Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

Per un po' è sembrato che· i risultati eletto~ali d~l 7 giugno avessero costretto i facitori della pubblica_ ori– nione ad interessarsi dei giovani: ma questo parlar di gio– vani non voleva essere più che un non controllato m~t~ di stupore, il più delle volte stizzito, non. tanto perche_ i giovani si fossero espressi in un modo piuttosto che 10 un altro, ma piuttosto perch~ aveva?o a~cor~ u!1a volt~ messo disordine negli schemi usuali, nei chches con i quali viene rappresentata la realtà. . , , Gli è che i clichés fanno spesso aggio sulla realta: ne staremo a dolercene noi, dato che nulla abbiamo da ri– vendicare rispetto a facitori di opinione e governanti, dal momento che abbiamo scritto a chiare lettere che vor– remmo vedere la giovane generazione prendere coscienza di sè e rimboccarsi le maniche dandosi pace ormai del fatto di avere pochi maestri, pochi e per lo più poco capaci organizzatori di nuovo lavoro e di nuove energie. Toccherà dunque ai giovani occuparsi di sè, conoscere e prendere coscienza di quello che fra di loro sta acca– de~do tirarne conclusioni e motivi d'azione, cercando di co~unicare a tutta la generazione questa volontà di maturare in fretta, che è per oggi la caratteristica comune delle sue manifestazioni più ragguardevoli. Ci sembra che il significato più profondo della novità dei voti giovanili non sia determinato da novità di indi– rizzi politici: in realtà i giovani hanno sentito il lor~ rapporto con la società (che in un ,giova?e eh~ cere~ ~1 suo posto è rapporto col mondo: se e gli altri uomini) più complesso di quello che le linee proposte dalle forze in concorrenza potessero spiegare. - C'è stata una domanda a cui non è corrisposta una of– ferta: i giovani inoccupati o tutti gli altri occupati, ma il cui lavoro non ha quel significato espansivo che giustifi– chi l'impegno totale di energie umane fresche e storica– mente nuove, si sono architettati di ricercare anche nelle scelte politiche un giudizio intero sulla società, completo per una infinità di sfumature che corrisponda alle infinite speranze, comprensivo di tutta la loro condizione umana, più ricca oggi di quanto i modi, le strutture e le relazioni della società non lo consentano. Hanno perciò caricato il loro voto di un significato che in termini politici si tenta di tradurre con l' espres– sione di sinistra. E sia che abbiamo votato M.S.I., D.C. o P .C.I., questa carica di sinistra, da essi più immaginata che reale, più soggettiva che risultante dalla linea dei partiti, è stata ugualmente forte in tutti, espressa diversamente più per ragioni di vocabolario politico, di educazione familiare e di ambiente culturale, che per specifica traduzione del loro sentire. Hanno cercato, infatti, nel voto, poichè altre forme di esprimersi non hanno, o per lo meno non di così gene– rale valore, quei giudizi sulla società, giudizi di moralità, o di civiltà, di sviluppo e di coerenza che sentono in sè, ribellandosi di continuo, per questa ragione, all'appiat– timento politicistico e propagandistico della realtà, al– i'esempio sgradevole dei tatticismi e dei personalismi, al rivendicazionismo settoriale, corporativo e riformistico. Ribellandosi in fondo al politicismo della politica, così come oggi è, e come sempre è stata nei periodi di pre- lioteca Gino Bianco Ricchezza del sunta amministrazione. Cer– cando invece un contenuto che avesse valore per tutti i rapporti con la società, dan– do al loro atto politico il senso di una moralità, che non è ricettibile dalle linee delle forze esistenti, che è ignorata, che non trova udienza. Ci ha scritto un giovane . . ' . . comunista: « v1 e net gio- vani una comune ostilità a lasciarsi imporre schemi che comportano rinuncia ad un proprio originale apporto, un'insofferenza alla sempli- . . ' . . ce att1vita organ1zzat1va e alla propaganda politica quotidiana ». E sarebbe un errore ridurre questo fatto ad un dato giovanilistico, mettere l'accento sull'insof– ferenza e non sui contenuti dell'apporto. Finora si è cercato di in– canalai-e questo comune sentire nell'incontrismo: è vero che questa volontà di apporto - non sollecitata ed accolta dalla situazione ufficiale - porta i giovani a sent1rs1 più vicini di quanto non lo siano le par– ti esistenti: ma il ridurre questo allo scontro delle· parti politiche o politico– cui turali giovanili, magari_ ai fini politici, spesso tatti– cistici, non può risolversi obiettivamente che in una forma superficiale di prose– I i tismo giovanile. Si tratta invece di convo– gliare le esigenze, i proble– mi, la maturità dei giovani, verso zone nuove dove tro– vino forme autonome di espressione. e di lavoro, do– ve il sentire umano del pro– prio posto nella società non sia mistificato od appiattito, dove ogni atto sia pieno di moralità, non solo sogget– tiva ma palese, dove ciò che sta avvenendo fra i giova- nostro paese ni si esplichi per i giovani e per gli altri. Ma non possiamo imba– stire questo problema sola– mente su di una interpreta– zione giovanile del 7 giu– gno, dappoichè non nei so– li giorni della consultazione elettorale vivono i giovani, nè sempre son quelli i mo– menti più intensi, gli atti– mi in cui ci si conosce meglio. Molte cose rimarrebbero fuori, ed una soprattutto: quello che è, quello che fa la giovane generazione. Il suo ricercarsi al di là della presente crisi, il suo porsi delle domande come se fos– sero mete da raggi ungere. Poichè la natura vera di quello che abbiamo detto essere la moralità degli at– teggiamenti giovanili sta nel rifiuto di esaminare so– lo i particolari, magari i propri, di tutta la crisi. Si ribellano all'idea di essere assorbiti dagli ingranaggi come singoli, con problemi singoli: come egoisti. Così come il loro giudizio inve– ste tutta la società e tutti i problemi in uno, così la lo– ro tensione vitale, il signi– ficato della loro vita tende ad abbracciare tutti, a com– porre tutti i punti di vista, in un rapporto essenziale da uomo a uomo, uno per tut– ti, tutti per uno. E' questa la natura della loro disponibilità: ovunque militino oggi, essi appar– tengono e sono pronti a qualsiasi cosa che li unifi– chi, e li chiami a risponde– re, ciascuno, dell'umanità. Scrive F. Ferrar i su una r1v1sta giovanile patavina (Burana, 2 maggio 1953): « il dialogo che dobbiamo aprire deve avvenire tra uo– mo e uomo. Dobbiamo cer– care di non distruggere le altre visuali perchè là ci so-

RkJQdWJsaXNoZXIy NjIwNTM=