La Voce - anno II - n. 52 - 8 dicembre 1910

450 burgo dominano ormai il commercio del caflè ... Quello degli zuccheri è contrastato dai porti set– tentrionali. Amburgo, che nel 1853 importò 425.000 quin– tali doganali di zucchero grezzo, mentre Trieste ne importò 788.000, nel 1857 importò 470.000 quintali e Trieste 2ì0.ooo. A provveder la Ger– mania di cotone bastano ora la città di Ambur. go e Brema ... Queseultima. che nel 1853 ebbe un'importazione cli cotone delta metà inferiore di Trieste, l'ebbe nel 185; 1 dopo costanti au– menti, di oltre un terzo superiore. E Antonio Gazzoletti : La sola industria serica [del Tre11li110] prese e tenne qualche tempo la via di Vienna ; ma <lacchè la carta monetata austriaca ci rese in• certi i cambi, e coi cambi i \'alori, riducendo a mero gioco ogni speculazione, e dacché le tristi condizioni finanziarie del\' impero presero a far sentire la loro influenza in tutti i commerci, ... anche le sete trentine si volsero 3:d altro cam• mino. e da qualchè anno preferiscono le piazze d'Italia e quelle di Francia. Scrive il primo, nel 62, sulla Rivista co11- lempora11ea di Torino; il secondo nel 60 in un opuscolo dedicato ai senatori e deputati del Parlamento nazionale. È ormai cominciata, da circa tre anni, la propaganda irredentista. I primiagitatori. Carlo Combi, Sigismondo Bonfiglio, Tom– maso Luciani, Giovanni De Castro (istriani); Iacopo Baisini, Antonio Gazzoletti, Lorenzo Festi (trentini) sono i primi ,migrati: i primi teorici e agitatori dell'irredentismo. Persone simpatiche serie, attivissime. Devono sostenere le loro idee contro un'indifferenza collettiva, piena di preoccupazioni germanofile. La loro causa non s' impone da sè, suffra– gata sentimentalmente o da pronta testimo– nianza della coscienza comune : devono pro• cedere ordinatamente, armati di fatti, con pazienza. Nè hanno dietro a sè, nelle prov. irr., una preparazione di ricerche storiche, geografiche: devono scavar essi negli ar– chivi, dando cosi impulso e fondamento ai nostri studi patri. Concepiscono per la prima volta la nostra storia; passiooalmente, falsa– mente spesso, ma la nostra vita passata co– mincia finalmente ad animarsi. Non s'è più morti nello stretto limite del giorno. Abili; ma d'un'abilità sincerissima, com·inta Non suppliscono il mancante con urli. Tanto che l'irredentismo d'oggi, meno il fatto morale, non ha detto mai una cosa che non sia stata detta da questi loro padri ; ma si molte pa· rote. Notevole è che la propaganda trentina non si fonde con l'istriana. Gl'istriani sostenendo il confine ,:aturale delle Alpi, includono im– plicitamente il Trentino ; ma non si fermano a discutere. I trentini accennano all'Istria, ma ammettono che gli slavi sono una diffi– coltà che non esiste in tutti i casi per il Trentino. Sono due province, che de,·ono essere an– nesse ali' Italia: ma staccate fra di loro, e per ragioni in buona parte differenti. Ciò che le accomuna è il Veneto, da cui hanno la coltura, e il Trentino e l'Istria il sostenta– mento commerciale. Per Trieste - gl' istriani vogliono anche Trieste, ma in tulli i casi le difficoltà storiche e commerciali che potreb– bero esistere per Trieste non esistono per l'Istria. - Non domandano (gl'istriani) che l'Italia pensi subito alle prov. adriat., ma che si ricordi d'esse al momento opportuno. Già vedono la gravità dei fatti che stan per av– venire : s'affermano uniti in Iutto e per tutto al Veneto. E il De Castro è fautore caldis– simo dell'alleanza italo-prussiana già nel 61. - Rinunziano alla Dalmazia e a Fiume, che considerano terre slave d' inleressi anche se italiane di coltura: il Monte Maggiore che separa l'Istria dalla Liburnia deve essere l'ul– timo termine dei con lini naturali d'Italia. Non hanno antipatia per gli slavi (è il tempo in cui il Tommaseo propugna l'accordo delle due civiltà adriatiche contro l'Austria e i magiari) ; li riconoscono esistenti, trattati male dagl' italiani, ma di sentimenti nostri, e assimilantisi con la coltura. - l trentini riconoscono non proprio l'Alto Adige, ponendo i confini alla linea che dal- LA VOCE I'« Ortelio > (Ortler) va fino alla Marmo– hda. Monarchicie repubblicani. Questi primi irredentisti sono monarchici. La loro è propaganda legalitaria ; aspettano dai ministri di casa Savoia ; non approvano j mezzi rivoluzionari. (Il Combi deplora che nel 78 si siano tirate delle bombe a Trie– ste). Ma Cavour è incerto. Cavour pensa a Trieste, ma ha visto che v'esiste, importan– tissimo, l'elemento slavo. Spera però che sia assimilabile. Lo preoc– cupa la fedeltà di Trieste all'Austria. Ma il 6 ottobre 1860 scrive a un R. Commissario: « Ella ha fatto ottimamente di conservare al Lloyd i favori di cui godeva. Emani pure un decreto in proposito. È utilissimo di mant~nere buone ed attive corrispondenze con Trieste, che da quant? mi si dice si fa ogni giorno men9 f~-– delissima e più italiana. Non già eh' io pensi alla prossima aonessione di quella città, ma perchè conviene seminare onde i nost;i figli possano raccogliere )>. Ora è troppo presto. Bisogna rispettare ancora i desideri più imperialistici della Germania. E poche ora prima di morire, racconta Giuseppina Benso di Ca~our-Alfieri (cap. XIV del Co11/edi Cavour, di WtLLIAM DE LA R1vE, trad. Torino, Bocca, 19, 1), di– ceva : « Garibaldi è un galantuomo: io non gli vo• glio alcun male. Egli vuole jtndare a Roma e a Venezia; e anch'io: nessuno ne ha più fretta di noi. Quanto ali' Istria e al Tirolo, è un'altra cosa. Sarà il lavoro d'un'altra generazione. Noi abbiamo fatto abbastanza, noi altri: abbiamo fatto l'Italia, si l'Italia, e la cosa va. Poi, que– sta confederazione germanic,i. è un'anomalia; essa si dis'iolverà e si fonde.rà in sua vece l'u– nità germanica; ma la casa degli Absburgo non saprà modificarsi. ... » Anche in questo lucido vaneggiamento su– blime, è accennato al dissidio, pur per le que• stioni nostre, con Garibaldi. Garibaldi vor– rebbe liberare subito, specialmente il Trentino. Non gli han permesso di toccarlo nel 48, l' han fatto tornare indietro nel 59, lo con, quisterà in parte, vanamente, nel 66. All'Istria pensa, ma non ha avuto da lei tanti soldati, nè la conosce. Contemporaneamente alle let– tere per i triestini e istriani, scrive, inneg– giando, agli slavi. È che Mazzini non ha visto come i due termini sono contraddi– tori. Nel mazzinianesimo guerresco di Gari– baldi le difficoltà si fondono, e le due stirpi diventano una cosa eguale in sè, perchè l'Austria opprime tutt'e due. Del resto è uno di quegli errori teorici di Mazzini che d'im– provviso obbl\gano la realtà a tentar di rea– lizzarli: in Oberdank, sangue slavo e italiano, l'antitesi diventa sacrificio. Mazzini però non ha tentato moti in Istria. Nel 62 con Egisto Bezzi, Filippo Manci, Fi– lippo Tranquillini, ma sopra tutto il primo, tenta nel Friuli, nei VII Comuni, nel Cadore, nel Trentino. È consiglio di Napoleone terzo, e lo permette - per il tramite del M'tiller - Vittorio Emanuele. Nel 63 Bezzi è nel Trentino. Ma il Trentino non si muove. E le 1ratta1ive fra Mazzini e il re si rompono causa la solita Germania. E siamo Al 66. Nel 6, il partito liberale di Trieste e Istria s'era rifiutato di mandar deputat/, alla Camera centrale di Vienna, allora costituita secondo la proposta di Schmerlingen. ç• è già una forte corrente contro i rossettiani, conservatori. Alessandro Mauroner, triestino, capo di questi, scrive nel 6 I contro i ~ di– spotisti » (sic 1) e « liberalisti » che va– gheggiano « rovinose trasformazioni e rim– pasti territoriali avversi ai veri interessi dei popoli •. Onde questa volta la guerra trova un po' di preparazione. Quando l'Italia, che vuole Venezia, si allea alla Prussia, che ~uole I' 1ustria indebolita, gl' irredentisti ser.tono che è il loro momento. Allo scoppiar della guerra, il comitato istriano manda un indi– rizzo a Vittorio Emanuele e Ricasoli chie– dendo che si arrivi fino all'Istria. Sigismondo Bonfiglio ribatte per i confini. E in realtà all'Istria si pensa. Anche lasciando stare il piano di Moltke, che Garibaldi voleva at· tuare 1 di minacciar direttamente Vienna sbar- cando con le truppe meridionali in Dalma– zia, cioè portando per la prima volta fa lima di co111balli111c11to eflcprovi11ceadriatiche, Per– sano ha da Ricasol i I' incarico di spingersi fino a Trieste, e Cialdini oltre il Friuli. Ma a Lissa si andò - disse il Saint-Hon - « come si va alla scoperta di un posto nuovo in Australia o in una delle isole della Polinesia » : proprio come si anelò in Africa, e proprio come desiderava, in fondo, Bismarck per potersene infischiare del l'Italia. E Lissa suggella Custoza. Anche al Trentino s'era sperato. Gari– baldi doveva occuparlo, e Nigra ottenere dai gabinetti europei il riconoscimento dell'occu– pazione. Ma il 5 agosto 66 c'è a Cormons (Friuli) un convegno preliminare fra i gene– rali Miiring e Bariola per trattare dell'armi– stizio: la condizione assoluta imposla dal– l'Austria è: la mattina del 10 tutte le parli del Tirolo e dell'Illiria (?) occ1Jpate dal- 1' Italia devono esser sgombrate. Allora Vi– sconti-Venosta, ministro degli esteri, fa do– mandare all'ambasciatore a Parigi, che la Francia chieda all'Austria l'evacuazione della Venezia come conseguenza della nostra dal Tirolo. L'alternativa per l'Italia è questa: o continuazione della guerra o rinunzia al Trentino. Continuare la guerra era probabi– lissimamente perdere Venezia. Il Lamarmora accetta la condizione dell'Austria, assumendo la responsabilità. E Garibaldi dal Trentino già vinto (i trentini non si sono sollevati in suo aiuto ; però parecchi comuni gli hanno inviato indirizzi d'invito e conten(ezza), ri– sponde quell'obbedi:sco ch'è stoltamente diven– tato il luogo comune degl'irredentisti, perchè in realtà altro non vuol dire che anche Ga– ribaldi capi la necessità dello sgombero. Prima della pace di Praga (agosto 66) il comitato istriano aveva mandato un altro appello chiedendo che la frontiera orientale d'Italia fosse estesa fino ali' Istria; e dopo la pace, mentre se ne attendeva la ratificazione da quella di Vienna (ottobre 66), dirigeva (C. Com bi) il 14 agosto un manifesto ai connazionali che non dimenticassero èiò che c'era ancora da fare e di « mandar ..... prima delle armi la pubblica opinione al conquisto delle nostre frontiere centrali ed orientali, e del nostro Adriatico >, La ciurma di Tegethoff era· composta in buona parte di marinai istriani e dalmati. Uno di essi mi raccontava che erano pronti a voltar i cannoni contro le navi austriache, e che già alcuni s'erano rivoltati. Non so ' quanto ci aggiunse a questo ricordo il tempo posteriore. Certo che il dolore in Dalmazia e in Istria. fu grande. Anche in parecchie famiglie di Trieste, ormai certe di poter salu– tare le navi italiane. Ma sommosse nessuna. La qaestloneorientale. Dopo questo colpo, di cui soffre ancora I' Italia, la propaganda irredentista s'affie– volisce. L'Italia pensa a Roma. Occupata Roma, il giubilo sotto forma finta di gto1a anticlericale, oltrepassa i conlìni. La Ger– mania continua i I suo andare ferrato verso l'egemonia europea: la sconfitta francese è anche nuova sconfitta dell'irredentismo. Il La Marmora nel 73 afferma esplicita– mente che Trieste è per la Germania ; e i triestini gli rispond3no in un foglio vola11te diffuso ampiamente. Intanto risbuca dal lavorio oscuro di più d'un secolo, la questione orientale. Serbia e Montenegro, certi della Russia che per la conferenza di Londra del 7, aveva riotte– nuta la libertà d'azione sul Mar Nero e sulla strada di Costantinopoli toltagli dal trattato di Parigi, assalgono i turchi. Belgrado nel 76 è presa dal 11emico. Allora la Russia entra in campo; Plewna cade (77); i cristiani della Turchia si sollevano ; i russi minacciano Co– stantinopoli. 11 trattato di S. Stefano (marzo 77) riconosce l'indipendenza del Montenegro, della Serbia, della Rumenia; Bulgaria, Macedonia, Rumelia sono uniti in stato vassallo della Turchia. « Col trattato di S. Stefano la Russia afferrava l'egemonia della penisola balcanica, a nord e a sud dell'Appennino orientale, e si affacciava nell'Adriatico e sull'Egeo diven· tando una minaccia per tutti, ma sopratutto , BiblotecaGino Bianco per l'Austria-Ungheria, che l'aveva a' fianchi, e per l'Inghilterra che con l'immaginazione se la vedeva già sulla via delle Indie. Col trattato di S. Stefano trionfava un concetto panslavistico. li Panslavismo non pago d' in– carnare parte del suo programma, l'oltrépas– sava sottoponendo Elleni e Rumeni al suo suo dominio« (N. Marsel/i). L'Europa si dovè difendere da questa minaccia. L'Inghilterra credette cli poter tenere in freno la Russia pun– tellando la Turchia. Ma la Turchia era esausta. Bismarck fu più furbo: il trattato di Berlino è forse il suo capolavoro. li germanesimo cominciava a sentire lo slavismo : in futuro sarebbe stato lui a dover pagare il trattato di S. Stefano. Ma per ora la più seccata era l'Au– stria. Bisognava servirsi di chi era attualmente preoccupato, per salvarsi da proprie preoccu– pazionì future. L'Austria doveva esser lo zam– pino della Germania. Per di più bisognava far in modo che I' incarico apparisse un gran dono, per ingraziarsela in modo che la Ger· mania potesse diventare il centro dirigente della politica europea. Ma d'altra parte biso– gnava indebolire la sua compattezza occiden– tale, perchè i suoi paesi tedeschi devono an– ch'essi passare un giorno al la Germania. L'unica cosa dunque era di assecondare la spinta interna degli slavi dell'Austria, e spin– gerla nell'Oriente. L'Austria in pochi anni era stata spolpata a sufficenza, perchè la tradi– zione politica absburghese non attendesse che cli agguantare la prima occasione per sfamarsi un poco : e non poteva accorgersi di ciò che commetteva con l'annessione della Bosnia• Erzegovina: pareva si riniziassero, all'oriente, i bei tempi del la potenza mondiale nell'oc– cidente. L'Inghilterra, che teme la Russia non s'allarghi nell'Asia, accetta il male minore. La Francia e l'Italia non contano. L'Italia riesce solo a impedire platonicamente all'Au– stria il proseguimento futuro dell'avanzata, facendo da paladina del principio della na– zionalità. Ma già allora nessuno crede che « mandataria » non sia per esser tradotto alla prima occasione dall'Austria in « padrona ». Il partito irred. capisce il momento : « è ve– ramente decisivo e bisogna costringere il Go– verno ad almeno produrla (la nostra q~e– stione) nella prossima conferenza ». (Combi, lettera). Le speranze sono fortissime. L' « Associa– zione dell'Italia irredenta>, fondcta dall'A– vezzana, che ha per organo l'Italia degl' /. ta/iani di Matteo Renato lmbriani, spera dal nuovo ministero Cairoli ciò che dal De• pretis non si poteva sperare. (Al Depretis il comitato istriano aveva mandato un memo– riale con parecchie pubblicazioni sulle prov. irr.; ma egli aveva risposto c!:e non facessero nè dicessero cosa che potesse compromettere il governo). Garibaldi nella famosa lettera del 30 novembre 77 all'Avezzana aveva pro– posto : All'arbitrato ricorriamo dunque per aver giu• stizia - ma siccome tale giustissimo espediente - non sembra accomodare ancora ai reggitori delle nazioni - l'Italia con a capo uomini meno indulgenti potrebbe - qualche persuasiva verso i dominatori suaccennati (l'Austria) - tentare - e migliorare le condizioni d'uomini della nostra stirpe - seguendo l'esempio generoso della Russia verso i suoi correligionari sventurati che gemono sotto l'orrendo giogo della mezzaluna. Ora però si dice apertamente : « armi ! • Ma l'Italia, anche dopo il ripetuto invito del– l'Inghilterra di unirsi a lei per la comune difesa degl'interessi orientali, rimane neutrale. Il trattato di Berlino esaspera. La sera stessa che a Berlino si deliberava, scoppiano dimo– strazioni in Italia. Venezia frantuma le lastre al consolato austriaco e ne butta in canale lo stemma. Il governo italiano, impaurito, do• manda scusa. L'Avezzana presenta interpel– lanza al parlamento per sapere « se nel Con– gresso europeo, ad occasione dell' ingrandi– mento dell'Austria, siasi mossa dal nostro rappresentante (il Corti) la questione di ren– dere ali' Italia i suoi confini naturali dell'Alpi Giulie e Retiche con le città di Trieste e Trento >. Il governo non risponde. L' irredentismo repubblicano divampa. È la sua epoca: la scontentezza dei repubblicani per la soluzione monarchica ha trovato l'occasione e il diritto

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