Carlo Maria Curci - La demagogia italiana ed il Papa re

FELLONIA liberi ss ima sommessione dei suoi suggelli' eran.o a.lla s tess' ora regal i nella ricognizione autentic~ del pnncipi e dei popoli contemporanei ; ecclesiastzche e rellgiose nelle sanzioni dci Conci Iii. onde ~ur guardate ~ lrcJosamenle custodite dalla Cluesa; d1 sorte che Cl n . . , . , sembrano aver fondato il diritto p1u san to, pnt augusto, più incontrastabile che sia in terra . Dove si ·os- ' servi che i Pontefici investiti bene spesso da fuori e da dentro, trovarono mai sempre un appoggio fidatissimo , nna simpatia cordiale, nna fiducia illimitata nel popolo propriamente detto; e così nelle parecchie voi te che furono obbligati allontanarsi dai sette colli, dal popolo vPnner loro le suppliche più calde ed incessanti rli consolare la vedovanza del Vaticano. Una legittimità di potere costituita stt queste basi, fornita di tali titoli, riconosciuta da tanti 5Ccoli, parve ai Lillipntti italiani, a cui si farebbe troppo onore paragonan~o\i coi G1·acchi e coi Catilina , parve, dico, che si potesse lecitamente annullare in un notturno e tempestoso conciliabolo di faziosi, tra gli schifosi saturnali di una sfrenata demagogia. Il solenne plciJiscito del nuovo Governo, che per giunta di carrcatnra si chiamava Repubblica Romana, era concepito in questi lel'- mini: Il Papato è decaduto di diritto e di fatto dai suoi temporali dominii. E quanto all'esserne decaùato di fatto, non ci era bisogno di dichiararlo ; la cosa parlava d.a sè: il Pontefìce n'era già decaduto, come il viandante che decade di fatto dal possesso della sua. borsa sotto il pugnale dell'assassino; ma quanto a-l diritto, per buona ventura del genere umano non sono

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