La Voce - anno I - n. 39 - 9 settembre 1909

158 OIOV ANNIPASCOLI I. C' è fra questi N11011; podmt'lli una poesia, non certo delle mip.liori 1 che, nel bre\·c giro di poco più· di venti \'ersi 1 ci melle soll'occhio tutto il fondo dello spirito pascoliano. Non tanto nel senso che l'intimità d'un tempe· ramento artistico è fatta perspicua, a chi sa ben discernere, pur da una coppia di \•ersi, e, magari, dal semplice modo di punteggiare, quanto perchè v'è tutta espressa, per riguardo al Pascoli, quel\' umani1i11 che non è la bio– grafia dei pedanti o la frenometria degli em– piristi, ma è base alla stessa sua al'le, sicchè a lei bisogna risalire per intender di que· st'nrte qualsiasi m:inifestazione. Un'oscura voce consiglia pace ad un pri- gioniero che si ribella : Prendi infelice, il tuo dolore in p~ce ! , Perchè? :t Tu, perchè gridi, urti la 1>0rta? e t>erchè dolore è più dolor, se tace ... Se lo nascondi, frutterà. Sopporta. Attendi, sper11 .... e O vanilà ! Non spero. Non credo» Eppure ... e Dio non è!> Che importa? C'è del mistero intorno a te...... e Mistero? lo non lo vedo :t, Ciò che tu 11011 vedi, O prigioniero, è un altro prigioniero; e un allro e un :\ltro. Hanno nei ceppi i piedi. ... e Anch'io> Presto la morte, ora catene! e Anch'io> Dunque tu sai, dunque tu credi. Non li destare! e lo, dormo forse? > Ebbene? Se vuoi parlare, parla si, ma piano; canta, se vuoi, ciò che dal cuor ti viene. Canta, ma un dolce canto, esile, vano, che su la piuma delle sue parole li porti in collo al loro amor lontano: cautalo quello che nel cuor ti duole! pfang,rno anch'essi, ma dormeuclo ancora ! chi 1>iangc in sogno, è giunto a ciò che vuole, è giunto alfinc a tutto ciò che implora invano. Canta; e l'anima pugnace tua placherai. Ritroverà l'aurora anche te forse addormentato in pace. La poesia del Pa5coli, disperazione di cri– tici e di contradditori di critici, ci apparirà resultato naturale, conseguenza necessaria, e perciò non pili qualcosa di avversabile nelle sue limitatezze, sibbene da ricercare e rigo– dere nelle! sue forme espressive, dopo averne compresa e dominata l'intima ragione, se riu• sciremo a determinare di che sorta sia ciò che ne costituisce il fondamenta! contenuto; e poichè questo contenuto è dolore, di qual sor1a sia il dolore di questo poeta. Ora, appunto, la poesia che abbiamo tra– scritta ci dà la formula del dolore pascoliano. Un dolore perfetto come quello di Leo• pardi si concentra, si cristallizza in prismi cupamente diafani, traverso i quali i momenti supremi della vita umana appaiono una volta per sempre eternati in una luce calma e so– lenne. Il dolore di un Carducci, motivato da errori e vizii circostanti che il volere e la coscienza dell'uomo posson correggere ed annullare, cerca e trova come sfogarsi, di venia satira insulto vendetta. Il dolore di un Shelle,·, non immediato come questo, non insanabile come quello, si rifugia nei mondi fantastici, anticipa nelle Atlantidi del sogno le palingenesi avvenire. Quel primo dolore vuole un'assoluta rinunzia. L'altro un'assoluta fiducia, benchè mascherala sotto r ira e lo scherno. Per le risoluzioni dell'ultima specie si dimanda un fantastico ardor senza freno, non già impacciato, com'è SO\'ente nel Pascoli, da bisogni estranei; capace, se mai, di ardere g\1 impacci nel suo fuoco, e di estrarre , 1 io lentemente, anche da essi, poesia. Quasi unico è quel primo dolore: il suo nome è Leopardi. Il secondo è degli Ome• ridi, allorchè l'abbagliante grandezza epica si sfrantuma contro le prime contrnddizioni d'una reali:\ imbastardita, e èla Omero nasce Archi• loco. Il terzo è degli Orgiaslici, mistici dello spirito o della carne. li dolore del Pascoli non è di queste sorta. Non si volgerà mai contro le sue c,mc:e proc;. sime. l'rendi, infelice, il tuo dolore in pace. O se anche crederà di forlo, noi vedremo queste restar sempre come un che di indirfe• rente, che 1 nella nostra analisi del la sua pot:sia, tro\·eremo nel fondigliolo, come una polvere di marmo che fosse stata versata in un bic• chier d'acqua. La , olontà di una diretta presa LA VOCE di possesso tlel proprio dolore non genera in lui, pii1 sovente, se non un germe di idea poe– tica, sul quale. come uno sciame di farfalle 111torno a un ramo fradicio, palpita una fiori• tura di isolate immagini vive. E cosi è, ad un modo, dei dolori politici, civili, cosmici, ecc.; l'emigrazione e il pianto delle stelle ; che commuovono e spingono il poeta, ma sol• t.11110per un gioco curioso di equivoci inte· riori e di controsensi. Ed è, d'ahronde, il suo, un dolore che, non esteticamente sohanto, ma quasi cristia– i,amente si conforta, avendo in ceno modo coscienza di contenere un germe di pcrfe1.ione e di santità. • Se lo 1H1~011di, frutterà. Sopporta, • atte11di, spern ..... >- È il dolore della remminetta del Manzoni - fu scritto - tolto dalla tutela di Dio. e Dio non è! > Che im1>0rta? C'è del mistero inlorno a te...... E Dio come mistero ritorna in molli altri luoghi delle poesie e di questi poeme11i 1 (La pecorella smarrila, la verti'gù,e ecc.); Dio fan– tasticato, insomma; tutt'al pill come sentore; Dio ancora informe. C'è una divinità su questo mondo, ma una divinità senza volto, una didnità interrogativa. il mistero. Non mistero di questo problema della vita umana o di quest'altro, ma il mi– stero per il mistero: il mistero senz'altro. Non siamo ali' irrimediabile del Leopardi, non al preciso trascenden1e religioso del i\lanzoni. non siamo all'umanità (lddio Storia) del Carducci. Ed è un dolore 1 sì, che anima del suo fiato ansimante questo mondo, ma e un dolore senza perno; ugual sentimento per la lagrima del bimbo che perd~tte la monetina e non la ritrov:1 1 come per le angosce stellari. Un dolore st:nza perno, perchè rom:rnticamen1e fuori di ogni rispondenza e possibile· deter– mina1.ione storic,1 1 che non manca al dolor di un Leopardi 1 d'un Shelle)', d'un Carducci j a meno che per istoria non si intendano gli artitici architettonici dei poemetti migratori i e delle odi. Ho detto dolore. Ed or quasi neppur più direi dolore, quanto frenesia di mistero; tourisme del mistero. Se è stato possibile de finire l'atteggiamento fondamentale del d'An· nunzio dilettantismo sensuale, si potrebbe de· finir questo, dilettantismo fantastko senti men• tale. Ripensiamo un istante al tempo del Carducci e delht sua grande poesia. C'era già, in halia 1 come un sentore di cose inespresse, che do– vevan poi riscendere nella nuova poesia 1 come circolavan libere nel!' aria poetica di Europa 1 ma che il Carducci avea con atto violenlo scacciato d'intorno a sè, quasi per– chè non lo disturbassero nella sua sublime fatica. Non è segno del ripalpitante decorativo cattolicesimo sulla carcassa del decadentismo, nè, tampoco, di continuità col cattolicismo manzoniano, la fede di comunardo dugentesco che commuove certe poesie dell'ultima ma– turit~ del Carducci. I circostanti misticismi, gli idealismi, i sensualismi, spruzzavano sulla lama d 'acci:i.io della sua cultura senza lasciarvi trac– cia. Un Omerida egli fu chiamato, e a ra– gione. Perchè egli ebbe risalite definitiva– mente, colla forza del suo amore e della sua chiusa :ingoscia, le calme cime ideali dalle quali la vita italian<l sembrava per sempre ri– mola, o alle quali non sape\'a riafferrarsi che parzialmente, con impelo mal sicuro, quale di un uccello ferito, in quelle vittoriose incertezze che si chiamano. per non pensare che ai piu moderni, Foscolo, Leopardi 1 Man· zoni. Poeti grandi e grandissimi costoro, come grandi poeti c'erano stati fra essi e la rina– scenza. M:1 la loro umanità era costreua, vio· lentata, ribelle 1 rassegnata, di~perata, conquista del loro eroismo. Se ri(luha senza corrom– persi nel pigro fiouo della vita circostante e l',rnimavn e non si corrompeva, era soltanto perché essi erano ariisti di coscienza storica formidabile, e sape\'ano fortificarla di tutta hl tradi1ione. La specchia\'ano castamente in pa· role che non paiono a prima vista dissimili dalle spoglie e vuole parole della prosa di tutti, e in quelle parole essa si perpetuò quasi inaHertita. V'era e v'è, ma in un modo che quasi non si vedeva nè si vede, tanto la per· fusione fu profonda e so1tile. Ond'è che la lelleratura italiana, ad un lettore comune, può far I' erfetto di un corridoio di poco dissi· mili stingi. Certo, la forma nella qu;.Je essi fusero questa loro umanità, anche se la para• gono soltanto alla nudità carducciana, non dico al nostro florealismo, m'appare fin troppo compatta e severa. In confronto ai nuovissimi poeti, .essi possono dar quasi I' idea di non avere un'anima 1 di non possedere un segreto. Perchè la loro espressione ha la calma del definitivo, coglie il resultato, non il processo nelle sue movimentate contraddiiioni. Il do• Jore della poesia d' un Leopardi è come lava che ha bruciato e si pietrifica. E stanno, essi, nel pudore del proprio genio, che appunto non ciarla il proprio segre10. Un'aria comune li affra1ella in un Pantheon di vita grave, pubblica, di tulli, che poteva restar segreta alla piccola coscienza contemporanea, ma si schiude alla luce del1 1 éterno: d'una \'Ìla st:m.a tortuosi sottintesi, classicamente ignuda, tran– quillamente espnnsiva, appunto pt:rchè sa espan· dersi in poco. Giosuè Carducci \'ive in queslo Pantheon. Ma accanto alla tran4uilli1à di queste estreme consapevolezze, come un'ingenuità primitiva, l'unrnnità che era in essi sogno o negazione o vertice di conquista(,) è in lui equilibrio spontaneo, perfetto. La nostra tradizione, grave di tanta matu· rità, arriva per virili sua a rifarsi ingenua. E fin nella forma più intima della migliore opera sua, nelle 0,/i Barbare questo fatto è significato. Chè fiorisce là, nel rigoglio piit evidente e vigoroso, quella tendenza che il De Sanctis aveva avvertita nei Sepolcri, po– nendoli alle soglie della nuova poesia. I.e forme, come già nella poesia greca, vogliono dagli stati poetici nuovi balzare in atteggiamenti radicalmente nuovi. La conquista segnata. dal carme foscoliano ingigantisce nella conquista della nuorn ritmica, che si riallaccia ai clas· sici latini e agli umanisti 1 affermano e ere• don di prov:ire i pedanti, pei quali, com'è naturale, nulla può esistere che non derivi. Ed ecco, in questa condizione di cose, :1p• parire due grandi poeti di dh•ersissimo tem– peramento e forza di~parnla, ma, in e~ual modo, forse i più nativi ed elementali che la nostra poesia abbia mai avuto. La civiltà li può complicare, li può falsare, ma lutto ciò che essi fanno, tutto ciò cui tendono, tutto ciò cui la loro pocsi'a inevitabilmente li con• duce, è rimettersi in uno stato primi1iv:1men1e doloroso o sensuale, che è il fondo del loro temperamento. Non rimettersi nel senso che la poesia, come tutti sanno, è verginità che ripalpita e guarda sul corso comune delle cose, anche la poesia di un Euripide, anche la poesia di un Goethe. i\la in una coinci– denza primitiva di coscien1a estetica e morale come « quando Venere non era ancora uscita dal grembo della natura, quando la forma non era ancor nata >. « Se vogliamo incontrare ancora un poeta, rifacciamo il cammino del• l'umanità e di forma in forma, di tomba in tomba, giungeremo a quei formidabili inizii, quando Venere non era ancora uscita dal grembo della natura, quando la forma non era ancor nata, là troveremo I' uomo faccia a faccia con l'infinito, nudo e solitario an– ch'esso; I~ incontreremo Leopardi, Goethe, Byron, là incontreremo Victor Hugo. L' infi• nito è il molto del poeta moderno; è la p3· rola con l:t qu:ile comincia ogni nuova Ge• rusalemme, il verbo di Mosè e di Dante, il Potere ascoso di Leopardi ». Anche Gabriele D'AnnunliO e Giovanni Pascoli, nei lor modi, vivono complelamente in questo cospetto im– mediato. E noi li \ 1 ediamo richiamarsi alla natura, come a quella che, meglio di ogni altra cos:1 1 può contenere e rappresentare la loro indeter– mina1a inquietudine. In certi suoi canti, il Car· ducci (cfr. il Canio di ft1ar{O) ci aveva dato scorci di poesia naturale, come dicono; tulla cose. Ma il suo naturalismo si risolveva poi sempre in un'esaltazione umana, e il fervore (1) Si ripensi il mito del Foscolo cantalo, nell,l sua 1riste1.z,1, nei Sepolc,-i; nel suo pittoresco, nelle Crn'!ie; l'uomo che Leopardi si torme11tava di non pott:r t:ssere, e che il moudo gli st:mbrnva hw;1- p:1ce a poler esprimere; ciò che I' Alfied \'0leva essere, ruggendo, a grnn fuoco di rettorica e cli pa.sssionc. Bibloteca Gino Bianco e l'impeto del poeta, inebbriati dalla co• scienza della simpatia universa, fio,h·ano nella. celebrazione dcli' a1ione, nel!' invito all'eser– cilio della bella possente umanità. O sarienti da' marini pascoli vacche del cielo, grigie e bianche nuvole, versate il latte dalle mamme tumide al 1>ianoe al colle che sorride e verzica, alta selva che mette i primi pal1>iti... ChinMevi al lavoro. o validi omeri; schiudetevi agli amori o cuori giovini; impennatevi ai sogni, ali del\' anima ..... Di1irambicamen1e l'uno, idillicamente l'al- tro, questi nuovi poeti, dal loro vacuo intimo errore si rifugeranno, si verseranno continua· mente, invece. in un naturalismo senza sfondo. L'uno: Chi mi consoler!I, mentre vivo sotto cieli pur dolci, chi mi consolerà dei soli spenti, dei giorni caduti? Poggi di Fiuole, chiari sono i \·ostri ulivi e fo-=chi i vostri cipressi, e i ciriegi i maudorli i meli son bi:mchi son rosei negli orti di Verde• Spina e di Laudomia murati, oggi che la Primavera im1>rovvisa coglie alle spalle il lanoso Febbraio e con I;\ sua tepida forz.t riversagli il capo e gli chiude le palpebre con le sue dita che :rnliscouo di rosm:uino, per baciarlo in bocca e fuggire. E l'altro assopirà l'inquietudine sua, quando baleni di mistero l'agitano di sgomento in• frenabile, nell'improvvisa dolcezza che accom· pagna l'entrare dei temi, dirò cosl, campe– stri, pastorali, nella trama combattuta delle sue musiche. Tutto ciò eh' essi fanno, attraverso la gioia l'uno, l'altro attraverso il dolore, è ricondursi continuamente ad un fatto puro ed ingenuo, ad un modo d'essere primitivo, ove la calma della natura li adagia e d' onde il mistero, o l'ansia moderna, o come voglia altrimenti chiamarsi, li ritoglie. Accanto all'Alcio11e troviamo E/e/Ira; la gioi~sa errabonda sensua– lità del fauno e del tritone scherza con la spada di Armodio e con l'arpa dei vati. Le Myricae e i Cauti, piccole modulazioni, iri· descente lagrimali, giuochi di un sogno e di un suono per mille iridi e 1)1ille bocche, riempiono, nella mente di chi ripensa l'opera del Pascoli, le pause sorde, i silenzii torbidi delle Odi, a quel modo che un mare di pra– toline e di ciclamini umidi sotto le brine di settembre allaga i vani scabri cli una sca• gliosa petraia. Dal!' Alcione si passa alla Laus Vitae e da questa a Più che l'Amore. Ritmo che nel Pascoli è più trito, sfranto strofa per strofa, in quella misura che il suo tem– peramento poetico è meno ricco, maschio, af• formativo. Ma la nausea civile, le pseudo filo• sofie barbariche del!' uno, la reatione anti• scientifica dell'altro, ripetono analogamente e ingenuamente. mentre pur sembrano espe· dienti vilupposi e 1utt 1 altro che ingenui, il pro• cesso per ritornare a quella coscienza ignuda. Tutta la loro opera sembra una crisi, una catarsi con1inua, attraYerso la quale uno stato fondamenta:e, continuamente sommerso dalla pienezza delle impressioni e dei contrasti, con– tinuamente si riforma, palpita nudo, infantile; crudelmente, perigliosnmente combattivo e sensuale nell'uno; doloroso di un.dolore senza ghirlanda, anzi balbettante spesso in una quasi ignominosa puerilità, nell'altro. Perciò hanno ad un tempo ragione coloro che celebrano l'idealismo nella loro opera, e quelli che ne fanno consistere la parte vitale in un' affer· ma1.ione sensuale della realtà, boeckliniana– mente orgiastica nel d'Annunzio (sensualismo· panteistico), fantastica,nente sentimenlale, ma appun10 per 4uesta sentimentalità limitrofa del $ensualismo, nel Pascoli. Non sono le opere d1 questi poeti :iffermaiioni di una pre– cisa coscienza d'uomo I! d'artista, che tumultua perchè crea, m:1 è $icura nel le fondamen1a delle sue persuasioni, dei suoi fini, come la coscienza di un i\\anzoni o di un Carducci. Idealisti sembrano nello sforzo, e sono ani• malmenle ingenui nel!' espressione placata della loro intima essenza, nella loro carnale felicita e nel loro cieco dolore. Cos'è il si– stema umanitario del Pascoli se non un pro· cesso per rinfocolar sempre il proprio dolore, mantenerlo ad uno stato di freschezza co·

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