Volontà - anno XIII - n.6 - giugno 1960

che lo scet11c1smo ha 8cn•ito Cftrc– giamcnto a demolire, o perlomeno a mettere nella loro giu~1a luce .idee, tloi:;mi e postulati che sembravano imba11ibili. Solo che non ci co1nrin– ce l'aspetto radicale e definitivo che dovrebbe avere ìl lavoro sct.·ondo 1111c filosofia; e non perchè si i.peri dalle forze del lavoro l'atltrnzione di una sorta di paradiso 1crrestrc; ma 1>erchè crediamo che, rnzional– mcnle, sia possibile ottenere da es– so molto cli pili di quello che finora abbiamo ottenuto. Analizzando il lavoro, sia dalle strutture sociali del passato come da quelle attuali, si delinea un fat- 10 intcressanle: uno squilibrio co– stante e più o meno ac<·t"ntua10 Ira lavoro offerto e compenso ricevulo. In nitri termini: per quunto posM <•ssere evidente un certo stato di bc– neitsere i::ociale, il lavoratore i· sem– pre (< mal 1>agato )); e queslo non vuol dire che chi lavora si trovi i,cm– pre in conclizioni di poveri:,: può benissimo :were il televisore " gli elettrodomestici, e tuttavia 8apere che la quota compensalivn è sem– pre lontana dal rispondere al lavoro prodotto. Si tratta, cioè, di un rap– porto economico-dinamico indipen– dente cla1le particolari eonclizioni rii benessere che il lavoratore può ave– re nella pro1>ria casa. Si obietterà: il lavoro non può n– vcrc un compenso, diremo così, di– namico, simjle a quello che richie– de un motore qualsiasi il qual", per sviluppare un dato lavoro, richiede a~solutamente un dato compenso e– nergetico. Difatt..i se l'uomo, di bno· na o di malavoglia, accetta cli vivere in società, è giusto e razionale che dal suo lavoro venga detraLta una quota che serva al mantcnimcnlo 392 dei vari servizi pubblici dei quali lutti godooo (acquedotti, strade, net– lezza urbana. illumioazione 1mbbli– ca, ecc.). Qucslo è ovvio. Il pro– blema però è quello cli !-apcre quan– to viene utilmente impiegato di la· le quola detra11a, e c1unn10 viene cf. fcttivumcnte sperperalo in parassiti– smi di ogni genere o addirit1ura in follie collettive. D'altro canto il follo che l'ener– gia umana non va paragonata a quel– la di un motore meceanico, m('lte in evidenza un altro interc,:;snnte fc. nomeno: mentre al datore cli la,•oro gli è impossibile fur agire un molorc con un'energia inferiore a quella ri– chiestn dalla potenza del mezzo meccanico (anzi, in pratica, il mo– tore dà un rcndimenlo sempre inff'– riore del compenso ri('evuto); per eonverso dal motore umano si può ottenere un nolcvolc rendimento an– che con compensi minimi. Queslo, d'altra parte. mf'II<' in evidenza il gioco e il scgrelo su cui vengono puntali gli interessi e µ:li e~oismi dc11e classi dominanti: !.Ubstrato di ~olito volutamente ip10ra10 dap:li e– ronomisti ufficiali,; an('hc Jler il fat– to che l'energia umana (' un valort> indeLcrminato, <'h<· non i;:.i può cal– colare nè in erg nò in Kilmc<tt.. Una cosa è certa: <·he fii trntla di una e– nergia straordinaria r che s(ug~e ad un'esatta valutazione. Ma un altro fatto è altrcllanlo certo: che il pa– drone dei mezzi di produzione - compreso anche lo Stato comuni,;ta - per essere sicuro di non sbaglia– re applica sempre un compenso re• lativamente mi.uimo, o eomu.nquc inferiore ad un nrlo livello di equa– bilità. La critica dc,!!;lie<'onomisli si com– piace spesso di rilevare e di Ia-

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