L'Unità - anno IX - n.1 - 1 gennaio 1920

Quelle tutte cut noi ora siamo abituati a volgere la mente, e che per questo solo hanno un'ombra di vita, derivano o dagl' istituti feu– dali, o dagli Stati sui quali fu eretta la nuo\'a Italia. Dobbiamo dimcntfcare tutto ciò; non vi è nessuna ragione per tenerne calcolo. Le cir• coscrizioni delle Provincie attuali sono sorte durante il nostro ri.')orgim.ento; formano quindi l'unica base dell'unica trad\zionc cui possiamo e dobbiamo accedere. Ritengono molti che il sostituire la Regio• ne alla Provmcia sia un presupposto neces• sario per giungere al decentramento. Non lo cred?· Il clecentramcnto poggia su due prin– cipali fondamenti: 1° diminu.ire le funzioni dell1_autorità pubblica in genere e lasciare più ampio campo alla libera iniziativa privata.: .2° togliere ali' autorità centrale e rimettere all'autorità locale la decisione de!initlva degli • affari locali, salvo l'istituto della giustizia am- 1Dinistrativa. Questi duè fondamenti sono del tutto indipendenti dall'ampiezza delle circo– scrizioni territoriali. 3°. In ordine alle funzioni di diretta am– ministrazione da affidarsi alla Provincia quan– •do fosse accettato il principio fondamcntaìe da me sopra svolto, io opino nel senso siano, conten~te in stretti e ben definiti confini. A mio avviso va allargata la sfera c\'azione dei Municipi, previo allargamento delle loro .circoscrizioni tet:ritoriali, in quanto che il Mu. nicipio è l'Ente pubblico, che, as$ai più della Provincia, trae la sua ragione di vita dalle condizioni naturali della convjvenza delle mol– titudini, e risponde agli elementi pili. fonda– mentali delle 'tradizioni e dei caratteri della •civiltà latina. S~Ua natura e sui limiti di tali ,, funzioni si può divagare ali' infinito, e giova ,su ciò attendere ,il progetto che s'arà redatto dalla Commissione Reale. ' Lo stesso deve dirsi per quanto ha tratto alle finanze:, l'ordinamento delle quali è su– bordinato ali 'ambito dei servizi pubblici, cui la ·Provincia dovrà provvedere. Certo é che su tre p~nti si dovrà essenzialmente insistere: in primo luogo sulla necessità che I' imposta provinciale gravl su tutti i redditi dei citta– dini, senza esclusion~ o riserva; in secondo luogo che nelle fonti tributarie a lei assegnate la Provincia trovi <;uanto le occorre per prov– vedere alle .sue funzioni, e sia totalmente abo– lito H sistema dei volontari concorsi, o C<;>n– tributi, o sussidi cla parte dello Stato, cagione non ultima della corruzione, che nella vita politica è andata da treot' anni dilagaiido in modo taoto pernicioso: in terzo luogo che la potestà d'i gravare i contri~uenti sia determi– aata con limiti larghissimi, ma certi, definitivi, ,e veramente insuperabili, connessi cogli isti-, tuti della giustizia amministrativa, e colla ef– fettiva perso~le responsabilità degli aruruioi– stratori. 40. Infine, in ordine al modo di costitu– zione degH organi, che devono dirigere la Pro– vincia, io ritengo non Si debba sotto nessun riguardo discostarsi dal suffragio popolare dì. l'etto. Infiniti e svariati guai i teoretici e gli sto– dei hanno attribuito a tale metodo, e molti <li tali'guai non possono essere onestamente', disconosciuti. Seoonchè, nelle istituzioni uma– ne nessuna è scevra di vizi, ed è d.a eleggere· quella, che, in confronto delle altre, trae seco il maggior bene e il minor male. Il suffragio popolare e gli istituti democratici, che ne sono h corollario, hanno sempre contribuito all'•u-. mano incivilimento assai più che non qualsiasi altra forma 9i istituti pubblici. Le grandi ci- ' viltà classiche, e le grandi civiltà mòderne 'rurono e sono compagne delle istituzioni demo·– cratiche, e i mali e i vizi, che queste alimen– tano, andranno scomparendo di mano in mano che le classi colte anziché allontanarsi dalla •vita pubblica, imporranno a se stesse, come un dovere infrangibile, di prendervi parte non ,col deu~stabile proposito di farsi sgabello della ignoranza e della credulità delle plebi pe_rsa– lire, ma col proposito di diffondere fra le mol– titudini le cognizioni n~cessarie a mettere ~ia– scun cittapino in condizione di poter giungere colle sue forze mentali a farsi un concetto suo proprio dei pubblici affari. Ha ragione, sotto questo profilo, la Deputazione di Chieti, quan– d.::,invoca la rifotma dell'_ordinamento della .scuola, e chiede la sua liberazione dalla bu- L' UNlTA rocrazia di Stato. ì\la tale invocazione non basta: è necessario aggiungere che è il crite– rio fondamentale 1 cui si ispira la pubblica istruzione, che deve essere cambiato. i\on deve proporsi l'istruzione, come purtroppo ora si propone, di insaccare nel cervello dcli' alunno una quantità di notizie la cui riunione costi– tubce .un così detto « ,\lamia le scolastico » e la cui' recitazione a memoria form.1 il criterio esaminatore per dichiarnre sapiente l'alunno, allo scopo unico che egli possa installarsi in un impiego o conquistare il monopolio di C• sarcitare una professione. li metodo che l'istruzione deve seguire è uno solo: aumentare la potenza mentale dcl– i' alunno, onde egli, nell'usare questo meravi– glioso istrumento, possa g;ungere di mano in mano di sua iniziati\"a sotto la sapiente, ma quasi inavvertita guida del maestro, a impos– sessarsi di cognizioni sempre più estese ed in– tense. Con questo metodo, non solo si diffon– derà e si innalzerà il grado del sapere nelle moltitudini, ma si renderà altresì più robusto il senso della dignità e della responsabilità personale e con ciò contribuiremo a diminuire i vizi attribuiti agli istituti democratici, e quinèi ·a renderli più proficui p~r il progresso umano, e nello stesso tempo più solidi. Quèsti istituti hanno trionfato anche in questa grande guerra mondiale, e abbiamo ancora una volta nella storia del mondo con– statato che l'amor patrio, il Sentimento della giustizia, della eguaglianza e della fratellanza hanno saputo vince~e l'auto~razia, benchè que– sta da decenni si preparasse, con meditati pro– positi, con armamenti straordinari con una rete "di spionaggio meravigliosa, all'attacco im– provviso e proditorio. Questa fiamma imperitura di patriottismo e di giustizia, che al momento opportuno, nell'incessante cammino del tempo, prorompe nel mondo a rigener3:rne gli istituti, e a farli procedere più alacremente ·nella via del pro– gresSo, questa fiamma sca~urisce .non da altra sorgente che dall' ,nima democratica delle nazioni, e dobbiamo quindi non ostaaolarla ma amarla, custodirla, facilitarle il cammino con .tutti i mezzi, che siaoo a nostra disposi- zione. ALBERTO .PRIORA. Aumentiamo le esportazioni Il BOiiettino di Notiz)'e commerciali del Minis~ero d'Industria e Commercio tra<!_':1-ce dalla rivista The Stal(st di Londra (27 settem– bre) un articolo, su l'esj>(Jrla=ùme dei vini ila-\ liani, che dovrebbe essere seriamente meditato da chi,.si occupa del futuro assetto doS'anale del nostro paese ed anche più da chi è çfo– stamente preoccupato dalla proporzioni enor• Jlli della sbilancia commerciale e dall'ascesa continua e paurosa del cambio. Non si tratta, per la maggior parte, di cose nuove; m~ è generalmpnte dimenticata la po• sizione preminebte che occupa l'Italia nella produ~ione mondiale del vino, e' riesce inattesa a moltissimi la notizia che essa, con i suoi 42 milioni di ettolitri, pFodotti in media annual– mente nel ·periodd prebellico, (nel 1913 rag• giunsero i 52 milioni) occupava il secondo posto dopo la Francia (48 milioni), e rappre– sentava quasi un terzo della intera produzione mondiale (140 milioni), mentre a notevole di– stanza dopo di lei veniva la Spagna con l5, l'Austria Ungheria con 9, l'Algeria con 8, il Portogallo con 5, l'Argentina con 4 e mez1.o. Dopo. la guerra la situazione si è modifi– cata in favore dell'Italia: la nostra produ1.io• ne è diminuita, ma in proporzioni assai mag– giori è scemata la produzione francese. In tutti gli Stati Uniti ed in tutto il Regno Unito, scrive la rivista inglese, le cantine di vino sono in ge– nerale v·uote ~ commercianti e privati non han– no più alcuna riserva. Vi è quindi un mer– cato che attende di essere rifornito in pro– pòrzioni tali che- a memoria dei più pratici il commercio del vino non ha mai esperimen– tato. La Francia non è per il momento in grado di trarre profitto di questo mercato. La conclusione, che da questi dati di fatto ricava l'articolista i?;glese, che cioè l'I– talia dovrebbe approfittare di questa situazione favorevole per intensificare la sua esportazione di vinn e contribuire con ciò a migliorare la bilancia commerciale cd i! cambio, urta forse contro difficoltà gra\·issime sia da parte dei pae!>i importatori che da quella del pae~e , esportatore: da un lato le leggi pr:;ibitive ora vigenti nei paesi anglosassoni, che non sap– piamo fino a qual punto siano rigide ed insu– perabili: dall'altro la relativa scarsità del rac– colto e l'enorme ele\"atezza del consumo ·e dei prezzi in Italia, che non ~on C'Crtotali da in– cvraggiare l'esportazione. ì\la a compensare l'elevatezza dei prezzi interni nominali sta il fatto che oggi il dol– laro è a 13 lire e la sterlina a 52, e che per– ciò un prezzo di 20 dollari o di 5 sterline l'ettolitro s~rebbe effettivamente superiore a quello di 200 o 220 lire che oggi si può rea– lizzare ~ul mercato interno; e che con tali prezzi, facilmente superabili sui mercati in– glesi e amerkan..1 le spese di trasporto ~ di dogana, che finora ave'"ano costituito un osta– colo insormontabile alla nostra esportazione, diventano una quantità quasi trascurabile. Se d'altra parte si pensa.che il raccolto italiano degli anni di guerra, sebbene inferiore a'quello normale, ha raggiu,lto tuttavia una media di 30 milioni di ettolitri , corrispondenti ad un consumo annuale di 90 litri per abitante (don– ne e bambini inclusi), appare evidente come una restrizione del consumo, imposta da così alte ragioni d'interesse nazionale, dovrebbe riscuotere l'approvazione universale. Non do– vrebbe poi essere del tutto impossibi!e ai nostri negoziatori, che ad ogni istante devono mol– tiplicare le loro suppliche per ottenere nuove aperture di credito in Inghilterra e negli Stati Uniti, ottenere invece aoche nell'interesse dei nostri creditori, qualche agevolazione ali' im– portazione di un nostro prodotto, che servi– rebbe come mezzo di pagamento di una parte non indifferente dei g-eneri di prima necessità J:he. noi· dobbiamo importare, e che ••arrebbe a migliorare sensibilmente la nostra situazione monetaria. Quando ali' estero si fossero otte– nute queste agevolazioni, non sarébbe un pro• blema insolubile quello di ridurre il consumo all'interno, ricorrendo anche, se fosse indi– spensabile, ed in via del tu,tto transitoria, al sistema del tesseramento. Basterebbe, per tale via, riuscire a destinare a!P esportazione 5 mi– lioni di ettolitri di vino (appena un sesto della nosira produzione attuale) per fare entrare in Italia in ,cifra tonda un miliardo e un quarto di valuta estera, per aumentare cioè di un , quinto e forse. più il Yalore attuale di tutte le nostre esportazioni. Ma pili. che per il risultato i!uruediato, che oggi forse', a campagna vinicola quasi total– mente chiusa, sarà assai difficil.e di poter ot– tenere, la pubblicazione dello Statisi ci sembra degna di considerazione per ciò •che riguarda l'avvenire del nostro commercio internazio– nale. Anche in questi giorni i fautori del pro– tezionismo industriale han ripetuto contro gli agrari, convertitisi decisamente alla libertà do– ganale, l'accusa di richiamarsi soltanto ai principi teorici e di non saper discendere sul terreno degli interessi concreti, e ricantano sempre la vecchia storia della solidarietà fra industria ed agricoltura, per cui la sola indu– stria costituirebbe una forza dinamica, capace di svilupparsi rapidamente e di creare per i prodotti agricoli un mercato interno di con– sumo sempre più intenso ed altamente rimu– nerativo. In realtà il protezionismo industriale per l'aumentata potenzialità. di consumo vinicolo dei grossi centri industriali, ha determinato una sensibile estensione ed intensificazione della coltura della vite in paesi, che per con– dizione di suolo e di clima, erano i meno adatti a tale coltura; ma nello stesso tempo, coÌl la chiusura quasi totale dei mercati esteri alla nostra esportazione., ha determinato una diminuzione sempre più sensibile .di produ– zione nei paesi, che vi erano più particolar– mente desLinati dalla natura e che da essa traevano le fonti principali della loro :ic- . chezza. Basti pensare che dei 42 milioni di ettolitri che · 1 1 Italia produceva in media, e che in certi anni ( 1907~908) raggiunsero anche i 60 milioni, soltanto un milione o poco più veniva esportato. Tutto il resto doveva essere consumato nel!' interno! Ora, per quanto sia· 3 grande la potenzialità. di consumo del ceto Operaio, essa (per fortuna!) ha pur sempre un lirni!.e, e perciò. in tempi normali, ogni vendemmia abbondante (; .!:>tatasempre ac– compagnata da una rapida discesa dei prez– zi : discesa, che, se è tollerabile per le terre a · coltura mista, C rovinosa per le colture specializzate. prevalenti rnpr~tutto nel mezzo– giorno. Per queste ragioni il timore che ad una intensificazione della produzione dovesse cor• rispondere necessariamente un ribasso nei ; rezzi ha scpraggiato mo{ti dei viticultori me– ridionali e li ha trattenuti - anche per colpa del\' invadenza ed insipienza burocratica dalla rapida ricostituzione dei· vigneti distrutti dalla fillossera, determinando così una conti– nua decadenza della viticoltura proprio in quei paesi che possono dare i prodotti mi– glio'ri, di massima gradazione alcoolica, me– gJio adatti ai lunghi viaggi ed all'esporta– zione. Ma oon è questo il solo danno che dal protezionismo industriale e dalla politica com– merciale seguita da tutti i g(?verni è venuto al!a viticultura. La massima causa di debo• lezza della nostra esportazione vinicola è co– stituita dal fatto che noi (tolto il vennouth ed il marsala) esportiamo quasi esclusivamente vini da taglio e che la nostra produzione è frazionata e disorganizzata, in modo che non ha saputo deare pochi tipi uniformi, che pos– sanv guadagnare la fiducia sui mercati esteri. Tali debolezze non sono dovute, come spesso si •ripete, al temperamento italiano, ma sono invece da attrib,uirsi al disinteresse del grande capitale per tale ramo di produzione e di commercio. Il giorno in cui il grande capita– lismo fosse attratto alla coltura della vite, alla lavorazione del vino; al 'suo comm.ercio d'esp'(rtazione, e dedicasse a questa attività' una parte soltanto delle larghe anticipazicini di somme, dcll' intelligenza e dello spirito di organizzazione che oggi. dedica soltanto alle industrie manifatturiere, si riuscirebbe a vin– cere' la diffidenza dei mercati stranieri verso i nostri prodotti, che potrebbero gareggiare con quelli del Portogallo, della Spagna e della Francia stessa. l\fa perchè questo avvenga, bi– sogna non solo che lç>Stato con la sua poli– tica commerciale noo provochi più Ja chiusura di quei mercati, ,ma che, con forme assurde e rovinose 1i protezione, non seguiti ad attirare tutto il capitale disponibile verso. 1 certi rami di attività, come la siderurgia, le costruzioni ,navali, le fabbriche di colori, che non potranno mai vivere di vita propria e tanto meno po– tranno mai alimentare una qualunque espor– tazione. Richiamato invece alla viticultura il capi– tale necessario, eliminate con l'apertura di un più ampio mercato le troppo gravi oscilla– zioni dei prezzi da un anno all'altrò, la pro– duzione del vino potrà estendersi ed intensi– ficarsi in iutt'e quelle regioni d' Italia che . sembran"~ create dalla natura per télle colti– vazione, e la produzione• media potrà facil. mente raggiungere ·e supérare i 60 milioni di ettolitri, di cui non è arrischiato sperare che almeno un quinto possa essere destinato àl– l'esportazione, dato che si tratta· di uo pro– dotto ricercatissimo in tutti i paesi settCntrio~ nali <l' Europa, dove esso fa totalmente di– fetto. Quando una tale ipotesi, tutt'altro che\ esagerata, si a\'Verasse e si vendessero annual– meI\te all'estero Io milioni di ettolitri di vino ad un prezzo di due terzi inf~riore all'attuale 1 • sarebbe sempre un miliardo di lire che per tale via entrerebbe I~ Italia, e la produzione . del vino, oggi tenuta in cosi scarso conto dai protezionisti e dal grande capitalismo banca– rio-industriale, diventerebbe uno dei massimi fattori della ricchezza del nostro paese. G. L. .ic GLI AB BONA TI, che desiderano un cambiamento d'indirizzo, DEBBONO ac, compagnare la domanda con TRENTA CENTESIMI per la spesa di stampa della fa– scetta . .ic .ic .ic .ic YC· .ic •JC

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