L'Unità - anno VIII - n.37 - 11 settembre 1919

rappresenterebbe in tutto e per tutto un mi– racolo di audacia industriale, tale da fare inorgoglire il nostro cuore d' Italiani, se non sorgesse il grave pericolo che di questa gloria nazionale fossimo ben presto chiamati tutti a pagare le spese, e profumatamente: basti dire che per rendere possibile l'estrazione del n1i– nerale in tutte le stagioni s'è costruito a 2700 iÙetri d'altezza una grande caserma ca– pace di dare alloggio a 500 operai e comuni• cante con la miniera per mezzo di gallerie ; che si son costruite o si stanno costruendo due ferrovie funicolari per trasportare i mine– .rali dalla bocca della miniera alle officine di lavaggio e cernita situate 1400 metri più in ba~so; e che di· là una ferrovia elettrica tra– .sporterà il minerale ai forni elettrici, situati nel fondo valle in vicinaaza di Aosta. Per ottenere dai forni elettrici una 'pr.Jduzione .annua di 100,000 tonnellate di acciaio lami– nato si è progettata tutta una serie d' im– pi~nti idroelettrici, capaci di dare complessi– vamente un'energia di 200,000 cavalli, mentre per- ora non si son compiuti i lavori che per 15 mila cavalli. Ma i maggiori progressi dell'industria nei quattr'anni di guerra, pHt che nell'aumento de1la produzione e degli impianti,si manifestano nell'esame dei loro bilanci, negli ammorta– menti, nelle forti riserve, nei larghi dividendi, e sopratutto negli àumcnti enorn\: del capi– tale sociale, che, dopo essere stati di soli 2 mi– lioni nel 1915, son saliti a 53 milioni nel 1916 e a 116 nel 1917, per raggiungere infine nel 1918 la cifra enom1e di 7~5 milioni, dovuta però, per una parte notevole, all'assorbiment~ nelle grandi società siderurgiche di molte im– prese minerarie, meccaniche e navali. La situazione attuale. Anche nel periodo della maggiore espan– sione e della grande fortuna non sono man– .:ate le voci di tecnici competenti e di esperti uomini di finanza, che hanno dato l'allarme contro il pericolo rappresentato dai costi altis• simi di produzione e dalle enormi spese per nuovi impianti che si andavano facendo. Il Di– rettore della Banca d'Italia nelle sue rela• .zioni per il 1916 ed il 1917, segn.ilando la crea– zione di alti nuovi forni, notava che « molti, non senza fondamento· di ragione, si chiedono se vi saranno poi il materiale sufficiente ad .alimentarli ed il, combustibile occorrente a te• nerli .iccesi ,._ Il problema infatti è tutto in questi due punti: Col favore governativo, e soltanto con esso, si• è creata una grande industria in cui la mano ~•opera entra per una parte del tutto secondaria (appena il 9 per cento del costo di produzione), mentre la parte principalissima {più dell' Sj per cento del costo di produzio– ne) l'hanno invece due materie prime, di cui l'una, il minerale di ferro, è vicina ad esau-. rirsi, e l'altra, il carbone, presenta quelle dif– ficoltà d'importazione e quell'enorme costo di noli su cui noQ è certo il caso d'insistere. Se i prezzi del ferro sul mercato mondiale -si do\·essern mantenere al livello enorme rag– giunto negli anni 1916-918, è certo che i s·– ·derurgici avrebbero il tornaconto di spingere innanzi l'estrazione dalle miniere meno reddi– tizie e piì1 costose. di cui si è iniziata o ri– presa in questi anni la lavorazione e di segui– tare ad importare il carbone inglese o ameri– cano a 100 e 220 lire la tonnellata. Ma i prezzi del ferro sul mercato mondiale son già sensibilmente discesi subito dopo l'armistizio, e per poco che la discesa continui, il loro li– vello sarà uguale, o di poco superiore a quello del prezzo attuale del carbone sul mercato italiano. In queste condizioni non solo non vi sarà il tornaconto d' immobilizzare delle som– me fortissime per la lavorazione delle nuove miniere, ma si dovrà anche rinunciare ad una gran ,_parte dell t produzione attuale, ammeno– chè .... non soccorra nuovamente lo Stato e non paghino al solito i consumatori. Ma. si obbiet'l:i, l'impiego del carbone nella siderurgia sarà ridotto a proporzioni modestissime dall'abolizione sempre più larga <lei forni elettrici, che in questi anni di guerra si sono .moltiplicati in misura tanto promet– tente. Senza contare che la sostituzione dell'e– lettricità al carbone non risokerebbe che una ,delle due grandi difficoltà della siderurgia L'UNITA italiana e lascerebbe immutata quella del ra– pido esaurimento del minerale di ferro, si deve pur notare che questa del carbone bianco è una risorsa d1 cui si comincia ad abusare, in modo pericoloso 1 rappresentandola come la panacea che deve guarire tutti i mali della nostra economia. Su tale questione, non vo– lendo addentrarci in una discussione fondata su elementi di costi e di rendimenti incerti e oscillanti, ci limitiamo a riforire il parere di un autorit.'t non sospetta, del prof. Corbino, presidente del Consiglio superiore delle acque: o!C Relativamente agli impieghi dell'energia idro– elettrica per la elettrosiderurgia, diceva il Cor– bino il 1 febbraio di quest'anno nel suo di– scorso d'apertura dei lavori del consiglio, alla presenza del ministro Bonomi, le circostanze speciali create dalla guerra han fatto nascere nel pubblico delle illusioni, che gli indùstriali seri si guarderanno bene dal seguire. Gli im– pianti oggi in progetto costeranno, anche supposto che non durino gli attuali prezzi anormali, una tal somma che in tulle /,: appli– cazùmi, come la riduurgia, nei/e qu~li i'mergù.z e/e/Irica se,-ve solo a sviluppare calore, la stessa q11a11/zlà di calore uhle può ottenersi a mighori conli:;io11ieconomichecol cm·bo11e fossile anche se questo dovessecostare 200. lin la to11mllata. Spe– rare pertanto di fare la grande siderurgia coi nuovi impùmli è 1m vero az::,irdo ecouoimCo, che potè essere ajfronlalo dagli mduslriali solo nel periodo anormale della guerra e col /Jropos1lodi Ùllp&gnare negli impianti, sollraemloli q/i' ErariO, i sovrapro/illi di guerra. In /a/ caso nrJ1l il privala mo lo Stato paga le spese del/' impianto e de;:li sperptn· corn~pondmli ». Negli stessi giorni, in un articolo I he vuol essere una difesa della elettrosiderurgia e che è pubbl_icato nell'organo stesso dèi siderurgici, La A1eta/lurgi'a Italiana, si arriva a conclu– sioni· non molto dive~sc, poichè in esso I' in– gegnere Revessi scrive che, ritornate anche solo in parte le condizioni normali, molti de'i forni elettrici impiantati in questi anni di guerra saranno condannati a scomparire, t resteranno soltanto quelli ottenuti con energia elettrica a basso prezzo e per impieghi spe• ciali, specie per l'industria di seconda lavo– razione e per l'industria meccanica, mentre sarà del tutto im()robabile la loro applica– zione alla grande ,produzione del ferro di prima lavorazione. Sembra dunque da escludersi, finchè al– meno il prezzo dell'energia elettrica ·non scen– da ad un livello assai più basso dell'attuale, (ciò l:he è per ora impossibile dato il costo sempre crescente dei nuovi impianti idroelettrici) che jn essa si possa trovare la salvezza della si– derurgia italiana. I danni del protezlonismÒ. Risulta per tutto ciò evidente che j risul– tati tangibili dei favori concessi alla grande siderurgia si traducono in un passivo gravissi– mo dell'economia nazionale. Infatti: I. ~ i è pro,·ocato con essi il rapido esau– rimento delle riserve di minerali di ferro esi– stenti in Italia; riserve che rappresentano una porzione infinitamente piccola di tutti i giaci– menti di ferro della terra (nella migliore ipo– tesi 20 milioni di tonnellate, su 22 miliardi), ma che tuttavia, in un momento di strettezze e di blocco, pottebbero diventare preziose; 2. si consuma più di un milione e mezzo di tonnellate di carbone inglese in un periodo in cui le importazioni non raggiungono gli s· milioni ed in cui per mancanza di carbone si è minacciati di dover arrestare il movimento ferroviario. Per il trasporto di questo carbone si ten– gono impegnate pili di 200,000 tonnellate, più di un quinto cioè di ciò che resta del nostro naviglio da carico, in un periodo in cui la pe– nuria di navi è la causa pnncipale del nostro malessere economico: 3. si rincara sensibilmente, coi dazi altis– simi sulla ghisa, sul ferro, sull'acciaio greggi o semilavorati, un prodotto di prin~a necessità, la materia prima per le numerosissime indu– strie me~allurgiche e meccaniahe, che nel 1914 impiegavano circa 150,ooooperai e producevano utensili, strumenti e macchine indispensabili per altre industrie, per l'agricoltura, per l'eco– nomia domestica, e tre anni dopo, quasi tota!- mente trasformate in industrie di guerra. su– peravano il numero di -300000 operai. L' ifldustria del fe, ro di seconda lavora;ioue, o i11dustria mtlaliurglCa, la quale dalla ghisa, dal.ferro o dall'acciaio in ,pani, in laminati ed in ,erghe, trae lavori greggi in ferro o in acciaio, laminati di seconda lavorazione, tubi, lavori piallat: o torniti, lamiere, aghi, chiodi, spilli ecc., e l'industria 111ecca111Ca, la quale ado– pra come materia prima i prodotti delle due industrie precedenti e ne ricava macchine d'ogni sorta, avrebbero in Italia una ragione di esistere ben maggiore dell'industria side– rurgica propriarueJ1te detta, poichè non solo rispondono a bisogni assai più diffusi e sen– sibili, ma in esse la mano d'opera ha una parte enormemente più importante che nell'industria del ferro di prima lavorazione, J! di questo pre– ziosissimo elemento della produzione il nostro paese è per fortuna assai ben dotato non solo pcr·la quantità ma anche per la qu:dità. li moltis:Umo che si potrebbe fare da noi, se fosse possibile introdurre in franchigia i pro• dotti, siderurgici, appare manifesto da ciò che si è potulò fare sotto il regime delle importa– zioni temporanee. Il fallo che l' ti1dusl1'ia del ferro di seco11da lavorazio11echiedeog11igiorno1mrmef<lcoitàdi ùn– porla::10ni tempomnee delle materie prime ÙJ fra,1- chigia, ed esporta al/' este,.o quanlllà crescmti dei suoi prodot/J~ è JJrova /im/ndlSsù11a che essa non ha a/fatto bisogM di stampelle prolellive. Invece per colpa della protezione concessa ai siderurgici l'industria di seconda lavorazione non basta al consum:i interno, e prima del r914 si doveva importare ogni anno per circa So milioni ai lire di lavori di ghisa, di ferro o di acciaio. Mentre l'importazione del ferro in masselli era scesa da 525.000 quintali nel 1909, a 127,• oo quintali nel 1912, l'importa– zione di ferro e acciaio di seconda lavorazione (verghe e spranghe, fili, lamiere, rotaie, tubi) · si è mantenuta stazionaria nella cifra di 1750000 quintali. Non mancano le eccezioni d' industrie me– tallurgiche privilegiate, protette da dazi esor• bitanti, che le pongono in una situazione di assoluto monopolio. Primeggia tra esse l' indu• stria delle bande stagnate (latta)' protetta da un dazio di 180 lire per tonnellata, che si ri– percuote' sui consumatori nazionali con un so– vraprezzo del 6o per cento. Cosi le latte da · petrolio e da olio, i barattoli per· consefve, le grondaie eran tutte rincarate di 2~ centesimi al k.S"· a vantaggio di tre sole società indu– st~iali, che producevano in tutto 27 mila tonne!• late a!Fanno e riscuotevano cosi dai contribuenti italiani un t~ibuto annuo di 5 milioni di lire. Fra esse la parte del leone spetta alla Magona d'Italia di Piombino, la qu·ate con un capitale nominale di 4 milioni e mezzo ha dato nel- 1' esercizio 1911 un utile netto di 2 milioni, godendo della protezione doganale di 180 lire per una produzione di 16 mila tonnellate. Cosi tutti i contribuenti er.ano chiamati a pagare quasi tre milioni all'anno per dare dei larghi dividendi ad una sola società che imp.ie – ga da t 100 a 1200 operai. Ma ali' infuon di questi privilegiati e di po. chissimi altri l'industria di seconda lavorazione sente assai più i danni che i var:taggi del si– stema protezionistico. Anche più pesante è il giogo che la P,rote– zione siderurgica ha imposto finora ali' indu– stria meccanica, che non può avvantaggiarsi della concorrenza straniera nell'acquisto della materia prima e deve invece subirne tutto 11 peso nella vendita dei prodotti finiti. In una memoria presentata nel 1914 dalla Società Meccanica Lumbarda al Congresso Na– zionale delle Società commerciali si rileva ap– punto che le macchine agrarie prodotte in ltalia sono protette con dazi cbe variano da 4 a 9 lire il ltuintale, mentre per la loro costruzione occorrono prodotti siderlKgici che pagano un dazio da 7 a 9 lire il quintale. Facendo la dist.nta dei materiali di ferro occorrenti per la fabbrtcazione di un laminatoio a cilindri, la stessa memoria calcola che per essi si deve pagare di dazio L. 142,67, mentre l'industriale straniero, per introdurre in Italia un laminatoio finito, uguale· a quello prodotto da noi. paga un dazio di L 126.65 soltanto. In conseguenza di ciò le nçistre industrie meccaniche vedono inondato il mercato italia– no, ogni anno, da oltre un milione di macchi- 19) ne estere che potrebbero essere prodotte dal capitale e dal lavoro italiano, qualora potes– sero ottenere le materie prime a prezzi di li– bera concorrenza. · N è questa è speranza fantastica. Nonostan– te le difficoltà doganali, le industrie meccani– che italiane, le quali nel 1877 impiegavano 11.750 operai, nel 1911 ne impiegavano 143000. Ma che il loro numero ed il loro rendimento possano essere sensibilmente superiori, quando sia eliminata la condizione d'inferiorità a cui li condanna la protezione siderurgica, lo si è dimostrato nei quattr' anni di guerra coi mira– coli di adattamento e di rapido sviluppo con cui la industria meccanica ha saputo soddisfare ai sempre crescenti bisogni dell'esercito e della marina. I pretesi vantaggi. È appunto invece nel!' adattamento alle ne– cessità della guerra eh! si è voluto indicare la massima benemerenza dcli' industria siderur– gica, e la più completa giustificazione di tutti i favori di cui l'ha circondato lo Stato. La benemerenza sarebbe questa : se quei favori non avessero permesso di aumen– tare gl' impianti per l' estrazione del minerale di ferro e per la fabbricazione del!' acciaio gregg-io, l'Italia nel momento del bisogno si sarebbe trovata .'iprovvista della materia prima più indispensabile per la rapida costruzione delle bocche da fuoco e dei proiettili. Ma sussistono veramente q~este beneme– renze? Se non c' inganniamo, un industria può dirsi benemerita di un paese in guerra, 'Quan– do gli assicuri il rifornimento dei materiali bellici più indispensabili, liberandolo per que– sto da ogni dipendenza dati' e:,,tero. Nel caso invece del!' industria siderurgica, se è vero ch'essa nel, 1916 è riuscita a spiniere la pro– duzione dell'acciaio a 1.270,000 tonnellate, è anche vero che non solo questa produ– zione non è stata sufficiente ai bisogni e si è dovuto ricorrere ali' c~tero per più di 850,000 tonne!Jate di ghis3:, ferro e acciaio greggi o semilavorati, e - ciò che più importa - che per ottenere _quel milione e un quarto di ton– nellate di acciaio nazionale si è dovuto impor– tare 342.000 tonnellate di rottami di ferro e più di un milione e mezzo di tonnellate di carbone fossile. Tutto il vantato beneficio si è ridotto quin– di ad importare dall'estero carbone e rottami per produrre all'interno un quantitativo mi– nor~ di .acciaio, corrispondente appena ai tre quinti del fabbisogno nazionale. In caso di blocc0 assoluto, la nostra gra~de siderurgia, nonostante le sue vantate benemerenze, non sarebbe riuscita a fornire, senza carb:me, nem• men2 una decima parte dell'acciaio._ necessario alla fabbricazione delle anni e munizioni; a mercato aperto, resta invece da dimostrare che Stati Uniti e fnghilterra, come ci hanno in– viato 850000 tonnellate di ghisa, ferro e acciaio, non ce ne ,potessero fornire l 1 intero fabbisogno di poco più di• 2 milioni, invece di inviarci, come han fatto, un quantitativo maggiore di carbone e di rottami. Ma c'è di peggio: in realtà la vantata be– nemerenza della grande siderurgia italiana si traduce in una vera minaccia alla sicurezza nazionale. Se la gucna invece che 11el .!915 fosse scoppiata otto o dicci anni più tardi, l'I– talia si sarebbe trovata, J:?Crmerito appunto dei siderurgici, coi suoi giacimenti di ferro comp 1 etamente esauriti, eà in caso di blocco, non avrebbe potuto procurarsi l'acciaio neccs– nario, nemmeno ricorrendo alla sostituzione del carbone fossile col carbone di legna, con la ligni– te, coi forni tlettrici. E se si continua di questo passo, il pericolo, evitato nel 1915, si ripresen– terà ad ogni nuova minaccia di guerra e sarà uno dei maggiori ostacoli alla coné}uista di una completa indipendenza politica. Ma intan• to i nostri nazionalisti, tanto accaniti a parole contro ogni forma. di dipendenza dall' estero sono i più fervidi difensori del protezionismo siderurgico! L'altro vantaggio offerto dalla prote ione siderurgica sarebbe quello di porre un freno alle pretese che solleverebbeio immediatamen– te i produttori stranieri, quando venisse a scom– parire ogni concorrenza nazionale. In realtà, se è sempre stato difficile concepire un accordo fra i grandi produttori di ferro e acciaio d'In.

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