si rivolge confidente - e solo a questo titolo si volge ad esso e non per opprimerlo e per dettargli strade non sue, ma ,con fiduciosa laTghezza di mezzi e comprensione di diTettive -, sappia che si ha bisogno di un teatro di fede. Occorre cioè alla nostra epoca un magistero di cose concrete e belle nellt quali disperatamente fondarsi e meravigliosamente credere. Di tale teatro, negli ultimi tempi e nella produzione dei più giovani, c'è stato un felice annuncio. Ci proponiamo di motivare nel prossimo numero, le ragioni della nostra fiducia. ARMANDO RAVAGLlOLI

• lJltJa-- --O- llllHLlUL mm1a di ADOLFO APPIA L' ARTE dran11na\jca è in piena evolu zione. Ma una evoluzione di tal genere assomiglia molto all'anarchia. Pili che mai oggi, sentiamo il bisogno di trovare un piano di comune accordo ri• guardo al teatro e di cercare, del pari, un principio che sappia farci uscire dal di· sordine e da11'incoerenza, per guidarci verso uno stile, desiderato con tutte le nostre forte, anche se non espresso ancora con suf. fidente chiarezza. Aggiungiamo a questi dei progetti di costumi nei quali è impossibile esprimere con l'immobilità del disegno e la qualità della s101Ta e i suoi effetti durante il movimento degli attori ed avremo tutto ciò che il teatro è in grado di fornire alle sale di esposizione. Non ci mancherebbero, a titolo di do. cumento, che lihri e partiture, fotografie e ri tra 11 i e per essere completi gli istru• menti che compongono l'orchestra moder• na. È proprio questo ciò che cerchiamo nel Teatro? Ciò che chiediamo? L'arte drammatica non è dunque altro che la sovrapposi,ione di llltli questi elementi inani• mati? ~le11iamo le cose al loro posto e suppo• niamo invece dei • personaggi • , ,·ere» e proponionate alla t_11ra. Sarà questo, Teatro? tra scene loro sta• È il movimento che mette in marcia (il termine appare esalto, in questo caso) l'arte drammatica, nelJo stesso modo che la prima misura battuta dal direttore d'or• chestra trascina con sè tutta una sinfonia che i singoli istrumenti, contenevano sollanto come germe. In questo senso 1t mostre• di teatro rispondono ad un nostro legittimo voto e non possiamo che applaudire con entusiasmo agli sforzi fatti da chi le ha organiz• zate. Luigi Veronesi : Per « il lle pastore• di Louis Cortese ~fa, come premessa, una domanda s'im• pone decisamente: il teatro può essere •esposto•· E in questo caso, quali elementi ci potrà offrire per una dimostozione integrale? Poichè è proprio questo che cerchiamo. L'arte drammatica deve, per prima cosa, possedere un edificio che le sia consacrato. L'architettura non si •espone• disgra· ziatamente. L'arte del volume, del peso non si esprime con un bozzetto o un disegno che si rivolgono soltanto ai com• petenti o alle persone del mestiere, Ognuno di noi infatti, si sarà accorro lasciando una sala di quadri, per esempio, per entrare in una sala d'architettura che se la pittura era stata precisamente esposta ne11'una, l'architettura non poteva esserlo, alla stessa stregua, nell'altra e che si passava cosi, da una realtà tangibile ed acquisita (la pi1tura) ad una astrazione convenzionale, lineare e senza espressione. Se, dunque, l'architettura non ha ~1• gnificato che messa a servizio dell'essere uman_o, sarà palese la sua inesistenza in una mostra ove apparirà soltanto in sca• la ridotta. Le sale delle. nostre mostre destinate all'architettura non avranno quindi che uno scopo strettamente pratico, senza per altro riuscire a convincere il semplice spet• tatore. I procedimenti tecnici, la diversa disposizione de1J'edificio, le istallazioni elet• triche e meccaniche, ugualmente presentate in una riduzione astratta, resteranno inaccessibili a tre quarti dei visitatori. Se passiamo ora, alle sale consacrate alla scenografia, lo spazio stesso ci conse• gnerà ancora a riduzioni: bozzetti più o meno colorati. Fondazione Ruffilli - Forlì

Ai nostri occhi - diciamo - l'essenza del Teatro è il movimento. Ora, può il movimento essere esposLo? Certamente! Ma occorre per questo molto. molto tempo ... L'arte drammatica - il teatro che vogliamo - comincia con il movimenlo: tutto ciò che lo precede altro non è che materiale, utile senza dubbio, molto interessante ma non indispensabile ed incapace. conseguentemente, di rappresentare un teatro. A vrctno dunque, da una parte l'edificio. gioso della scenografia al crescente lusso dell ·opera e del balletto: aderiva essa in- [aui, sufficientemente alle convenzioni del canto e d'una danza consegnata a fonnule sempre uguali, perchè lo spettatore acccuasse, senza accorgersene troppo, il • non senso » tecnico che. il tal modo si imponeva. Ma J"idea della • verosimiglianza• e del realismo nel teatro è venuto a rovesciare le nostre abitudini.. In primo tempo abbiamo caricato la piuura con le nozioni storiche, geografiche Luigi Veronesi • Personaggi del " Balletto meccanico,, Ja scena, i costumi - dall'altra degli esseri viventi e mobili: gli attori, • condietio sine qua non • del Teatro. L'arte drammatica è sof>ratutto l'arte della vita e tale vita può essere espressa and1e sen.za edificio e senza decorazione, poichè spazio e tempo senza termini le bastano. Quale dunque, è la ragione che ci spinge ad esporre le nostre ricerche nel possesso d'una apparenza cosi arbitraria, del materiale decorativo? Un tempo la scena si riassumeva nella pittu1a su tele \'ertica1i, preparate e piazzate in una successione che formava prospettiva. La preoccupazione del regista si limitava a fissare i gruppi e le evoluzioni degli attori in questa pittura verticale, tenendo conto della contraddizione che esiste tra tela a due dimensioni ed attori che ne hanno tre. Bisogna attribuire lo sviluppo prodiFondazionJ Ruffilli - Forlì e sociali che un teatro più che mai stretto alla verità, inevitabilmente comportava, Ma poi l'azione stessa è divenuta • realistica • e non potendo la pittura corrispondere al gioco degli attori, la questione delle due o tre dimensioni si è imposta subito, imperiosa. Da una parte il regista teneva ancora in conto per una lunga abitudine la pittura, ma dall'altra chiedeva, per necessità, una plasticità (praticabile) che la pittura gli rifiutava. 11 risUltato fu, soltanto una enorme diminuzione dei « luoghi • scelti dall'aulore al fine di far svolgere l'azione, in que• sto modo, in un quadro che fosse facile a realizzare. Stavamo a questo punto quando la danza - sollo l'impulso dello sport, senza dubbio - si è a poco a poco emancipata. li corpo vivo e mobile s'è affermato e, cosa di primaria importanza • al di fuori » della verosimiglianza psicologica d'una atione drammatica cletenninata. "t: divenuta mezzo d'espressione • a parte•· Da questo istante la • pittura • delle scene diviene postuma. La sua morte è lenta ma irrevocabile e la verità estetica, rappresentata dal corpo vivo ha trionfato definitivamente. Attualmente per coloro che s'occupano seriamente del Teatro è l'attore ed il suo gioco, il danzatore e la sua plasticità ritmica e mobile che comandano al materiale decorativo e persino alla disposizione della sala e dell'edificio consacralo al Teatro. Siamo finalmente liberi. Resta da testimoniare la nostra libertà con • prove • e forse per questo abbiamo « mostre di Teatro •. Con tali dimostrazioni vogliamo affer• mare la supremazia del corpo vivente dell"attore, sulla scena inanimata, dell'arte viva sulla natura morta. Resta da sapere se i mezzi che adoperiamo sono sufficientemente « dimostrativi•. Pensiamo, per prima. cosa, ai visitatori. In mezzo a loro si troveranno e spettatori e gente del mestiere, e la nostra dimosU·azione deve essere u1nto approfondita da interessare chi se ne intende e tanto brillante da convincere il curioso. Vediamo se sono possibili le due cose. • Ammmesso che il movimento sia egli stesso indipendente da ogni ambientazione è tuttavia desiderabile offrirgli uno spa· zio accidentato che ne valorizzi gli episodi e le sfumature. Sarebbe a dire: opporgli degli ostacoli. A questo scopo l'autore e per lui l'attore devono contare su una assoluta flessibilità del materiale scenico inanimato. Eccoci, cosi, in una posizione di rap• porti affatto differente di quelli che la pittura abusivamente ci imponeva. Poichè il movimento emana da un corpo a tre dimensioni, ci sembra chiaro che se voglia• mo servirlo, una tale richiesta dovrà implicare il rigetto definitivo della pittura su tela \'Crticale, o per lo meno ridurla a poco. Se lo spazio così concepito dipende esclusivamente dalle evoluzioni dell'attore è a lui soltanto che saranno destinati i nostri progetti. L'attore d'altra parte non può nulla precisare senza l'autore drammatico. La gerarchia normale sarà dunque: autore, attore, spazio. Ma, stiamo attenti, una siffatta gerarchia è organica. L'autore non può rivol• gersi allo spazio senza passare prima at• tra\'erso l'auore. È proprio l'avere trascurata questa ve• rità tecnica fondamentale che ci ha get• tati nell'anarchia in materia di messa in scena. Tocchiamo dunque, a questo punto, iJ nodo della questione.

La maggior pane delle scene e dei bozzetti presentati nelle nostre esposizioni trattano di lavori già conosciuti e cercano di realizzare un quadro nato direttamente dalla fantasia dell'autore o aello scenografo senza essere passati gerarchicamente attraverso l'attore. :t evidente che in questo caso l'atlore viene tenuto in benevola considerazione. Cli v\ene lasciato un posto, tenendo approssimativamente conto del gioco che, si suppone, compirà e si rendono persino plastici e praticabili i mezzi che devono entrare in contallo positivo con le sue tre dimensione viventi. Si cerca poi con procedimenti infantili di suwrare alla men peggio, questa • praticabilità • di incontri con una bella pittura verticale, tagliata a pezzi, su misura. Ma l'insieme del quadrp è sempre considerato come sufficiente a se stesso. L'attore vi è immesso per accondiscendenza, e appare incontestabilmente un guastafeste. Alla stessa conclusione si aJTiva con i disegni esposti nei quali le scene non sono rappresentate nella loro realtà, come cioè appaiono nell'imperfeuo accordo delle due o tre dimensioni ma piuttosto come sarebbero senza questo penoso dilemma. li disegno d'una scena deve sempre dare al visitatore l'impressione esatta de11a sua realizzazione scenica, come cioè se apparisse montata, senza ipocrite attenuazioni (in particolare: il pavimento e la base delle tele). In caso contrario esso resta una menzogna e contribuisce sensibilmente a disorientare i giudizi degli spetratori. Risulta da questa nostra affermata gerarchia che una mostra di scenografie non sarà più quella d( un disegno o di bozzelli rappresentanti la pittura ma semplicemcn te una esposizione di progetti di spazio condizionati alla presenza viva e mobile dell'attore, a sua vo1ta sottomesso all'autore drammatico. Ora, poichè questi spazi non avranno significato - e perciò espressione - altro che per la presenza mobile dell'auore, i loro semplici disegni o bozzetti daranno la netta impressione dell'incompleto e faranno desiderare al visitatore )a presenza del corpo vivo che, esso solo, li ha motivati. Se pçrò, circoscriviamo gli elementi di una esposizione del teatro a questo scopo soltanto, essa non sarà evidentemente dimostrativa per il grande pubblicq e mancherà alla sua ragione d'essere, non indiriZ1.andosi altro che :1 quelJe persone del mestiere capaci di animare con la loro immaginazione queste scene deserte e Senza vita. Sarà necessario dunque, aggiungerle il suo complemento naturale il movimento. !,: chiaro allora che una mostra di tea· 110 per essere completa dovrà da un ]alo Fondazione Ruffilli - Forlì presentare gli spazi destinati al movimento, dall'altro il movimento che ha ispirato e determinato questo spazio. L'uno senza l'altro resta frammento. ~la lo spazio ed il movimento non sono ancora Teatro. E' dal loro contro - diciamo - dalla loro fusione che scaturisce la scinti Ila pronta ad accendere la vita della scena cd a propagarne il fuoco. Esso solo è capace di trascinare la folla. Avremo così due esposizioni in una. Da una parte le sale destinate all'architettura, alfe istallazioni tecniche, alle scene, ai bozzelli e costumi, dall'altra gli ambienti approntali per la composizione mutevo1e dello spazio a tre dimensioni e per l'azione del corpo umano. Le prime sarebbero permanenti, ie alt~e accessihili durante le ore:: delle dimostrazioni viventi e delle rapprese7tazioni assolte da attori, cantanti, danzatori. fermiamoci a queste sale. Esse costituiranno la giustificazione e Ja spiegazione dei sacrifici, così evidenti, ai quali andremo incontro nelle sale dei disegni e dei bozzelli. 11 visitatore rimarrà sorpreso davanti all'esposizione degli spazi inanimati, sentirà il salutare bisogno di un complemento e questo senso di vuoto sanì. per lui l'inizfo della saggezza. Soltanto allora l'animazione dello spazio morto e la funzione dei due elementi in una sintesi vivente si consumerà sollo i ~uoi occhi, gli chiariril il dubbio, e lo libererà, in tal modo, da un lungo pregiu~ dizio. Probabilmente da solo, senza aiuto, non avrebbe potuto pensare possibile questa unione. Prima cl"ogni altra cosa gli occorreva la testimonianza dei propri occhi. Siamo noi del mestiere, obbligati a dargliene il mezzo. Luigi Veronesi Il «Coro> per il • Re pastore» di Louis Cortese I

Nel mio Jibro - L'oeuure d'art ui• vant - ho studiato la conformazione che la spazio deve prendere per assodarsi alle forme ed al movimento dell'essere vivo. Ho concluso che lo spazio non partecipa alla vita del corpo se ne copia le forme, ma al contrario, opponendogli resistenza. Per ottene1·e questo risultato la com• posizione dello spazio non disporrà che di un piccolo numero di linee. Queste saranno: l'orizzontale, la verti• cale, l'obliqua (piano inclinato) e 1u11e le loro combinazioni quali, ad esempio, la scala che offre al corpo una specie di complicità non uguagliata da nessun altro incontro. Una tale complicità permette al materiale d'essere oltremodo maneggevole. Saranno praticabili di varie dimensioni accuratamente misurati onde combinarsi ed incastrarsi tra loro e costruire cosi scale, terrazze, piani inclinati, sostenuti se occorre da pilastri, del pari ad angoli retti, tendaggi perpendicolari, paraventi ecc., uu gioco di forme rettilinee, insomma, per opporsi ai contorni arrotondati dal corpo, alle parabole dei movimenti. Tali costruzioni potranno modificarsi con l'aiuto d'una mano d'opera intelligente e bene addestrata. Aggiungiamo che la dimo straziane sarli tanto più conclusiva quanto più il colore cd il costume saranno uniformi. per lasciare la parola solamente allo spazio ed al movimento, non distogliendo l'aucnzione con elementi, dopo tutto, se condari. · J pralicabili saranno di colore neutro, i costumi elementari. Una maglia, per esem4 pio, nera sul corpo nudo, che lasci il collo, le braccia, le gambe, i piedi scoperti e liberi (è questo il costume di studio per la Ri"tmica Dalcroze) oppure, nelle stesse condizioni, una corta tunica. In questi spettacoli dimostrativi la luce cadril esclusivamente dall'alto, allo scopo _di far risaltare nettamente le forme del c.:orpo in moto e la costruzione plastica della scena. Dunque mai ribalte. I cambiamenti si faranno sotto gli OC· chi" degli spcuatori, senza sipario perchè in questo caso, non vogliamo nascondere ma dimostrare. La disposizione che abbiamo accennata è quella dell'Istituto di Jacques Dalcroze. L'ultimo giorno di esposi,ione si potrà tentare qualche rappresentazione positiva, tenendo sempre presente la obbligatoria semplicità. Oppure qualche opera di Teatro che, per l'allestimento, non sia in contraddizione troppo aperta con il prin• cipio menzionato. Saranno, queste sale di sintesi, un fe. condo terreno d'esperienze poichè l'arte di allestire una scena resterà sempre empi• rica, esse diventeranno anche la pietra di paragone, per l'arte drammatica e gli autori vi troveranno utili insegnamenti. La esposizione del Teatro sarà divenuta un organismo vivente! Fondazione6 Ruffilli - Forlì Lo spazio manca per sviluppare un tale soggeuo, ma mi sia permesso, prima d1 finire, menzionare alcuni dati indispensabili che ci paiono decisivi, per una rifor• ma dell'arte drammatica. Per entrare nel dominio dell'arte i no stri movimenti debbono modificare successivamente la loro durata. D'altra parte, una tale trasposizione non saprebbe moo Luigi Veronesi. l\1arionetta del « Lettore• per la • Storia del soldato • di Strawiusky ti\·arsi arbitrariamenLe . .Essa deve emanare da un principio del quale sia possibile ac• <.ettare libcramenle la tutela. Per ora non ne possediamo che uno, idoneo a questo scopo: la musica, indubi• tabile espressione della nostra anima e per• ciò nata dalla più segreta volontà. È dunque, indispensabile trasfondere gli elementi chi? la compongono nel nostro organismo mediante il ritmo. Jacques Dalcroze, si sa, ha scoperto il procedimento. La sua Ritmica corporale procede dall'interno all'esterno, senza cer• c~re la sua ispirazione al di fuori di se stessa. La bellezza <lei suoi esercizi altro non · è che un risultato naturale cosicchè essa ha potuto, da sola,· instaurare un equili• brio statico nel nostro essere integrale. Souo la sua disciplina il nostro corpo diviene un meraviglioso istrumento con risorse infinite. Al suo contatto lo spazio si anima e partecipa alle viventi proporLioni del movimento: la fusione rappre• scntativa è cosi consumata. ~li si chiederà quali rapporti possono esistere tra questo fenomeno ed i nostri teatri moderni. Ma è proprio discutendo sui proulemi della scenografia, dell'allestimento scenico che riusciremo a definire, nei suoi giusti termini, il problema dell'arte drammatica, poichè è chiaro che l'una e l'altra ,0110 perfettamente solidali. Uno degli errori attuali è quello di volere cambiare il teatro senza nulla cambiare alla scena, e per lo stesso ragionamento, applicare nuo\li principi a dei lavori che non li comportano affatto. Del resto, l'emancipazione del corpo ci ha liberati dal punto di vista rappresentativo ma non è ancora riuscita ad ;ul• dentrarsi in quello che concerne !"arte drammatica in se stessa. Noi stiamo vacillando sotto il peso del passato senza osare ad abbandonarlo com· pletamente, turbati dalle nuo\'e possibi• Iità che hanno precorso il drammaturgo. Per esempio il valore espressivo della ~cala è st.:·ùo riconosciuto e certi registi met• tono scale dappertutto, senza il minimo discernimento. Si è fauo svolgere, persino, un'orgia romana tutta su una scala: terreno mal scelto per la voluttà! Il periodo che stiamo auraversando è di transizione e per poterlo dominare com• pletameme bisogna valutarlo con esaua coscienza. Sappiamo, per ora, che i movimenti, le forme, le linee, la luce e i colori sono a nostra dis_posizione. I dogmi dell'antica sce• nografia sono capo\•olti, ma non abbiamo ancora realizzato qualche cosa che possa :wcre la stessa influenza delle premesse del passato, sulla concezione dell'arte dramrnaLica. Le forme suggerite sono sempre le stesse. Sempre il quadro fatidico delle nostre scene vuole dominare la nostra immagina• Lione che spazia tanto lontano da farci sembrare prh·o di senso uno spettacolo senza spett:Hori, come se la vita arusuca del corpo \livente dovesse per necessità esiliarsi. La convenzione troppo arbitraria delle nostre sale, delle nostre scene, le una di [rontc alle altre s'impone senza scampo. Eppure, se vogliamo riflettere, tutto nello sviluppo della vita moderna tende verso una trasformazione del Teatro, dell'• idea • stessa che ce ne siamo fatta e la cinema· tografia esercita in questo senso, una sua influenza salutare. Così abbiamo torto di adibire gli stessi edifici nello stesso tempo e a·d un teatro corrente e :tlle nuove ricerche. li loro rigido quadro opera per suggestione. un ritardo sensibile ai risultati dei nostri sforzi \'Crso la libertà. Abbandoniamo dunque questi teatri al loro passato che sta morendo e costruiamo edlfici elementari destinati sempliceme1nc a coprire lo spazio ove dovremo la• ,•ora re. ~on scene, non anfiteatri; solo una sala nuda e vuota che aspetti... Dovunque la

Luigi Veronesi • Marionetta del• Diavolo• per la •Storia deJ soltJato• di Strawinsky possibiliLà cli porre praLicabili, una completa istalJazione di luce. Ecco ciò che occorre pCY la parte inanimata. DaJl'altra parte: attori, canlanti, danzatori, autori, musicisti ed artisti, tutti di buona \'0l011tà, che offrano il proprio talento all'opera nuova, senza per questo pregiudicare i loro doveri professionali e che si riuniscano secondo il bisogno per dirigere. suggerire o eseguii-e, secondo le proprie facoltà. Quando ci si sentirà abUastanza forti per una dimostrazione convincente, sarà fa. cile stabilire dei gradini di fortuna per un pubblico desideroso di imparare. Sarà nalUrale che qudto pubblico si trovi portato a collaborare con i suoi consigli ed i suoi aiuù. Poco a poco arriveremo a concepire con lui, senza dulJbio - dei nuovi spettacoli che sapranno meuere più o meno in evidenza momentaneamente l'importanza o la portata di un mezzo d'espressione in favore di un altro. Diverrà questo terreno d'esperienza il vivaio di un'arte drammatica che nessuna convenzione ingiustificata riuscirà a ritardare nel suo sviluppo. E si possono tranquillamente prevedere degli speuacoli nei quali il pubblico prenderà la sua parte, musica, parola, azione eh ·essa sia. L'arte allora vivrà in mezzo a noi! t questa arte che tulle le nostre esposizioni devono preparare. È a lei che tut• ti i nostri sforti devono tendere, in qualsiasi campo ~si si svolgano. Sapremo un giorno che l'arte nella..,sua espressione più nobile è un gesto di obbeFondazione Ruffilli - Forlì dienza reciproca che sorpassa di molto le nostre. aspirazioni personali. L'influenza di una istituzione quale abbiamo dcscriuo non può essere misurata. Sapnì forse stendersi su tutta la nostra cultura lJcr regolarla e vivificarla. Il piuore, lo scultore, il poeta non cercheranno, nelle loro opere, di esprimere ciò che 1';1ne vivente sola può realizzare, e gli autori e gli anisti si guarderanno ,Ìall"improntare alle belle ani, alla lette• r:uura quei motivi che il movimento contraddirebbe. 11 gusto del pubblico sarà purificato e affsned le sue capacità di giudizio, rendendolo ada110 a collaborare, sempre più efficacemente alla grande opera. Questo C. 1111 sogno per l'avvenire. Ma nulla impedisce che un giorno esso diventi reall:ì se noi incominceremo oggi a prcp,nare la sua nascita. Sono le esposizioni del Teatro che prendono il carauerc d'avanguardia e sono indubbiamente gli scenografi a soffrire me110 degli autori, per il peso di morte tradi- :,ioni. di una abillldine inveterata. In effetto noi l'abbiamo detto: la conre::.ione ciel teatro de\le affrancarsi. I nosrri drammaturghi non realizzano ancora i loro sogni di libertà e continuano a tenere in soggezione il teatro oppùre a sottomettersi passivamente? Come farne una colpa? È. a no~ scenografi che incombe il compiro di trascinarli. Nascono tutti i nostri progetti souo un solo segno di felice emancipazione. Trad. G. STREHLER Luigi Veronesi - .Marionetta del •Soldato» per la ,Storia del soldato• di Strawiosky L"OPERA TEATRALE nasce al di fuori della necessità scenografica e questa, i.:0111unque, ha sempre valore didascalico. Se ropern è Jetta in privato, a quaur'occhi con noi srcssi, tale validità sussiste cg11:ilmc11tc, nè, per tale cornpromesso, vien diminuita pcrchè ciò che è l'ambiente, l'elemento di precisazione, siamo noi a crearlo, ranto meglio quanto più siamo dotati d "imn,aginazione ricostruttrice e inventiva. D'altro canto, per chi, di tale immagin;llione, è povero, non sarà certo la fatiéa dello scenografo o del regista (ed a que• st·ullimo vorremmo lasciare soprattutto il compito di dircuore di recitazione) che lo porterà su piani di rnaggiore comprensione; chè, anzi, da questa fatturazione convc11zio11alizzata, il p0\'ero limitato speuatorello riceverà un'impressione ristretta alle concezioni più o meno vaste cli chi all"apparato scenico avrà provveduto. E, del resto, qualora tale capacità ricreativa sia potente in chi, lo spettacolo subisce (lo spcttarore subisce sempre mentre, in realtà, dovrebbe partecipare), ancorch.è i con1orni e i complementi delle paroJe siano i pilt perfeui e i pili riusciti, nulla sarà aggiunto a ciò che il nostro immaginose, spettatore si sarà da solo ricreato. \'IVA LA FACCIA elci comici da quauro soldi, dei guitti autentici. Con un fondale e una spanna di stoffa, con un po' di carta stagnola e un 1-1czzodi legno creano, in una stalla male illuminata, e fanno vivere imperatori e regine, eroi e poeti, foreste incantate e campi di bauaglia. Teatro è suggestione. Teatro è convenlione. Tearro è magìa di effeui con un minimo di mezzi. A TEATRO ,·ogliamo che i nostri occhi si dilatino, che il nostro cuore acceleri i 'Suoi battiti, che la nostra fantasia galoppi. Vogliamo insomma delle emozioni che agitino il nostro spirito e i nostri sensi. ~on vogliamo giudicare ma neppure ,·ogliamo subire: \'Ogliamo partecipare. ParLcciparc chè altrimenti a cosa sarà ser• vita !"opera dell'autore, la fatica degli spet1acolisti? Cc ne torneremmo a casa nudi e fred· dolosi, mentre dal reatro vogliamo abito e calore. i\la chi potrà darci questo se non la poesia? Ma poesia non di \lersi o di rima bensì di ritmi, di armonie, di accenti; poesia di danza e di musica, poesia di colori, di luci, di intonazioni: teatro insomma. G. R. 7

PERLACONQUISTA DIUNACIVILTA U caro amico ci ha mandato, non molti giorni fa, una lunga lettera sul primo numero di questa nostra discussa rivista. Uua leLLera un po' amareggiata e quasi scoraggiata sul nostro operato e sulla nostra responsabilità di redaLLori strettamente interessati alle sorti di Spettacolo. Ci faceva presente, in questa lettera, la impressione di confuso e disparato che lo aveva colpito nella lellura della rivista e ci esortava ad una decisione scevra di compromessi. Ci esortava, in poche parole, a scegliere la strada uuica su cui tentare di indirizzare, accompaguare, sorreggere gli sforzi coscienti dei nuovi autori, dei poeti. Forse per non abusare di nomi e di citazioni, l' amico carissi 1110non ci ha scriLLo nettamente, citando due nomi non presi• in senso assoluto, ma semplicemente esemplificativi : o Joppolo o Fabbri. Con questo non vogliamo entrare ora in merito ad una polemica già tanto dibattuta sui giornali (d'altra parte pubblicheremo nel prossimo numero sopra questo argomento un chiaro articolo di Antonio GbireUi), ma vogliamo solamente sottolineare i contrastanti motivi interiori di quasi tutta la polemica teatrale di questi ultimi tempi, e vogliamo sottolineare con quale insistenza si venga puntando su un dualismo nocivo ad una unità di intenti necessaria al nostro Teatro. Perchè se questo dualismo dal punto di vista normale sussiste, esso cede però ad una critica che si intere_s~i s?prallutto dei motivi nman~ generatori di due pos1z1001 presuntemente contrastanlt. Ed è appunto su questo che noi intendiamo soffermarci, anche per chiarire quella che è la nostra posizione nel redigere, pagina per pagina, la rivista. In fondo alla nostra quotidiana ricerca esiste un substrato identico per tulli, un substrato che non può essere definito che con un aggettivo del quale si sta facendo abuso (abuso del resto sintomatico perchè rispecchiante con chiarezza una esigenza da tulli sofferta): un substrato ttmano. Su questa esigenza di umanità come sentimento del tempo si è trattenuto anche ultimamente (e questa citazione potrà forse far storcere il naso ad alcuni cari amici, ma, in ultima analisi, siamo convinti che anche essi, al di fuori di qualsiasi preventiva e forse <riustificata classificazione, potranno facilmente ricon~scere l'umile verità del nùstro pensiero). Giovanni Mosca: ed a lui, uomo della nostra epoca e non autore e critico teatrale, ci rivolgiamo. Mosca, assierne a tante cose che non possiamo dal nostro punto cli vista condividere, ne Ira detta una giusta (o almeno tale essa è per noi; del resto, ancbe per le altre potrebbe essere lui dalla parte della ragione e noi dalla parte del torto): ha detto di questo nostr~ comune desiderio di ritornare alla antica primordrale purezza dei primi attimi del mondo, di las~iare il far~ello g~avo o e pesante di tulle c1uelle piccole particelle d1 umanità (che non sono la 11mc1,nitd effettivamente, rua tante piccole scorie pesanti che ci impediscono l'ascesa) e di guardare nuovamente il mondo con gli occhi puri di tanti secoli e di rimanere stupiti della sua complessa architettura: architellura delle cose, architettura dei sentimenti per cui il 111011Fondazione ~uffilli - Forlì do è il mondo in cui viviamo, per cui noi siamo gli uomini pieni di questa nostra umanità. Ed è appunto nella ricerca, affannosa, urgente, di una esatta definizione che gli uomini del nostro tempo si agitano. Sçntono che qualcosa non va, che qualche ingranaggio cli questo nostro odierno modo cli vivere stride, che qualche costruzione, pur edificata nella speranza di una salvezza si sgretola: quasi che qual cosa, anche se costruito da noi, sia rimasto a noi sconosciuto e quindi inservibile per il nostro intento, pesante e gravoso per il nostro cammino. Come se questa civiltà d'oggi, così duramente conquistata, sia rimasta in parte ed inspiegabilmente a noi estranea: nella complessità della nostra vita troviamo una insurficienza. Non è facile dimostrare con esattezza di ter- 'mini che cosa sia questa insufficienza. 'e abbiamo però una senzazione precisa che ci dà pena, che ci spinge ad agire per rimediare ad essa. Si ripensa allora ad una umanità : ad una umanità da conquistare o ad una umanità da dimenticare. Si parla di umanità mentre si dovrebbe parlare di tante particolari umanità accessorie che non sono l' umanità e nemmeno complementi di essa; ma che sono piccoli espedienti per giustificare certe nostre azioni, certi nostri improvvisi arbitrii. Secondo noi tanto gli uni che gli altri tendono ad una meta unica. Sia che partano eia una concezione di conquista (conquista di una indiscutibile ed intransigente umanità determinante di una nuova e rispondente società e cli una civiltà) e di costruzione piuttosto che di ricostruzione, sia che parlano eia un generale scoramento di fronte ad una improvvisa rivelazione per cui si sono accorti che presenta la umanità da cui distogliersi non è in fondo la umanità, ma piuttosto gli accessori complementi non strettamente utili, tutti vogliono giungere ad alcunchè di non indifferente, ma di superiormente definibile oltre la percettibilità delle nostre comun·i e abituali sensazioni. Le pii) meschine ed abituali sensazioni per cui noi siamo ricchi delle particolari umanità, di quelle particolari umanità che universalmente sentiamo il bisogno di trascendere. Ed è in querta ansia di ognuno di noi che vediamo la nostra unità, la nostra ideale unità. Ed è in quest'ansia rispecchiata nel teatro in vari modi, anche in quelli più disparati e formalmente diversi, che vediamo - o forse ci illudiamo di vedere - una unità di intenti nel nostro teatro. In nome di questa civiltà servendola, documentandola anzi, noi stampiamo queste pagine. Dimentichi di qualsiasi polemica formalistica che ora non ci sembra opportuna oltre che inutile ed inconsistente. Sarà facile accusarci di eclettismo se affermiamo che cerchiamo di cogliere il buono ovunque, senza rigore di schede. Ma solo vogliamo ricordare che è in noi la esigenza del tempo cioè la volontà di costruire quelle basi necessarie per la nascita e lo sviluppo del I.'Arte : la volontà di portare in discussione tutti c1uei documenti validi per una clriari6cazione, necessari per la formazione e la contrastala conquista della coscienza di una civiltà artistica. IPAlTER RONCm

1Ritratto~i uomo alUDICO questo lttlO di Rossi - berlchè già. da lu.i dichiaratame11,te « supe. rato .. - degu.o di certa atteu:io11e crit.ica. Con. quest.o 11011 iute11do di turibo• larlo alla nwtla reciproca. degli imberbi nostri teatrwtti: Rossi è un giovo11e, e tlella sua età rivela, tutti i difeui dalla stesura a,,coro i11certa alle co,uies$ure drammatiche uou sempre incloviuate, anzi speuo oscure per defici~11te o infelice sviluppo della materia di ispira:.ione. Dalla .sua pagina trasparisce però una cosciente i,uui:ione stilistica, un. pensiero in. via di conclusioni soffèrte, non senza determinabile ed adereute modest.ia ; non ci permette insomma l' occliiata distratta, seppure benevoleute. Appartiene senza dubbio ai « misteriosi » del teatro. U11 testo come questo rive~a i,, pieno le sue tPudew:;e: l'ascolto inconfeuato dello stimolo int.ellettuale co• me risolutore di complesse situazioni umane, e l' abbandono rompiaciuto alle pouibilitd teoriche, quasi geometriche, di tali rivoluzio11i. Giuoco di dame, ebbero a chiam<,re proprio il presente lavoro ; giuoco di dame mascherate, potrei dire dfe• rendomi a questa opera di Rossi, dame incon.osci.bili e mute dietro 1u1-' immobile espressio11e geroglifica. Nè d' oltro11de le ·sue predile:ioui cerebrali souo ascrivibili soltanto all' impostazio,ie uaturale della· me,r.te, ma piuttosto risultano dalla dis~iplina minuziosa della propria tecnica in formazione - {11tta di richiami i,iteriori, di mecca,,ismi dialogici pazieutemente c.ongegnati - dallo sforzo influe di creare un remoto sapore e.Dèttuale ad og,ii bat• tuta. Di qu,i appunto, da questo dimenti• care il valore f unziouale del personaggio per condurlo lieveme11te attraverso l' arcipelago d'avorio della parola, nasce il pericolo del decadimento ,,ella banalità assoluta, e soprattutto qtiella dell' esilio oltre og,,i limite del teatro. Eppure la reali:zt1:ione di questo «Ritratto> dovrebbe secondo me offrire un grande interesse. Anzitutto interesse di regia - dato che la sua immanenza espreuiva richiede 1L11a estrema pu.,itualità critica, quindi una inesausta sollecita'Jione al processo dell' intellige,ua, che appunto nella sua continuità si caratteri::a come e: meua i,1, sceua » (si sarà notato come, fra gli as• .suuti dello spirito, quello registico menO di ogni altro permetta anche la minima pausa, il minimo riposo d~lla te,uione Fondazione Ruffilli - Forlì Un allo di FRANCO ROSSI * * * creativa): quin.di d' interpreta:.ioue per l' obbligo da parte dell' attore di costringere la personalità in un " com.porta• mento" quasi cinematografico, di cnrposità ora Jìsiche ora verbali, limitaudo la propria ovvent.ura ad uu sottile itiueral"io di JJO$i:ioui, di gesti e di toni : influe d, scenografi.a - per l' ombientazioue e9ui• voca, orizzonte ed insieme labiririto di sensazioni, e SOJ>ratiitto per il compito che le è affidato di porre in evidenza alcune significazioni del testo, per così dire, to• pologiche (la poltrona com.e centro ideale, il divano come e teatro • tiella vicenda : l' uuilateralità delle entrate, prima sem• pre da destra, poi sempre da sinistra, iu corttrasto con la fu,ga fi,Hile di tui perso• naggio, che supera questa, legge uscendo da uua plirte ed entra,uio tlall' altra). Ed in nome di questo interesse, di questo protendersi ad una r<tppresenta• :ione come a postularne le proprie giu.su. fica:ioui intime, che riconosco l' autore, in tale suo particolare momento. Testo er• metizza,ue, te<itro fino ad u,i certo punto; o per lo m.en.o " teatro enigmatico ,,. A1a anzitutto - ce l'inseg,,ava perfino Adriano Tilgher - troppo di frequente le vie dell' i,uellige,ua si i,idividuano " per speculum. in aenigmate " : e no,, è lecito pensare poi che qpesto teatro - sia pure nei suoi raggiungimenti. quindi posseduto e 11011 solamente tentato - sia una faccia di quell9 enigmati_co puledro che è la nostra arte contemporanea. UMBERTO BENEDE1'TO * Al mio amico G. T- in ricordo delle nostre conversazioni invernali. • Fole lo stesso, cari comj1agni, e comprendete adesso Aristotele. Egli osservtt bene che la domrn non si può bene adoperare nella tra· gedio. E' anche chiaro che essa ha il sno posto nell'i,,termezzo jJltletico e serio, non nel lavoro drttmmatico di cinque atti, ma nello scherzo drnmmatico di mezz'ora •. (SOrcn Kier~egaard • In Vino Verilas • ). la scena è un salotto. Questo - all'a/Jrirsi del sipario - appllrirà come un salotto di una villa sulla collina fiesolana: arredato con un gusto del disordine debitamente artistico. Avrà al/nra due porte-finestre che danno sul giardino, oltre le qtwli la luce dei colll se~uto /10rt'11li11ìsi andrà sj1eg11e11do ;,, una smorta sera invernale. A mellÌ tlel/'atlc il buio avrà quasi lam· bilo /'ava11sce11a. · Pausr negli angoli, pieni di · intimità J1erdute. Fra J;oco emergertorno dalla nebbia leggera dei ram.J1i gli alberi umidi e le voci lonltme dello valle. SCENA I. DAr,.;JEU...,,\ è accucriata su. di un ampio divmw, morbido di ctiscini: un etmino hianco e peloso le si.a accm1to, dividendola da ,rn giovane <folla e11orme chioma ricciuta che siede all'altro estremità del tlivano. Dava11li a loro uu tavolino cou tutto il J1a11orama di ,_rn thè consumato e abitualmente lauto. Sul fondo, volta verso la fìuestm, una grande j1ollrona con alta spalliera. D1A,\ELLA . (afJ/Jt'11a fuori esce da una ila• rità di cui 1u,rtecipa soddisfatto il giovane ricciuto). No, caro. E' meravigliosa. ljna storia bellissima. G1ovANE R1cc1uT0 . E c·è il seguitol Perchi': nawralmente la modella da qualche parte si doveva rivestire. nlA:"I .• \Jo, basta. Mi scandalizzo (J1aust1). .\ncora del thè? C1ov. R1cc. - Grc11ic (accetta un /10' goffo). Mentre Diane/In è afft,cceudattl a servirlo senza a/wrsi dal divano, entra Franco, <·011 1111 • Permesso?•. a mez.:w v:1ce. Si m11111za fJiano. C'è in ogni suo allo un 1011/auo ma selvaggio im.barnz:w. 1)1AN. - Oh! Sei 111. (si stringono la mano, mcnt,e ella si risdraia) Conosci Unga• relli? (1111ova strrlla di mano) Sei tre• mendamcntc in rirnrdo. FR. - Ci:',. (è urlalo dalla presenza. ,iell'al1.ro. Si siede dall'ttllra parte del tavolino do the) O1AN.. U11garelli mi ha raccontato ora una stori~1 bellissima. ta. U11garelli) Ma di dove siete voi precisamente? l!N(.. • .Sono nato a Giulianova, io. In provincia di Teramo. ~fa sto a Grosseto. DIAN. . Ci sono stata )'altr'anno a Grosseto. Abbiamo fatto una gita per la Tosc..'lna,. a tappe, per scovare tutti g1i attribuiti a Pietro Lorenzetti. Mi ricordo la gioia quando trovammo quella Madonna nel Duomo. li sagrestano ci guardava indignato. .Eravamo più di venti. c·cra anche Luzzi. il maestro Luzzi. Lo conoscerete di certo, è li all'Accademia. ll~r.. . Perbacco. t lui che ha fatto la fotografia al mio lavoro. (riprende la fotografia sul tavolino) E ora sostiene che è una statua maledetta perchè ci hattè la testa, una sera al buio, nel mio studio. O1AN.• Povero Paolino! Era qui una set• timana ra. UNC. - Ah, ma allora era di lui che parlavate dianzi con quei ragazzi della Brera! DJA:"1. Quando? scornmessa? .Era Ah, no. Quello della Paolo Pini, uno del 9

grnppo leuerario di Roma. (a Franco) A proposito. Dovresti rendermi quel libro suo. Lo vuole Ina. FR. - Potevi dirmelo ogg-i al telefono. DIAN. - Bravo. l\1e ne sono ricordata ora. UNc . (alzandosi) Caspita, sono le sei. .. DIAN. - Per carità! Non. vorrete andarvene. (l'altro accenna di si) Ma via! r;: prestissimo. (saluti, fra le sue proteste. • Allora 111,i telefonate quando volete •. • Volevo salutare la signora•. « e su, la saluto io •, ecc.). SCENA Il. (Pausa: i due giovani si guardano al di là delle candide tazzine). FR. - Ma chi è? Du~. - lJngarelli? Uno scultore, credo. Un amico di mamma. • FR. - Come • credo • . Mi sembra che tu lo conosca bene. DlAN. - lo? .t la prima volta che lo vedo, oggi. FR. - Allora ti i1ùeressa molto. Hai disperatamente insistito perchè rimanesse. U11'altra preghiera, e ci faceva l'ora di tena. Du~. - Pcrchè? t. divertente. Bencht'.! sia molto paesano. FR. - ~fe ne sono accorto. R1i\~ .• Ma è un poveretto, sai. Tira avanLi a SlCll LO, proprio. FR. - Mi pareva impossibile. Qui sono preferili gli arlisti po~'eri. Cosi questo Lhè diventa mecenatismo. D1Ar-:. - Guarda. Che maniera e.legante di ricordarmi che non ti ho chiesto se ne vuoi anche tu. FR.. Grazie. '.'1'o. (smontato) - Attimi di silenzio - D1AN. - Allora? FR.. Raccontami tu qualcosa. Quante diecine di ammiratori e di geni sono venuti 'quassù in questi due giorni? DIAN. - Pcrchè sei venuto così in ritardo? FR. - Sono venuto a piedi. E poi mi son rermato spesso. (Distrattamente maligna, come fingendo 1111a gelosia in. realtà inesistente). DIAN. - Sono belle le ragazze da queste pani. FR. - Semplicemente il tramonto stasera aveva delle suggestioni particolari. Certe svolte, coi cipressi e il muro della stradelta dannunziana ... Bisogna farla a piedi: si sente come una solennità che cresce. quasi fosse l'eco dei passi sulle pietre deserte. D1Ar-.:• Se venivi più presto lo vedevi di lit. (indica il giardino) Di là è pii, bello. FR. . Senza dubbio. (ironico) r;: formidabile il vostro potere di banalizzare tutto quello che vi si mette a Liro. Come la vergine del racconto americano, che inaridiva i fiori col suo alito avvelenato. DIAN •• Dio. Che ironia superiore. Non ti accorgi di quanto sei banale tu in que• gli atteggiamenti? (balle leggermerite la maun acranto ·a sè, sul divano) Vieni a sedere qua. (il tavolino da thè è d'impiccio) Aspetta. Elvira! (compare la cameriera) Porta via. per favore. (sul tavolino c'è una .,-ivista) No, la rivista dammela. (l'Ila in mano. A Efrem) Guarda cosa vuol dire esser celebri. (l'apre e gliela dà) FR. - Cos'è? DIAN. - Oh. Un vecchio numero dell'• lilustrazione dell'artista italiano•. Roba di due anni fa. FR. . (leggendo) « La gio,,anissima e promellente pittrice DianelJa... eh n. Però sci buffissima in questa fotografia. Fondazioné'-'Ruffilii - Forlì DuN. - Vero? Due aoni fa avevo ancora la zaz1cra e i capelli lisci. FR. (la guarda, gunrda la fotografia) Avevi la zazzera, e i capelli lisci... Mah. E io? Due anni fa. Come ero? DuN. - Forse eri meno noioso di ora. FR.• Ma veramente. sono tanto noioso? D1.,N. - Diciamo un po' opprimente. Quan• do ci sei tu sento gelosia dappertutto. FR. - Sbagli: anche se c·è, la mia gelosia è cli quel le assolutamente inerti, che non danno noia altro che a me. Oux. . Ti sembra E invece pesa, pesa ... (pausa) Come si può voler bene a uno che?... Non so. Una specie di Filippo Qu,.rles. Cioè, in parole correnti, un tranquillone. FR. - E a questa riproduzione in ges...:o di Aurora Oudevant? E mi astengo dalle pa• role correnti. Quanto poi al tranquillone... (le si avvicina scivolando sul diva110) DIAN .• Per carità. 1011 vedi? Schiacci Pupetta. FR. • (con un'occhiata· al canino che li divide) Già. Schiaccio Pupetta. (si alza) (A questo punto le battute assumono un tono di sorda concitazione, come se 1111 lontano -odio le animasse). DIAN .• Dove vai? FR.• A guardare il giardino. I cipressi la sera perdono le dimc11sioni. RrAN •• Ma no. Resta qui. (Franco si muovr e si dirige automaticamente verso la pol1rona con alta spalliera) (co'n un grido) Fermati! (Franco si ferma di scattn e si volta verso di lei) FR. - Perchè? DIAN. (controvoglia, con tono sommesso) - Perchè non voglio, che tu vada laggiù. FR. (senw muoversi, fJarlando come sollecitato dall'esterno) • Hai paura' che inciampi nella tua poltrona. (la indica col braccio, senza muovere la testa, e con gli occhi fissi alla ragazza) DuN. - Può darsi. FR.. E pensare che io la distruggerei 1an· to volentieri. lo la odio. • J)rAN.. Che ti ha fatto di male? FR.• Niente. Ma è grande. ~ mostruosa• menle grande ... DIAN. - Così comoda, vuoi dire. FR. (fisso) - ... cosi grande che se uno vi si fosse seduto, ora, noi non lo vedremmo, noi che siamo accanto. Non è terribile? DrAl'.. . Smettila di dire sciocchezze. (con voce quasi normale) Oramai è buio. Cosa vuoi vedere? (Franco ritorna) (ella lo guarda l·iacquelaHi accanto al canino - J>mtsa - poi, con voce di nuovo leggera) Sci un po' ingrassalo, sai? FR. - Valeva la pena che perdessi i cipressi per sentirmi dire questo. 01AN. • t una cosa importante ... FR. (seguen(/o il suo pensiero) - O forse non mi merito assohnamente di più. Jn ventidue anni ho mai fatto niente che superi una valutazione . puramente in chili? Non credo. Neanche tu, del resto: ecco perchè, talvolta mi accorgo che hai le gambe un po' troppo magre. Quanto al mio dramma, che poi è un dramma tremcndamellle nobile. è come "e fosse imperniato fra mc; e... quella famosa poltrona, vedi? Io sono qui, e lì c"è il mio peso, che varia con le fun1io11i quotidiane, colla rasatura della barba e colla pesantezia dei vestiti: ma piucchealtro con le decisioni.. E siccome la melanconia fiorisce sulle decisioni mancale. ne viene che la mia meI la11co11ia è un rispetto islull1vo e cieco per 111i regolare metabolismo. (le parole sono vetro spezzato) E così potremmo ConLinuare... Perchè il cervello lavora: e noi siamo gli eterni pensionanti delle circonvoluzioni... (ride di un riso falso, e, aucom fra riso, scuotendo la testa) È tanto. ridicolo che ti parli di me! 01AN .• t. tanto ridicolo che tu me ne parli ... così. FR. - Perchè. 11 fatto è che credevo di aver già completamente superato la con• rcssione come sfogo. E invece, vedi, ci sto ricadendo... Ma cosa vuoi. Da quando ti conosco mi comporto come un collegiale. Lunghe passeggiate quotidiane o quasi per raggiungere la casa sognata. Amarezze shelleianc in questo male· detto salono, dove tu sei sempre in funzione di una preziosa, con la tua corte di poeti e di artisti. Ricerche funive di un lllO sguardo di cospirazione amorosa, 9tli dove si fanno tanle cospira· zioni letterarie. Ma i woi bellissimi OC· cht devono sorridere a troppa gente . .t già un grave compilo quello di mante· nersi nel tono giusto: una capricciosa leggcreLZa infantile con pause di maturità profonda e senza sesso. Non è vero? Pcrchè tu sfrutti il fascino dei senzaetà... stai sempre o molto al disotto o molto al di sopra dei tuoi venti 'anni,. li ignori, con tutte le loro stupide bellezze. Attenta, però; sono vendicativi. E sono capaci di impianlarti un processo ... DuN. (con tenue ranzonatura) - Ma io non ho paura. Tu mi difenderai... E lU sei tanto bravo a parlare ... FR. (sullo stesso tnno) -E quando avrò persuaso i giudici della tua innocenza ... cosa mi darai in compenso? D1.w. - (c. s.) Non ti basta la soddis[azione della ma abilità oratoria... cosa sei capace di desiderare c1·a1tro? FR. - Bene. (pausa) E... se togliessimo que• sto crne? DIAN. (seuw smettere di fissarlo, da una spinta al c<mitlo, che si nasconde chissà do\'e: fJoi, con provoca1.ione retorica) · Cosa sci capace di desiderare d'allro? FR. (dovrebbe agire: ma la nialinconia fiorisce sulle decisioni mancale) - In ogni caso non J' impossibile .... DIAN. - E da me non si può chiedere che FR. (lro/>Po vicino a lei per imporle solo delle defiuÌziuni) . Si. Non Li ho detto di quella poltrona? (l'indica) Il mio sistema di sofferenze finisce l~t, come sulle coste di una terra proibita ... E tu sei laggiù, che mi guardi come si guarderebbe un naufrago... Non sai che non potrò mai toccare quella terra.. e che se la toccassi sarei morto? (/J(lUSa) DIA'l'. (con uno scal.lo nervoso come liberancJm;i e dandogli un tnez:o schiaUo) - Dio. se lll discorressi meno! SCEi'\A lii. Enlm eia çlestra Ina: ha in braccio un mazzo <li crisantemi IK\ (sulla J1orlfll - Oh! Disturbo? D1A~. - Cara Vieni,. FR. (si alza) - Oh. lna. Buonasera. Non sape\'o che tu fossi qua. DIAN. - Non te l'ho detto? Ina resi.i a rena da me. stasera. INA - Ma come mal ancora al buio? FK. Così. Discorrevamo. DIA~. (g11arda11dolo) - Si. (a !11") ~la tu

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