Giuseppe Mazzini - Dubbio e fede

11 Io avrei dovuto guardare in essi come in benedizione di Dio accolta con riconoscenza qualunque volta scende a illuminare e incalorire la vita, non 1ichiesta con esigenza a guisa di diritto o di premio ; e aveva invece fatto d'essi una condizione al compimento dei miei doveli. Io non avea saputo raggiungere l'ideale dell'amore, l'amore senza speranza quaggiù. [0 adorava dunque, non l'amore, ma le gioie dell'amore. Allo sparire di quelle gioie, io avea disperato d'ogni cosa, come se il piacere e il dolore colti fra via mutassero il fine eh'io m'era proposto raggiungere, come se la pioggia o il sereno del cielo potessero mai mutare l'intento o la necessità del viaggio. Io rinegava la mia fede nell'immortalità della vita e nella serie delle esistenze che mutano i patimenti in disagi di chi sale un'erta faticosa in cima alla quale sta il bene, e sviluppano, inanellandosi, ciò che qui sulla terra non è se non germe e promessa: negava il Sole, perch'io non poteva, in questo breve stadio terrestre, accendere alle sue fiamme la mia povera lampada. Io era codardo senza avvedermene. Serviva an·egoismo pure illudendomi ad esserne immune, soltanto pereh·io lo trasportava in una sfera meno volgare e levata più in alto che non quelle nelle quali lo adorano i più. La Vita è Missione. Ogni altra definizione è falsa e travia chi l'accetta. Religione, Scienza, Filosofia, disgiunte ancora su molti punti , concordano oggimai in quest'uno: che ogni esistenza è un fine: dove no, a che il moto? a che il Progresso, nel quale cominciamo tutti a credere come in Legge della Vita? E quel fine è uno: svolgere, porre in atto tutte quante le facoltà che costituiscono la natura umana, l'umanità, e dormono in essa, e far sì che convergano armonizzate verso la sco-

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