Giuseppe Ferrari - L'Italia dopo il colpo di Stato del 2 dicembre 1851

96 possòno leggere; stanno clerni ne' suoi lamenti, nelle sue invettive; desidea·ava egli il dominio degl i Anastasj, dei Tt·aversari, dei Camaldoli, la sicurezza degij Scaligeri, dei Castracan i; desiderava, i n a lt ri tern1ini, la ricostituzione dei ducali, dei marche - sati protetti dall' alto dotninio in1periale contro le guerre, i tumulti e le stragi del suo tempo. Questa non è certo unità italiana; l'esclude categoricamente , , e col desiderio della pace non conduce se non al dominio dell'imperatore: · il poeta del 1nedio evo non doveva forse concordare coi trattati di Vienn a~ Petrarca riproduce Dante sotto nuova forma. Scorr ansi i suoi libri; le sue piit ardenti invettive, le sl'le J)iù italiane poletuiche parlano dell' l talia, mai del - l' unità italiana; si rivolge egli, co me Dante, all' irnperatore, ripete a Carlo IV l' or·azione di Dante t, a · Enrico VII di Luxembourg; egli desidera la fine delle dissensioni, la pacificazione, vorrebbe assicurati dalla legge gli Stati del suo tem,po, n è pur sospetta che ~i possa chiedete di sopprhnere Venezia o i Visconti , o di affidare al re di Napoli, allora potente, le redini dell'Italia. Il Petrarca desiderava a Roma l'i m- ·- pero del mondo , una grandezza corrispondente al l suo nome, la gloria dell'imperio, che era sempre la negazione della nazionalità italiana, unitaria o federale. Fra Dante e Petrarca ha v vi solo la differenza del classicismo : Dante era positivo, attenevasi alla legge; Petrarca staccavasi dal medio , sfuggiva i fatt i contemporanei , e ricordava l'antica Roma per evitare l'Italia del suo tempo .

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