L'Unità - anno VIII - n.29 - 17 luglio 1919

154 deve aver relazione con un ufficiostatale qua– lunque, fa come il riccio quando vede il cane: mette fuori tutti i suoi pungiglioni, ostenta tutte le sue qualità più esecrabili di pubblico grezzo e primitivo e nuovo alla vita di uno stato moderno. Già, ogni buon italiano, per indole e per tradizione, dello stato ha la massima diffi~lenza, in ogni organo statale vccle 1 1 insidia, la per– secuzione: finché può, fa da isè; quando pro– prio deve passare di lì, _allora si diparta come in guerra guerreggiata, cd impiega, in questo impari duello, tutte le arti che secoli di scr– vitò. gli avevano a1>presc, e che in decenni di libertà ancora non ha disimparate; elude., men– tisce, inganna, ~I fa reticente, piati.sce, s' im– punta, e, quando non può far altro, « fa il morto », oppone cioè la più invincibile delle resistenze, la resistenza passiva. Per cui bisogna pure ammettere che quelle minute lunghe complesse misure di controllo e di garanzia, che formano uno de' guai elci nostri servizi burocratici, sono, in linea di prin. cipio, giustitkatc e re:,e ncce~rie dalla pre– visione e dall'esperienza di questa tenden1.a ostile cd elusiva, che è carattenstica del pub-– blico nostro. È fuor di dubbio che le disposizioni, i re– golamenti, le circolari unano/e dai nostri uffici non peccano mai di soverchia semplicità e chiare1za: ma è fuor di dubbio altre~i che non esiste al mondo più inrelicc leggitore, interprete cd esecutore, d1 tali disposizioni del cittadino italiano. L'intelligenza caratteristica, dicono, della nostra stirpe pare che ~i oltenebri d'in• canto in cospetto del più perspicuo documento pubblico: ratamentc un italiano riesce a leg• gere intiera una circolare, eccezionalmente riesce a capirla, mai o quasi mai riesce ad applicarla appuntino. Mi dica chi è pratico di queste cose se è vero, sì o no, che innumerevoli vohe l'arena– mento o addirittura il naufragio d'una pratica è dovuto, più che a difetti dcli' ingranaggio burocratico, a questa incorreggibile inadem– pienza di prescrizioni, magari palmari e 1am. panti, eia parte dell'Interessato. Una delle piaghe cleì nostri organi burocra– tici è, siamo tutti d'accordo, il cosidetto fisca– lism1J~ che in lingua povera, e ali' ingrosso sa– rebbe « la tendenza che ha da noi lo Stato a tutto t(iglierc e a nulla dare, la preoccupa– zione di far pagare e la renitenza a pagare », onde proviene al governo burocratico queH'a• spetto di sfruttatore che esso sistematicamente assume verso i suoi dipendenti e i suoi ammi. nistrati. Ma, esaminando la questione col no– stro metodo integrale, vediamo che il fiscalismo del nostro stato non è altro, in sostanza, che la reazione ali' avarizia del nostro pubblico e la garanzia contro di essa. Perchè l'italiano è cosiffatto, che dalla comune vuol tutto pren– dere, ma alla comune nulla vuol dare. L' ita– !iano, che è assai largo donatore del suo al ;,arcnte, ali' amico, al paesano, ali' indigente, e che è poi rispettosissimo della proprietà al– trui, diviene verso la collettività astratta di un'avarizia veramente sorchda; nulla rimpiange più del quattrino dato allo stato, e lo stato defrauda, deruba, non solo senza rimorso, ma anzi con compiacimento e con la co~cienz.adi compiere un dovere. Per cui è naturale che l'amministrazione pubblica, edotta di queste disposizioni domi– nanti, reagisca, si premunisca e si rivalga in ogni modo, assumendo Ql1ella fisionomia di rapace arpia che tutti noi purtroppo le cono– sciamo. Insomma da noi il pubblico, che dovrebbe essere il principale collaboratore dei funzio– nari per il buon an::lamento dei servizi, è in– vece il primo perturbatore delle amministra• :doni, verso di cui co~1ple con la sua indisci– pl'natezza, la t,ua impuntualità, il suo mal– tatcnto, una ver,\ e propria opera di :-aboi.aggio. E questo accade, più o meno, per tutto il ;Jubblico italiano, senza distinzione di latitudi– ne e di.. ... attitudine; in forma di\'ersa ma identicamente nella SObtanza questi inconve– nienti si verificano nei paesi del sud come in quelli del nord, fra il pubblico degli anaJfa. beti come fra quello degli addottorati. E di questa mala disposizione del nostro pubb:ico, 1..ombinata con quella non buona di~p sizione del funzionario pilt sopra dc~critta, sono vit– time tutti i nostri servigi, tutte le nostre fun- L'_UNITA oni statali, tutt~ le nostre pubbliche ammi– nistrazioni. Un problPma di educazione nazionale Da quanto siamo venuti dicendo una con• elusione pare che emerga: dcglì innumere\'oli inconvenienti, che bi lamentano ml funziona– mento della nostra burocrazia, una delle ra• gioni principali, se non addirittura la princi– pale, può e:,ser ricercata in quella speciale di• sposizione d'animo, con cui gli Italiani si ac• ~ostano a que:la a~trnzionc che si chiama stato. Ricco di buone qualitù individuali come J>ersona privata, J'ìtali:mo pare che deponga que-.tc sue qualità appena la~ia la sfera del– l'attività pri\'ata per entrare in quella della attività pubblica. L'itali,mo. che ha squisito il ~entnnento de' suoi do\'cri verso la famiglia, che è, pure con la sua sc.irsa coltura, singo– larmente atto a intc11dcrc le ;dcc generalissi– me di umanità e di solidarietà univer::cale, possiede ~olameme alla fase crepuscolare la co~.cieuza dello stato, ed i suui obblighi verso di esso. Per l'italiano lo stato, la cosa pub-– blica, ~ ancora una astr:1zionc fredda, un qual– co:,a che gli è lontano, estraneo, indifferente, in.unico. Bisogn:.1 insp·rare all'italiano l'amore il ri• spetto e l' intere~sc per la comune, bisogna creare e raflinare nel popolo nostro la coscienza dello stato. E<lucare gli italiani a <1ucstareligione della res-puùblica, portare la nostra morale pubblica al I \'elio della nostra morale privata, vuol dire, anche, porre la soluzione dell'immane problema del bu, n rcn:limento della nostra macchina burocratica. Ma fioche si continuerà a trnsc.urare questo laposaldo del nostro pro– gramm;:1 di rieducazione nazionale, ogni rifor• ma ~hc si attui, ogni rimaneggiamento che si t nll, sarà sempre rimedio empirico ed ineffi– cace, come empiriche cd inefficaci sl son mo– ~trate tutte le riforme sinora operate in questo campo. Congedo O articolo, siccome tu fosti concepito e scritto per L'Uni/li, co~i è probabile che tu 1 e vada in parte ove ti faccian quel!' onesta accoglic111.ache per avventura tu ti meriti; ma siccome potrebbe anche succedere che tu trovassi mnl dispo~ti verso di te alcuni e, f his-, sà, magari anche molti dei lettori, così ti darò, come viatico, alcuni ammonimenti. Se avverrà, per esem1 io, che tu ti imbatta in qualche egregio funzionario, cui non vadano a cappello certe tue asserzioni, e che scorga in ei.:,e magari a un'offesa a tutta una ri– spettabile classe ccc., tu dirai pianamente a questo signore che si plachi e si queti, perchè tu, in ogni caso, non hai mai inteso di allu– dere lui personalmente, ma che itJVece tu avevi di mira solamente, verbigrazia, il suo capo ufficio, quel collega meno anziano che I~ ha scavalcato _nonso più in che promozione, o gli impiegati di qucll' altro ministero; e al• !ora vedrai che si rabbonirà tutto e ti darà ragione, sia pure con qualche riserva sulla poca opportunita' di generalizzare in certi ar– gomenti. Chè se neanche queste dichiarazioni bastassero a capacitarlo, allora digli che in ogni caso per lu! è sempre ris:ervato un po– sticino m quella categoria dei « fessi •• che tu hai cosi solennemente segnalati alla ricon0w scenza del paese. Se poi tu ti inconl rassi in un qualche na– zionalista. in buona fede {può darsi che ce ne siano) e lettore dell' lJ11ilà (id. c. s.), il quale se la pigli con te per quel che tu dici del pubblico italiano e ti accusi di aver in sostanza denigrato così il popolo italiano,« quel popolo il quale è il primo popolo del mondo, come ha dimostrato la guerra che ecc. • allora tu magari levando il tono della voce, rispondigli pure che della fandonia dei popoli primi e dc popoli ultimi è già stata fatta da altri, a suo tempo, come si doveva, giu~tizia definitiva; che l'italiano non è un popolo nè primo nè ultimo, ma è un popolo che fa la sua strada e v~ verso il suo awenire, batten1 o quel passo che gli consentono le forze sue; e che in quanto alla guerra, se essa ha dimo~trato che il po– polo nostro, in complesso, ha forze sufficienti per realizzare ciU che si chian a il suo destino, ha pure dimostr:1to che noi abbiamo ancora, come popolo, delle tare tremende, quelle tare che, in un punto, ci han portati sull'orlo del disastro e che sempre ci han conteso la vit– toria, r-iù accanitamente del nemico esterno ed arm,1to. E soggiungi a quel signore, abbondante• mente, che a scorgere que:,to popolo sulla stra• da del :,uo av\'cnire, non giova esaltarlo e ub– briacarlo con paroloni, secondo l'uso in\'also da un pezzo in qua, ma gio\'a invece indi– c:1rne e correggerne i \'izi con amore\'olc ma Gl' italiani Egngio Si'g. Direi/ore~ Ad • Uno che sa qualche cosa •, ma che non sa evidt..ntemente il buon tostume di fir– man.:: lealmente col proprio nome le insinua– zioni che fa a carico di persone rispettabili, Ella dedi a due intere lOlonne della sua pre• giata rivista. l\li permetta di rispondere sempli• ce:1entt:, per quanto mi toccn. in modo per– sonale: 1.) Non ho fatto alcun ditirambo sul conto del capitano Di Saoscverino, dh•cntato, per le contingenze per cui mi trova\'O in Russia l'anno scorso, mio superiore. Sapevo che egli 3\'eva avuto incarichi in Russia ed in Rornenia; non mi consta\'a sul di lui conto alcunchè cli ripro– vevole; come 8UO subordinato lo rispettavo e rispetto tuttora; avendo letto nei giornali come egli fosse denigrato da quattro sci.-1gurati de– tenuti nel carcere milua,c di Torino e fosse fatto passare per detenuto egli stesso, ho cre– duto doveroso dichiarare quello che mi ri• suita va. 2.) Io sono un semplice sottotenente del R. Esercito, e sono stato fin dal principio della guerra un combattente; fatto prigioniero in combattimento, non ho avuto altro pensiero che di fuggire dalla prigionia p"r tornare in patria e combattere di nuovo; sono riuscito ad evadere dalla prigionia e sono così capitato in Russia quand i bolscevichi a\'cvano afferrato il potere. Ho do\·uto for capo naturalmente pel rimpatrio alle nostre Autorità colù resi– denti, e cosi sono stato incaricato dell'accom• pagnamento di altri it,diani da rimpatriare. La Russia bolscevica aveva fatto cogli Imperi Centrali quella pare, che costituiva un tradi– mento \'Crso gli Alleati. In tali condizioni quals·asi italiano, frnncese od inglese, che avesse simpatizzato con gli amici degli Imperi Centrali, compiva indiscutibilmente un'azione criminosa verso la propria Patria. lo sono fiero di aver contribuito a mantenere il sentimento della disciplina e del dovere fra i nostri sol– dati rimpatrianti, e di fare propaganda contro ogni tendenza. di simpatia verso i bolscevichi. Lei, che ha. sostenuto cosi caldamente la no– stra guerra, Signor Direttore, può disapprovare questo contegno? Questo contegno la'sci che lo disapprovi il signore e che sa qualche cosa» e che non ha da\'vcro l'aria di essere stato durante la guerra un vero combattente. 3.) Questo stesso signore ha l'aria di rim– proverare a me ed agli altri ufficiali, che in circostanze così precarie si trovavano in Rus• sia, di aver lasciato partire malamente vestiti gli italiani rimpatriandi. Sinceramente ritengo che nelle condizioni, in cui cl si trovava al– lora, non dovesse essere facile per nessuno pensare ali' abbiglinmento. Ma ad ogni modo questa è una questione che non mi riguarda, ripeto, perchè non avevo, da semplice sottote– nente, alcuna autoritù nella faccenda. Confido che vorri dare ospitalità a questa mia lettera, e distintamente La saluto. Dcv.mo MASSIMO CAMPIGLI. POSTILLA L'autore dell'articolo dcli' [J,,ilà, 3 luglio 1919, si è firmato • Uno che sa qualche co– sa», e non col nome e cognome, perchè quando ci si trova nelle condizioni giuridiche del no– stro amico, che sono poi quelle del sig. Cam– pigli, è più comodo proclamare pubblicamente il proprio rispetto verso i superiori, e;he pren– dere le difese contro i superiori medesimi di quattro « sciagurati », quali sono i prigionieri di Torino. Possiamo, poi, assicurare il sig. Cam• pigli che « Uno che sa qualche cosa » non è meno combatte, te di lui, anzi è stato ferito due volte. l\la quel che importa sapere, non è quale dei due interlocutori sia stato più combattente, ma chi ha ragiont". inesorabile SC\'erità, riprendendo finalmente quell'opera di rieducazione nazionale, che era no-,tro vanto prima della guerra, e che si de\'-e ora proseguire con tutta ala rità. se si vuol as:,icurare al poJh lo d' ltalia, a tutto il popolo d' fta1ia, i frutti di quella vittoria che la mi• glior parte di esso ha procurata, per non dire imposta, al rimanente della nazione. AUGUSTO MONTI, . 1n Russia Il signor Campigli aveva pubblicato nel Corrien de.la stra una lettera, in cui si faceva accus.1tore di quattro po\'cri disgraziati, accu– sati nientemeno di alto tradimento, e impri– gionati nel carcere militare cli Torino, e inca– paci di difendersi. Il nostro collaboratore, che « sa qualche cosa », sentì il dovere di prcn• dere le difese di quegli infelici. E la lettera, che ci invia il signor Campigli, non dimostra in nessun modo che le difese fossero infon– date. Tutt'altro! Nel caso dei quattro prigionieri di Torino, infatti, non si tratta punto di sapere se il si– gnor Campigli e i suoi superiori e colleghi abbiano mantenuto il sentimento della disci– plin l e del dovere fra i nostri soldati rimpa– triandi: si tratta di sapere se è legale, se è giusto che sieno processati per alto tradimento quattro nostri concittadini, sol pcrch~ non sep– pero o non vollero partecipare anch'essi col ~ignor Campigli a un complotto antibolscevico, ci<k contr,1 il governo di un paese, di cui essi erano ospiti, e a cui l' italia non aveva dichia– rato mai guerra; si)ratta di sapere se il signor Campigli ha compiuto opera di giustizia, fa– cendosi pubblico accusatore di quei tre in– felici s 1 1 un giornale, che gode della influenza del Ccrn"ere della sera. ~ lettera del signor Campigli non contiene un solo arg,;:,mento, che modihchi il racconto dei fatti pubblicati nel• I' lJnillJ e gli apprezzamenti con cui il nostro collaboratore Il ha accompagn:-ttl. Quanto alla responsabilità delle condizioni, deplorevoli, in cui si trovavano i nostri soldati allorchè 1 arrivarono in Svezia, essa non è stata data dal nostro collaboratore al signor Cam• pigli più che ad altri: è stata. data a tutti coloro, c.he avevano il dovere di occuparsi del nostri soldati, e non lo fecero, m,nlre ; reparti i'nglui e franun· furo,w dili'ge11tnn,nle prw,. visti del n«tssari'o. Il contrasto fra la indif• ferenza, con cui i nostri uomini furono abban• donati in condizioni squallidissìme allora, e lo zelo con cui i quattro prigionieri di Torino sono stati denunciati poi per un reato di alto tradimento, che non esiste, non può non pro– durre una impre~sione sinistra in chiunque non ha nessuna speciale ragione di rispetto ve~ certi superiori. L'UNITÀ. È uscito il 3' degli OPUSCOLIDEL– L' "UNITÀ": La riforma burocratica opuscolo di pag. 64. È opera di un gruppo di impiegati e tocca il problema forse prin– cipale di questa critico momento. Tutti in– sorgono contro la burocrazia, ma soltanto chi vi è addentro può conoscere le vie-per rimediarvi. L'opuscolo è stato vivamente elogiato dal prof. Luigi Einaudi In un arti:. colo del Corriere della Sera. Contiene ma– teria di un volume, ma per la sua agile forma si legge con facilità e rapidità. Costa soltanto 70 centesimi. Inviare vaglia a LA VOCE, Trinità del Monti, 18 - Roma (6). I l dueprimi opuscoli del/'" Onitd,, sono: I.' CLEANTOBOSCOLO, La rappresentanza proporzionale, ceni. 30. 2. 0 LEGA DEMOCRATICAPER IL RINNOVA– MENTODELLAPOLITICANAZIO,.ALE,Che cosa vogliamo,. ceni. 20. . Di prossima pubblicazione il 4' opuscolo: ANTONIODEVITI DEMARCO,Problemi del dopo guerra.

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