Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

no gli altri: uomini che cre– dono la stessa cosa. Alle idee cioè, che n~n hanno una forza di divisione loro propria, ma l'attingono al– regoismo umano e ne di– ventano la giustificazione, sostituire una parola umana di comprensione ». Nè .la forma di esprime– re questa forza potenziale è entusiastica e superficiale: ' . ' . . non e c1oe una maniera gio- vanilistica fatta di piccoli disordini e di piccole au– dacie. Nella maggioranza dei giovani essa si manifesta senza parole: sono tutti co– loro, e sono i più, che deb– bono purtuttavia inserirsi in un posto qualsiasi. In essi c'è il peso .della rinuncia senza abdicazioni, il senso di una responsabilità senza licenze, senza vacanze gio– vanili. I nostri padri trova- . . ' no triste questa gioventu: a loro era permesso essere giovani, avere dei momenti di irresponsabilità, giusti– ficati, perchè la vita, con i suoi compiti ben definiti e chiari, con il suo avvenire lucido e le sue mete pro– gressive, poteva attendere. Oggi sono i giovani ad at– tendere compiti ben defini– ti e chiari, avvenire e mete: una missione liberante per · tutti per cui valga la pena di lavorare da uomo per gli uom1n1. Oh, chi. vive fra i giova– ni conosce gli scoraggia– menti, il lavoro fatto con durezza, i tentativi di eva– sione e più in fondo, in fondo a tutto questo, la responsabilità di sentirsi provvisori, di attendere. Cosa, da chi? E gli altri, le minoranze, le élites, gli intellettuali, i capi futuri, quelli che do– vrebbero rispondere al co– sa, al da chi, che fanno? Scrive Pedrazzi sul Mu– lino, la rivista giovanile che ha vinto il premio Viareg– gio (nn. 21-22, Documenti di giovani): « Una mino– ranza, invece, è rimasta fe– dele - magari attraverso radicali modifica_zioni - al– i' appello di quei giorni, nel senso che non ha rinuncia– to a "fare qualcosa". Col tempo, questa volontà è di– venuta meno primitiva ed ingenua, ha assunto più de– finite prospettive culturali o ideologiche, si è politi– cizzata e tecnicizzata (an– che qui, resterebbe da di– scutere se sia e~oluta verso il meglio o, invece, sia esau– rendosi), ma ha conservato, dell'originario impeto, il motivo fondamentale, quel– lo della responsabilità. Chi è passato attraverso quelle esperienze, o chi, più gio– vane, ~ stato partecipe solo delle più recenti, ha assun– to un abito di responsabili– tà, sia pure circoscritto alla figura, un po' tecnica, del "dirigente": abbiamo così, dei giovani che sanno quel– lo che voglionp, che sono capaci di parlare in pubbli– co, che ascoltano le obie– zioni e le ribattono con bra– vura: sono divenuti esperti nelle procedure, e hanno imparato a misurare effetti . . e reazioni ». Erano quei giovani che alcuni anni fa nelle feste e nei salotti « se ne stavano in piedi vicino ad un cami– no o seduti silenziosi in una poltrona, ansiosi e timorosi" nello stesso tempo che qualcuno tirasse in ballo la loro fama piccina: timidis– simi e pronti a dar fuoco alla casa» (Angelo Del Bo– ca, Lettera al Padre - «Gal– leria» n. 2). Sono usciti dalle feste, hanno fatto i loro anni di noviziato, si sono conosciu- . ' t1 un po. Li troviamo nelle Univer– sità, nelle associazioni, at– torno alle riviste, convinti di avere molto, un tutto da Biblioteca Gino Bianco fare. Si vono . misure, ' ta con facilità. . . ricercano e s1 muo- prudenti, prendono saggiano profondi– accuratezza, senza « Per il tradizionale at– teggiamento goliardico, esu– beranza è vita, mentre qui al contrario, si avverte be– nissimo come della vita si dia tutt'altro giudizio, di cosa cioè da affrontarsi con ogni possibile economia» (Pedrazzi). Forse non hanno chiaro che i problemi, così come essi li pongono nella inte– grale moralità dei rapporti fra uomo e uomo, li fa re– sponsabili di tutta la gio– ventù, che la loro vita, il volto che oggi non hanno è legato all'avvenire della lo– ro generazione. Ma hanno deciso di non rinunciare. « Ma qui, ormai, sono . qualcuno, e mi secca spari– re. Sono qualcuno fra altri che sono qualcuno e non contano nulla; sono qual– cuno fra molti che sono qualcuno per qualcosa che ormai nessuno più ricorda» (Del Boca). Nelle Università gli stu– denti cercano di formare delle comunità responsabi– li del significato della cul– tura universitaria rispetto alla società nazionale. « Fenomeno nuovo nella società italiana, questi gio– vani hanno acquisito una formazione ed una cono– scenza della società attra– verso esperienze culturali quasi esclusivamente ex~ra universitarie; nel contempo, nel lavoro degli Organismi Rappresentativi, essi si so– no data una coscienza uni– versitaria, come coscienza di condizione morale e ci– vile; e mentre da un lato si pongono in polemica cultu– rale con la società, dall'al– tro affermano che attraver– so una Università da essi stessi rinnovata la società deve essere ricostruita e ri- messa in movimento » (Da Modena Ateneo: Relazione sul Congresso di Monteca– tini di G. B. Cavazzuti). Su queste basi di una «co– scienza di condizione mora– le e civile» il lavoro dei gruppi universitari, cultura– li e politici, ne esce comple– tamente rinnovato, volto a cercare i temi comuni per un comune lavoro. « ... costituisce una pre– ziosa testimonianza della nostra generazione, la ter– za generazione, che sta uscendo da un travaglio con il senso di una ritrovata fi– ducia. Il congresso univer– sitario di Montecatini ha dimostrato come unitaria sia, al di sopra di ogni ideo– logia dichiarata, la ricerca della gioventù studiosa. Quando il laicismo dei «go– liardi» sia inteso come cri– terio metodologico: l'esi– genza di rivedere, attraverso il vaglio di una scrupolosa critica, ogni posizione; e il confessionalismo dei catto– lici, il fiato di una superu– mana fede, calato in una terrena e umana ricerca (da Modena Ateneo, Nota di Redazione - sett. 1953). Ma troppo è già stato det– to sulle speranze degli uni– versitari di questa genera– zione perchè si debba an– cora riportare esempi e com– menti. E i più giovani fra gli studenti, quelli delle scuo– le medie, hanno presto im– parato dai fratelli più gran– di il linguaggio della ge– nerazione. Per essi che n_el '45 avevano 11 anni, la Re– sistenza arriva filtrata attra– verso le speranze di coloro che in quei giorni avevano la loro età di oggi: non c'è da stupirsi quindi che le più belle commemorazioni sul significato umano della Re– sistenza siano state fatte, in questi ultimi anni, da gior– naletti di studenti medi. Quello che particolar- 3

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