La Voce - anno II - n. 41 - 22 settembre 1910

* Il pericolo più insidioso e funesto alla nostra individualità, è quello di scambiare il valore colla potenza. L'opposizione tra i due fini verso cui può tendere il volere umano, e la facilità di scambiar1i, già accennata nel volume sul Roman– ticismo, ~ descritta col più ampio sviluppo nei <iue grossi volumi « 1lfondi ed abissi 1>: (1) operd. f~rtemente organica, piena di intuizioni psicolo– g1che acute e profonde, e di un senso sanissimo della vita, pure nell'attraversare le più oscure complicazioni de11' anima umana, - scritta ele– gantemente e spesso con molta efficacia ; alla quale nuoce solamente I' estrema prolissità. - Qui ne indicherò solamente le Jinee generali. L'ess~re è, per la nostra coscienza, tutto quanto bipartito in soggetto ed oggetto. La co– scienza è al tempo stesso posizione del!' essere in questi due aspetti, e tendenza a superare il dualismo: l 'uma,u coscienza tende a identificarsi <:oli' universo essere. Ma questa tendenza può manifestarsi per la sua strada \'era, che è quella della fede, dell_'amore, del valore, dell' es_sere; oppure mettersi per la strada falsa dell' mcre– dulità, dell'odio, della potenza e dell'apparenza. La prima via è quella che conduce alla religione ali' arte, alla filosofia; la seconda è quella degli uomini vani, esteti e sentimentali, dei violenti e degli schiavi, del volgo, dei despoti e dei delin quenti. Le volontà del votere e del valore si manifestano insieme ne11a passione amorosa : volontà del !)Otere in quanto nega la libertà del– )' oggeuo amato (come si vede nella gelosia} ; volontà del valore in quanto nella creatura ama l' idea e l' universo. Credenza nel valore reale dcli' universo e po• -sizione del valore reale del proprio soggetto, sono le due facce di un medesimo fatto, che è la fede. 11 desiderio di possesso è un fenomeno <li odio, poichi: tende a far dipei1dere Pesisten1..a delle cose dalla nostra, e cosi nega il loro va– lore proprio ; ma è anche odio di noi ~tessi, perchè nasce da mancanza di fede nel nostrQ valore, e dall' illusione di poterlo acquistare col posst:sso delle cose. Queste, non appena otte– nute, ci deludono in questa speranza, e perdono -ogni valore per noi. Perciò la volontà del potere tende necessariamente ad allargarsi aU' infinito; e col soddisfarla di volta in volta << solo il nulla s'accresce». L'illusione che ci fa cercare il va– lore fuori di noi, si converte in una fuga inter– minabile dinanzi al nostro soggetto. L' esteta che non crede neUa realtà delle cose, ma vuol fruire del(e loro apparenze, corre senza riposo in caccia ùi nuove apparenze ; il sentimentale, di nuo\"i e più raffinati sentimenti; il despota <li nuove plebi e la plebe di nuovi dominatori. Questo pensiero cosi semplice, eppure così difficile ad intendere sino in fondo, che il valore <i'un uomo non può consistere in ciò che egli con– sidera come apparle11e11tt• alla sua persona, e stru– mento del suo piacere o della sua vanità, ma in ciò che la sua persona t\ e nell' atteggiamen•o suo immediato verso gli oggetti; questa tenta– zione sottilissima e vi\·a in tutti gli istanti, per– ché annidata in fondo alla !=-tessa facolth della .autocoscienza, la tentazione di estraniarci dal nostro io e volere che le cose re lo rinettano ingrandito; oppure di sdoppiarci all'infinito nella contemplazione \'anitosa di tutti i nostri atti e pensieri i e il radic:ile pervertimento morale che• ne consegue, e a cui siamo infinitamente pros– simi pur negli istanti in cui ci crediamo più vir– tuosi; tutto questo nel libro dell' EwaJd è ana– lizzato e perseguito nelle forme più lontane e meno facilmente riconoscibili. Il valore del nostro io e quello del!' universo 5Ì creano con un atto di fede: il quale da una parte ci dà I' io soprasensibile nel quale risiede la libertà. negata al soggetto empirico; dall'altra ci dà iJ principio soprasensibile dell'universo, il qu,1le ci libera dall'angustia delle parvenze li– ..mitate, e reciprocamente connesse e determinate del mondo esteriore. Ma come il soggetto soprasensibile non può mai astrarsi dal soggetto empirico e non si ma– nifesta che nelle forme di questo ; cosi la fede non si manifesta che nella forma dell'amore, che ha per tendenza essenziale l'individuare: ossia non si ama l'universo trascendente che e oggetto della nostra fede se non simboleggiato in forme individuali. Questo è fonte perenne di conflitto interiore nel r~ligioso, nell'artista, nel filosofo. Il religioso, vorrebbe e non può pur– gare di ogni elemento individuale il suo amore per la divinità; e se lo tenta cade nell'asceti– ·smo, che é odio di quell'amore, odio di sè e nichilismo. L'artista soffre d1 dover uscire dalla pienezza e universalità di sentire che è propria della concezione, per dar forma all'opera d'arte individuJ. Il filosofo contraddice il proprio indi– vidualismo nello stesso modo in cui lo contrad– dice il religioso, dando nome e caratteri parti– colari, nella metafisica, al principio universale dell'esc;ere. Si ripete qui ìl rapporto che abbiamo veduto nella teoria della conoc;cenza. L'individuo non può raggiungere l'universale nè nella teoria nf! nella pratica; tutto ciò ch'egli pe.nsa e ciò ch'e· gli fa 11011 può contenere ]'universale, ma sola– mente ~imboleggiarlo. Cosi I' Ewald completa In •conce1ione weiningerian:1, affermando bensi con non minore energia la necessità della lotta mo– rale, e il senso di essa, ma placandone la clispe• rata vitJlenza coli' indicazione chiara, sicura e pe:-enne dei limiti umanamente non oltrepa~sa– bili. * Chiuderò questo articolo con due osserva– zioni. In primo luogo, come dissi in principio, credo cht: si del,ba ascri\·ere ad onore nei due filosofi ·di cui ho trattato la mancanza rJi ambizioni in– novatrici, e la devozione al Kant. I pensieri originali non sono prodotti dall,.ar– bitrio, ma germogliano quasi per forza dallo studio approfondito dei pensieri vecchi. Età ra– dicalmente innovatrici in filosofia vengono ne– cessariamente molto di rado; perchè la cultura umana ha. bisogno di stabilila nei suoi ideali, e occorrono :;ecoli e secoli percht un pensiero profondo riceva tutto lo sviluppo di cui è capace, e sia superato. Il cristianesimo medioevale bastò a pili di un millenio di cultura. Perciò fa onore alla Germahia il grande numero dei commenta– tori di Kant che e~sa produce. La seconda considerazione è questa. lo ho accennato solo alle linee più generali ed astratte delle indagini ùell'Ewald. Non dirò che, spe:- (1) Grumi, ,md A6grmu{,, Berlin, Er111tHoffm11nne Co. 1909. LA VOCE cial_mente ~1el~as~1a 11lti~1a opera, qualche volta egli 110.11 s.1d1Iett1 del g1uoco logico delle sue costn)z1on1 i - m~ c~rto _chi lo legga per intero not~ra_ c~m meraviglia come quella psicologia apnon~t,ca dedotta da pochi presupposti fonda– m~ntah ~pesso senza nessuno sfori.o risponda a~I esl?er!enza che può avert: acquistato ognuno d1 1101 ~irttt~men~e, o attraverso le sue letture. . Che 111~att1ogm g~andezza di sentire, di pen– siero e _d1opere abbia un sostrato metafisico io credo sia una nozione indispensabile ali' int~lli– genza profonda cli. ess~ ~randezza. Quelli che non assegnano agli art1st1 altro ufficio che di specchia_re f«:clelmente il mondo empirico este– n<?r.e. e inteno~e! è giusto che non assegnino ai cn_uc1 altro_ ufficio che di specchiare quegli spec– chi. Ma eh, crede che ogni opera dello spirito non ha grandezza se é priva di significato alta– mente personale, ~ se ignora i problemi profondi della vita ; credera anche che critici e storici s~rvono secondo i loro mezzi alla cultura stu– diando le opere di pensiero e le azioni come n_1anifestazioni di qualche idea suprema. La sto– na, per non essere curiosità oziosa, dev'esser fatta secondo un principio : il Bossuet lo trovava nella volontà. di Dio ; noi dobbiamo cercarlo nei postulati fondamentali ed eterni dell'umanità. E il \\'eininger e l'Ewald hanno dato in questo senso de11e indicazioni preziose. Giulio A. Levi. Divagazioni s1,dl' arte. / In queste note o divagazioni mi propongo di elucidare, per quanto mi sarà possibile e secondo il mio modo di vedere, alcuni problemi e aspetti dell'arte moderna. LE DUE PROSPETTIVE. - Ci sono molti i quali, vedendo in una pittura di Giotto, per e– sempio, o di Beato Angelico uu uccello più gran– de del cespuglio su ·cui sta a cantare o un uomo pili grande della casa che gli è accanto, ridono. Ci son dei cri tici ili ustri i quali, vedendo code5te stesse cose, spiegano che si tratta evidentemente di errori di prospettiva, ma c11e, data l'epoca in cui lavoravano, quegli artisti non potevano fare a meno di commetterli, giacché le norme di quel– l'arte non erano state peranco stabilite. Gli uni e gli altri sono degli imbecilli. Deri– dono e spiegano ciò che non capiscono. Infatti è un errore credere che la prospettiva scientifica - lineare o aerea - debba esser cli ne– cessità rispettata nell'opera d'arte, come è una sciocchezza affermare che gli artisti primitivi 11011 l'applicarono nei loro dipinti unic'àmente perchè ne ignoravano le leggi. Prescindendo dalla con– siderazione che una pillura è avanti tutto, e re• sta sempre, una superficie piana cc,lorata, 1a ragione di quegli « errori » è pili profonda. La verità è che l'artista antico sentiva, come I' ar– tista moderno sa, che la scienza non ha nulla che fare con l'arte e che basta riprodurre la propria impressione per render viva e vera l'im– magine della cosa ritratta. Cosi se l'uccello gli veniva fatto più grande del cespuglio e l'uomo più grande della casa, vuol dire semplicemente che l'uccello e l'uomo, sia per il loro colore, sia per la loro forma, avevano colpito con pili di violenza la sua fantasia che non il cespuglio e la casa. Onde la sua prospettiva, che io direi psi– cologica piuttosto che scientifica 1 era la vera 1 ed è la sola che si confaccia al carattere lidco del– l'art~. Perchè, non e ~e non per via di esperienze anteriori, empiriche e d'ordine meramente pra– tico che le cose si differenziano ai miei occhi e pigliano delle prOJ.>Orzionideterminate. « Biso– gna vivere - dice Bergson in una delle più belle pagine che abbia scritto sull'arte - bisogna vi– vere e la \"ita esige che noi percepiamo le cose nel rapporto che hanno coi nostri bisogni. » )fa quando invece io guardo il mondo da puro ar– tista, cioè distaccandomi nel modo più assoluto dalle esigenze, anche mentali, di moto e di con– tatto, Je cc,se mi si precipitano per gli occhi dentro in un flusso di armoniosa unità, ciascuna con la sua potenza stimulativa e col carattere, grandezza e colore che le è dato, non dalla sua destinazione o posizione abituale, ma da un rap– porto singolare e 111onHmt.-1neo con tutte le altre. In un tal momento, se, per esempio, io guarderò salire un uomo. su per una scalinata che abbia per orizzonte il cielo, q4antunque la prospettiva della scuola mi avverta che i corpi diminuiscono di proporzioni via via che s'allontanano, io \'e– drò l'uomo ingrandire a mano a mano che monta e lo vedrò grandissimo quando spiccherà tutto nel ciclo e ciot quando, in linea diagon,1Je, sarà più lontano dai miei occhi. Similmente se, stando sur una collina, mirerò giù la valle soleggiata, ciò che mi colpirà prima di tutto e ma1.n.~ior111ente, fra le toppe gialle dei terreni lavorati t i filari delle viti e degli olivi, sarà fors<: un contadino che zappa sulla proda di un campo. Ora, se io face~si una fotografia di ciò che vedo o appli– cassi in un dipinto, rigidamente, le r~gole della prospettiva scientifica mi accorgerei per avventura che la sua massa cromatica è infinitamente più piccola di quella di un sasso vicino a me che io 11011 avevo visto se 11011 come una macchin com– plementare di colore. Se poi l'uomo che monta su per la gradinata o il contadino che zappa mi apparir~nno vestiti di altri colori o in ore diffe– ren'.ii tutto cambierà i m·a sempre per un' in– fluenia reciproca fra le parti della visione e mai 3 seconda di una legge prestabilita e applica– bile in tutti i casi e a tutte l'ore. Da ciò risulta che, artisticamente parlando, io sarò tanto più vero quanto più mi atterrò alle al• terazioni che subiscono nel mio occhio, o, per me• glio dire, nel mio spirito, gli oggetti posti dinanzi a me1 collocando avanti o indietro o sullo stesso piano; ingrandendo o rimpicciolendo le cose e caricandone o attenuandone i colori, non secondo mi suggerisce una fredda esperienza; ma secondo mi comanda la mia sensibilità d'artista. Valendomi, in una parola 1 come fanno i grandi moderni e come fecero i grandi primitivi, della prospettiva psicologica anziché di quella geome– trica. * " D.lµ' ORMAZIONI DELLE COSE SECONDO LA LUCE. - Ciò che più frequentemente si r;m. provera all'artista moderno è di non rispettare, di violare, di \'iolentare, di sLravolgere le forme delle cose che rappresenta. Allorché si vede, poniamo, un cassettone ammaccato o arrotondato negli .m– goli che dovrebbero essere affilati e diritti, una scodella bistorta invece che tonda, il marmo di una tavola avvallato anziché piano, un mobile, una persona, una colonna fuori cl'equilibriò, si grida allo scandalo, o si afferma tranquillamente che l'artista non sa il suo mestiere. Orbene, anche questa \"olta si ha il torto. Gli è un portare an– cora nell'apprezzamento delle cose dell'arte dei criteri scientifici e pratici dei quali l'arte non può tener conto in nessun modo. Che gli spigoli di un cassettone son diritti, che una scodella è tonda, che il marmo di una !?vola è piano ecce– tera, son cose delle quali ci siamo persuasi me– diante un'esperienza visiva o tattile fatta a sangue freddoi giorno per giorno, in condizioni diver– sissime d'ambiente e di luci. Sono verità ammesse da tutti, \"erità che nes– suno pensa più neanche a porre in dubbio ; co• statazioni comuni e che sen•ono mirabilmente per l'esercizio quotidiano della vita. Senonchè l'artista che guarda sempre le cose come se le vedesse per la prima ,·olta e ne cerca e ne co– glie, se ha del genio, l'aspetto caratteristico che assumono in un certo momento, in un momento s1~eciale, originale, unico, senza curarsi nè ri• cordarsi di quel che lii! sa o, meglio, ne ha sa• puto per altre vie, l'artista non si ,:ura di tali verità. Esse non sono quelle della sua visione attuale. L'artista osserva e ritrae quel che \·ede, come lo vede. E siccome basta il più lie\·e cam– biamento nella disposizione delle cose, la più leggera alterazione ùi luci e d'ombre, un rav– vicinamento di colori, un riflesso, per modifi– carne l'aspetto 1 cosi le cose stesse, lungi dal– l'apparirgli con forme costanti e in certo modo assolute, gli appariranno invece trasfigurate ogni volta secondo le varie condizio11i cli vicinanza e cl' illuminazione. ì\la prendiamo un esempio tra mille. Immaginiamo che l'artista abbia davanti a sè una boccia, un vaso, un uomo, delle frutta, un cane, una seggiola, un essere, una cosa purchessia, un oggetto qualunque che a una certa ora ciel giorno, in un dato ambiente, sia illuminato in un certo modo. Immaginiamo - per pigliare oggetti di forme nette e definite - ch'egli abbia da\'anti una boccia e un bicchiere, posti sur una tavola, vicino a una finestra. La luce potrà venire da destra o da sinistra, a pia– cere, di sotto, di sopra o cli sbieco. I.a botti~lia è tonda, il bicchiere é tondo : i loro profili sono rej?olari, simmetrici. Il bicchiere è un piccolo ci– lindro, la boccia una sfera sormontata da un tubo cilindrico. Un raggio di luce batte sul collo della boccia e sur un punto Jella sua pan– cia: lo stesso raggio colpisce il profilo e l'-orlo del bicchiere, scintilla fra le scannellature del vetro, si rifrange in più punti, rimbalza da una · cosa all'altra, si riflette sulla tavola, erta om– bre t: scintillamenti qua e là. L'artista sa che i corpi che vede sono entrambi simmetrici. rego– lari. L'esperienza di tutta la vita e di un minuto fa glie!' ha insegnato. ;\la ecco che una meta– morfosi s'opera sotto il suo sguardo allucinato. Ecco che la boccia e il bicchiere !;embrano di– latarsi e svincolarsi nella luce. La pancia della boccia si deforma. Il punto colpito dal raggio brilla, s 1avanza, s'acumina, 111entre la curva del profilo opposto si deprime, rientra come per un'aspirazione del raggio lumi110s0. Il bicchiere suhisce esso pure una defigurnzione. Non è più un cilindro, ma 1111 rettangolo piatto ; anzi non è più neanche un rettangolo, ma 1111 parallelo-• grammo inclinato. Nella ridda cromatica e lu– minosa la bottiglia e il bicchiere hanno perso il loro equilibrio: l'ombra che proiettano sul piano della tavola ha divorato il contorno delle loro basi. Bibloteca Gino Bianco 399 Or chi non capisce che un tentativo qualunque di riportar quegli oggetti, cosi o altrimenti tra– sfigurati, alle loro forme inanimate, ricostruen– done la verità oggettiva, empirica, sperimentale, sarebbe tanto assurdo quanto quello di un dram– maturgo il quale essendo stato impressionato dalla disperazione di uomo, cercasse, per render più u– mano il suo stato d'animo, di ricordarsi com'era durante i momenti calmi della sua vita? Chi non capist:e che il carattere vero di quelle coSe, le quali sono appunto, non meno che gli esseri, le dramalis persouae dell'artista, risiede per lui nel nuovo aspetto che hanno assunto ai suoi occl11 ? Nella sua eccitazione lirica l'artista non può tener conto se non del fenomeno che l'ha pro– dotta, nè rappresentar questo se non precisa– mente nella sua appare117a attuale. Questo prin– cipio è stato, non sistema~camente, ma per pro• pria forza intuitiva, applicato nelle sue opere dal pittore francese Paul Cézanne. · SEMPLICE OSSERVAZIONE. - Se si po• tesse esporre in fila, per ordine cronologico, e abbracciare con un solo sguardo tutti i di– pinti fatti in Europa dal tempo dei bizantini ai giorni nostri, si vedrebbe con maraviglia come ogni pittore, per circa tre secoli e cioè dal cin– quecento e tanti fino agli inizi della scuola mo– derna francese, che possono fissarsi al principio de!Pottocento, sembri essersi attenuto a questo assurdissimo <letto di i\lichelangiolo: « Io dico che la pittura mi pare pil', tenuta l>uona, quanto più va verso il rilievo•· Cioè verso la scultura. In– fatti durante tutto quel tempo i pittori occidentali, tanto italiani che stranieri, ma specialmente ita– liani, non fecero altro, se ben si considera, che opere di chiaroscuro. Tranne in alcuni veneziani, nessuna sensibilità per le innumerevoli variazioni di luci e di toni, nessun amore nessun studio del colore. Quattro o cinque tinte sempre le stesse nelle loro graduazioni, per imitare il ri– lievo delle cose, e basta. Il colore squisito, arioso, festoso, chiaro, ricco, magnifico nei bizantini, (penso specialmente ai superbi mosaici del ve– stibolo di San Marco di Venezia) e in alcune pitture di Giotto, cieli' Orgagna, del Beato An– geliro e del Masaccio, diventò, all'epoca della cosiddetta rinascenza, monotono, povero, buio, peso1 opaco e insignificante. Soltanto da una cinquantina d'anni in qua si risente e si rivede la luce. E non solo la luce. Dopo quella pittura da galeotti siamo rÙornati all'amore appassio– nato e alla comprensione nativa della natura e delle sue infinite magnificenze. Ardengo Soffici. HAENDEL Un nuovo libro di critica musicale di Romain Rolland è di grande interesse per la musica. E veramente questo su Haendel è forse uno dei più bt::lli che il valoroso romanziere e critico francese abbia scritto. Sebbene non sia possibile da questo volume arguire il definitivo valore c,·itico di tutto lo studio, non formando esso che una prima parte storica su 11 aendel, 1l11aquale sarà complemento necessario una seconda parte in cui verrà analizzata l'opera musicale (come spesso ripete il critico); pure questo frammento all'erra subito l'attenzione per il carattt!re quasi direi di 1·omau::ostorico che la delitiosa atte narrativa del Rolland ha potuto dargli. Cosi il seicento musicale ci sfila dinanzi in una serie di quadri storici- tutti destinati a far meglio cam– peggiare la grande figura di l-laendel, il mera– viglioso e incredibile fecondo creatore, le vi– cende della cui vita, nei momenti più tragici e solenni quanto nelle più tranquille situazioni in– time, sono dal Rolland rappresentati con quella sua flessibile prosa che sa portare con sè a fiotti legg;e;i e scorrevoli la congerie più disparata di fatti e di elementi disparati. Giacchè,· come già ebbi ad c.,sservare altra _volta studiando l'opera del Rolland critico e artista, l'immensa erudi– zione muskale del Rolland non si assomma tutta e si concentra in un vero e proprio contenuto critico music.\le, ma, per dir così, si organiz-za in nuclei intuitivi e fantastici, da cui esce quasi sempre un'opera di immagina:ioue st01·ica, più che il taglio \·igoroso d'un' opera critica nel senso veramente filosofico della parola. Così la personalità dello I laendel, sia essa studiata nel suo muoversi nélla vita romana, veneziana, te– desca, londinese del seicento, sia essa accennata rugacementt: nelle sue opere musicali (s'intende che su queste il Rolland nel libro presente non fa che una rapida corsa, riserbandosi pit) tardi a farvi sopra un più largo studio esegetico) ; è sempre \'edma da un punto di vista psicologico•rappre– sentativo_. che la mette a paro delle figure psi– cologicamente già rappresentate dall'autore, Ber– liuz, Gluck, Beetho\'en, 1\lichelangelo. Anzi si potrebbe dire che, sotto questo rispetto, qua-

RkJQdWJsaXNoZXIy