Studi Sociali - VIII - n.8 serie II - 28 dicembre 1937

G I i scritti di Camilla Berneri II desiderio eepresso da tanti compagnì, cli vedere vrésto raccolti in una serie di volumi gli scritti di Rernerl sara esaudito. Una circolare del Gruppo Li– bertario di Savigny sur Orge (Francia) ci comunica ·che s'é costituito un comitato per raccogliere cd or• di11a1 1 e ]'enorme numero d'articoli di studio e cli battaglia che, inediti o pubblicali nei giornali e 111!-lle riviste ,nostre ed affini dl tutto il mondo, raJJ- 11resentano Il frutto di tutta l'attività intellettuale del noatro compagno tragicamente scompanso. La collezione comincera con un volume di scritti auto· biografici, completamente inedito, che interessen\ sopratutto dal punto di vista umano e dal Jlunto di vista della storia nostra recente. Aspettiamo con emozione la parte che si riferisce alla Spagna. Dopo, se l'Iniziativa sara suff!centemcnte appog– giata, ,,erra il reeto. Siamo tanto lontani e non conosciamo lutti i prog•etti del .Comitato. Però chi ha. seguito durante la sua vita l'attivita di Berncri potrà farsi un'idea del contenuto degli altri volumi. L'elaborazione delle nostre idee dal J)Unto cli vista 01 1 iginale di chi rinnov6 continuamente la sua va- STUDI SOCIALI sti..s.si1na cultura noll'incessanle espèrienza del la– voro rivoluzionario, gli ebudi storici dalla si11tl'si audace alla piccola cronaca, la biografia dei pre– cursori, la critica letteraria, la critica e l'investiga– zione filosofica. . . tutto questo troveremo senza dubbio nella collezione degli scritti di Berneri. E vi ritroveremo ancho i roventi articoli di "Guerra di classe", documenti d'un'anima e documenti d"un istante .storico grandioso che non si ripetera più. Berneri e scomparso -ci é stato strappato e non dal destino- proprio quando avevamo pili bisogno cli lui. Che rimangano almeno i suoi scrilli a renderlo presente .nei momenti più difficili della nostra lot– ta. quando Il suo consiglio ci sarabbe più necessa– rio! I fondi inclisponsabili ,per la pubblicaziou" dei progettati volumi si stanno raccogliendo 11rr mezzo d'una sottoscrizione e della vendita cli fotografio di Berneri. Chi volesse contribuire o richiedere !olo– grafie, si riJVolga a Mme. Camidot 1, rue des Ver– gers - Savigny sur Orge (S. et Oise). Un numero mollo limitato di carloline é in ven– dita anche presso queet'amminlstrazione ai prezzo cli $ O .10 (moneta uruguayana) l'una. La redazione. Lo Stato, la rivoluzione e la suerra Slnto e rivolnzio11e Dopo il 19 luglio, lo Stato dovrebbe forse essere qualcosa di diverso da ci6 che fu sempre e che sempre sara? Possiamo forse affermare, come dottrina, che il nostro in– tervento neJie funzioni governative pu6 f~r ,·ariare sostanzialmente l'essenza del go– verno? Abbiamo argomenti sufficenti per giustificare la nostra coJiaborazione con lo Stato neJI'ora che volge, o, piuttosto, nelle ore gia passate. Ci6 si dovette, sopratutto, .1lla realta deJia guerra, per la cui organiz- aztone e direzione, nelle eircostanze che attraversava la Spagna, non potevamo im– provvisare un organismo che fosse 1·1cono– sciuto piu o meno unanimemente aJI'inter– no e aJI'estero. Per6, se abbiam dovuto riconoscere lo Stato -ed anche collaborar– vi, insieme alle altre frazioni politiche e sociali-, a causa deJia guerra e per la guerra, ci6 non vuol dire che le nostre de– finizioni classiche abbian bisogno d'essere rettificate. Lo Stato e la rivoluzione non rnno aspetti d'uno stesso processo. Se si -consolida lo Stato, deve morire la rholu• zione; se si consoli1la la rholuziom', deye morire lo Stato con tutte le istituzioni che di sono inerenti. Non siamo andati al governo per fare da Ii la rivoluzione, né con la speranza di po– tC'rle essere piu utili dai posti governativi di comando. La rivoluzione si fa all'interno delle grandi masse di popolo, neJie orga– nizzazioni economiche dei lavoratori, nelle loro nuove creazioni morali e materiali. Siamo andati al governo perché avevamo una preoccupazione dominante: mettere tutte le risorse, tutte le energie, tutte le possibilita del paese, al serv1z10 deJia ,!:Uerra, che consideravamo sacra perché e– ra una guerra del popolo contro coloro che s'eran sollevati per ridurlo ad una schia- 1·itt1 peggiore di quella che gia pativa. ;\fa un'attitudine che non ha che un va– lore episodico e che puede giustificarsi in certe circostanze -non apparteniamo noi aJia schiera dei cultori d'un arido dottrina– rismo- non puo convertirsi in un'aspira– zione permanente, in una deviazione pale– se. Non dobbiamo confondere quel che pu6 a1Tantaggiarci come individui ed anche co– me membri d'un'organizzazione, con ci6 c·he interessa fondamentalmente al popolo 'ntero, in tutte le organizzazioni e in tutti i partiti: il progresso reale, il benes- Il sere, la felicita, la liberta. Se rappresentia– mo qualcosa nel movimento sociale, non é c·ome difensori degl'interessi d'una organiz– ·zazione, ma solo in quanto quest'organiz– zazione é il punto di convergenza d'aspi– razioni umane superiori. In una parte deJie nostre file crediamo notare la tendenza a confondere la parte– cipazione transitoria e condizionata al go– verno con il desiderio o la passione di governare eternamente, dimenticando la vera base del nostro potere, che sta nelle idee d'emancipazione integrale che soste– niamo, e nell'organizzazione sociale, fuori dello Stato ed anche contro di lui. Si prenda parte -se lo si crede conve– niente- una e cento volte, alle funzioni di governo; per6 non bisogna perdere di vista un solo istante il fatlo che la rivoluzione, se si sviluppera, lo fara sempre fuori dello Stato, di fronte allo Stato, contro lo Stato, e che uno Stato forte e una rivoluzione vigorosa non possono coesistere e si con– traddicono. La rivoluzione non si fa per decreto, perché é sempre creatrice e libe– ratrice e lo Stato fu in ogni epoca un organo oppressore, e, come il cavaJio di Attila, sempre ha fatto seccare l'erba dove é passato. Esf'rcito o 11opolo in armi Lo sosteneva Lenin, almeno prima della rivoluzione d'ottobre 1917; e prima di Le– nin l'avevamo sempre detto noi anarchici: nna rivoluzione non ha altra garanzia si– cura che il popolo in armi. Per6 un popolo in armi non é un esercito -per quanto possa essere molto piu efficace d'un eser– cito. L'esercito suppone sempre la disripli– na gerarchira, la depersonalizzazione di+ l'individuo, e la sua conversione in auto– mala. lJn popolo in unni 1111 la testa in tutte le sue parti e il centro in nessuna; un esercito é sottomesso semprP ad un co– mando, a uno stato maggiore, e questo stato maggiore e questo romando hanno un pa– drone che, nel migliore dei casi, é lo Stato, questo mostro vorace che si nutrC' della schiavitù dei popoli. Fummo tra i primi, dopo il 19 luglio, a sostenere la necessita della disciplina per le nostre milizie, perché si convertissero in un efficace strumento di guerra. Anche al– tri settori politici e sociali volevano la di– sciplina. La parola era la stessa; pero noi non volevamo una disciplina basata sulla ~.oppressione d'ogni personalita nel com– hattente; non volevamo una disciplina alla p1ussiana per trasformare in istrnmenti Fenza volonla e senza un cervello gli uo– mini ehe avevano offerto volontariamente la loro vita pe1· una grande causa. Vole– vamo l'uomo completo, con tutti i suoi membri fisici e con tutta la sua capacita intellettuale e morale. Non é utile alla gue1ra !'nomo a cui sono state amputate le braccia o le gambe, pero neppure é utile !'uomo a cui é stato amputato il senso della responsabilita. L'esercito, come l'han vo– luto e creato tutti coloro che han visto nello Stato la loro aspirazione suprema, é composto come queJio di Federico II, di Na– poleone e di tutti i tiranni: da uomini che non pensano, perché, se pensassero, diser– terebbero. Non é questo il nostro ideale. Nei sosteniamo, ·ome rivoluzionari, che 1:.. gai anzia d'una rivoluzione sta nel popolo in armi e che una guerra popolare non razione chirurgica del terrore, la persona– pu6 sopprimere nei combattenti, con l'ope– iita e la coscienza. Per questo, dopo essere stati i primi' a predicare la disciplina, cambiamo opinione quando vediamo che cosa pu6 nascondersi dietro questa parola. Ci sono discipline che ucciùcno, e quella che amputa le migliori qualita dell'uomo é, per lo meno, liberi i– cida. Le tribu elle assaltavano autocarri Tra una guerra del popolo e una gu~rra deJio Stato c'é una differenza essenzialis– sima. Quando un popolo prende le anni. lo fa per liberarsi e per liberare; quando m10 Stato fa la guerra, la fa per imporre il suo dominio tirannico ,sullo stesso territorio minacciato, o sul territorio del vicino sfug .. gito al suo controJio. E se il popolo in armi non ha bisogno, per far la guerra -com•~ nel 1808 contro le truppe napoleoniche, co– me nel 1525 i contadini tedeschi comro l'aristocrazia spogliatrice-, di sopprimere nel combattente la coscienza chiara di c,6 che desidera, lo Stato in cambio deve eli– minare nel soldato tutto ci6 che si traduc:;. m un'indipendenza spirituale e morale, nel– la possessione d'un cerveJio proprio. Noi abbiamo accettato la guerra del popolo contro i suoi nemici con ia stessa passione con cui abbiamo accettata sempre l'idea e il fatto della rivoluzione emancipatrice. J<,incl).éla guena é uno strumento di po– polo, rappresenta sempre una speranza; quando la guerra é uno strumento cli Stato, un i•iflesso d'una politica dì partito, non porta in sé che la prospettiva d'un cam– biamento di padroni. E non é precisamente cambiar padrone ci6 che piu interessa a noi ed all'umanita in catene. L'azione popolare che salvo la parte del– la Spagna che rimane ancora sotto il con– trollo politico del governo deJia repubblica, c' stata insultata. E' stato detto che fu l'a– zione di tribu selvagge che assaltavano gli autocarri che si dirigevano al fronte di c-ombattimento. Ebbene, si paragonino le epoche, lo spirito d'aJiora e di dopo, e si veùra la differenza fondamentale! li popo– lo pu6 sbagliarsi e pu6 anche essere vinto, C'ome !o é stato tante altre volte; per6 ri– mane almeno, gigantesca, la sua volonta rii lihcrarsi e di liberare. Un esercito non fa1a mai ci6 che pu6 fare un popolo in questo senso, perché comincia col non es– sei e, egli stesso, una creazione di Jiberta, e non si pu6 dar mai ci6 che non si ha. Un popolo, libero, pu6 dare la liberta; un esercito, che non lo é, non pu6 far altro che sostituire un padrone aJI'altro. Incontrollati Possiam dire del controllo, a cui ci siam tanto affezionali, lo stesso che abbiam det– to della disciplina. Ci sono controlli che implicano la rcsponsabilita dell'individuo in seno alla comunita in cui si svolge l'o– pera sua, come ci sono discipline che im– plicano un senso superiore nell'azione; pero ci sono controlli che uccidono, r-ome ùiscipline ehe uccidono. E quando la ttn– ll<'nza generale, in nome della rivolnzioll•' e in nome della reazione, ('i Jl'll'ia a c·o 1. 11ollare ed a reggimentar" u1tl0, sopJn·'– menclo ogni iniziativa individuale come una e1esia. abbiamo pieno diritto, in nome del. la liberta e della personalita dell'uomo - che, sparendo danneggiano l'uomo e la s11:; rnltura, la rivoluzione e la liberta- a ri-

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