Giuseppe Ferrari - L'Italia dopo il colpo di Stato del 2 dicembre 1851

107 governo deve aver ragione; l'apparenza sola è col - pevole, pur.e nel governo il parer giusto è necessit~ ; i forestieri non fortnano se non la rnetà, il terzo del govert:lo, pure se si uniscono tra essi costituiscono una vera fazione. Tale era il governo italiano del18 t 5 a Milano; cotnponevasi di Italiani, traeva tutte le ricchezze a Milano, spandeva le ricchezze a piena mano , i suoi impiegati non mancavano n è di onore, n è d'ingegno. Sventuratamente non erano nel loro centro naturale; respinti sordatnentc dalla popolazione·, facevano lega insien1e, sostenevansi a vicenda, formavano ciò che i Milanesi chiamarono la cabala estense; la nobiltà s' i1npadronì dell'equivoco, e il governo non potè resistere a una son1n1ossa armata d'om· brelli; presto sj scoprì che la son11nossa era austria.. ca, diretta da illustri traditot·i, e strada al dominio di Francesco l. La scoperta giunse troppo tardi. Non vorrei esser fra n teso: la den1ocrazia italiana doveva rimanere·nell'alleanza ftlancese; ad Qgni patto l'Italia doveva sostenere Beauharnais, Mura t, Napoleone, contro agli alleati, contro l'Austria, contro il pontefice: l'Italia doveva accel.,tar le dittature della riyoluzione francese, comunque rappresentata: la dittatura di Napoleone nella stessa organizzazione del regno d'Italia doveva essere atnmessa. Qùalunque fosse l'errore del regno napoleonico, i aveva esso un limite, il limite massimo di essere imposto, assicurato, di non lasciare aperta la via a moti di fusioni, di sotnmosse, di p1lecludcre l'adilo all'anarchia territoriale: quindi doveva ognuno attenersi al fatto

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