Studi Sociali - anno V - n. 29 - 21 aprile 1934

STUDI SOCIALI 3 'l• mini avevano dato prova della loro stupidaggine col non riconoscere che nella guerra, cui ponevan fine con tanto entusiasmo, nessuno guadagnava nulla, ma che tutti vi perdevano tutto, e che l'Europa, e con lei il mondo intero, a eccezione forse del mon- goli e del negri, terminava in rivoluzione ed in miseria". E dopo altre considerazioni, che pur sa- rebbe interessante riprodurre per intero, esclamava: "Povero me! avevo eovrastianato ingenuamente de- gli uomini che non hanno nemmeno la intelligenza di un bambino dl otto mesi!" Del libro di Nicola!, che disgraziatamente é stato tradotto solo in spagnuolo — manca qualsiasi tra- duzione in francese e in italiano — al momento della sua prima edizione imperfetta del 1917, scrisse un riassunto interessantiseimo e abbastanza esteso Romain Rolland in alcuni articoli che furono in- clusi, con altri, nel suo libro "Precurseurs", e rac- colti anche in opuscolo a parte. Quest'opuscolo, che a suo tempo fu invece tradotto in quasi tutte le lingue (ed anche in spagnuolo, alcuni anni fa, in Buenos Aires a cura degli amici dell'editoriale "Ar- gonauta") richiamò l'attenzione di quasi tutto il mondo civile sul Nicola! e la sua "Biologia della Guerra". Era veramente un ottimo riasstinto, ed anche oggi può essere utilmente utilizzato per la propaganda antimilitarista ed antiguerriera, laddove hi mole e il prezzo del libro, nonché il timore di trovare questo troppo arido, possono essere osta- colo alla sua diffusione. In un articolo é assolutamente impossibile trac- ciare la sintesi di quest'opera densa di osserva- zioni, di documenti e di pensiero. Se ne può solo presentare alcune impressioni e segnalarne l'impor- tanza. Per poterne dare un'idea approssimativa, ac- cenneremo alle questioni che vi sono trattate. L'o- pera é divisa in cinque parti: la "Le Condizioni naturali della Guerra"; 2. "Lo Sviluppo del Milita- rismo"; P "Il Patriottismo"; -P "La Superazione della Guerra nella Vita"; P 'La Superazione della Guerra nella Restia". A questa prima divisione si potrebbe farne se- guire un'altra, se non più appropriata, certo più evi- dente, in due parti ben distinte: la prima, che potremmo chiamare negativa e demolitrice, che rag- gruppa le prime tre parti delle cinque sopradette, in cui il Nicola! eleva la sua ferma condanna contro quella ch'egli chiama la "insensatezza" della guer- ra, che si può comprendere solo come "fenomeno di transizione nella evoluzione umana"; — e la se- conda, la parte positiva, dove vien dimostrato come nella vita e nella realtà la guerra é stata superata, e ciò in base a esempi e osservazioni di tatto nu- merose e interessantissime, alla luce delle quali risulta evidente l'inanità della guerra. "Nessuno nega (egli dice) che vi sono connes- aloni necessarie e relazioni di affetto tra gli uo- Mini, e il problema sta appunto nel sapere se que- ste relazioni corrispondono più alla lotta reciproca o al mutuo aiuto, se dominano e devono dominare nel mondo l'amore o l'odio, l'altruismo o l'egoismo, il diritto o la violenza... Una guerra può essere giu- stificata quanto si vuole; ma quando si sguaina la spada per una causa, questa non é più giusta, per- ché allora desse non é più un oggetto del diritto, bensì un oggetto della forza". Potrà sembrar forse a qualcuno che questa oppo- sizione del "diritto" alla "forza" pretenda provare anche l'ingiustizia delle 'rivoluzioni" che sono sem- pre delle "violenze". Ma l'autore, precisando il suo pensiero, scrive a tal proposito: "Una rivoluzione solo può realizzarsi quando l'evoluzione ha condotto giù anteriormente al medesimo obiettivo". Esami- nando infatti lo sviluppo di tutte le rivoluzioni si vede come a un dato momento il vecchio diritto più non esiste. Se allora i rappresentanti soprav- vissuti di questo diritto morto si adattassero al diritto nuovo volontariamente, tutto si conclude- rebbe in buon ordine. Però in generale chi non avviene ma si tenta invece con mezzi di forza, e non giuridici, di mantenere il vecchio stato di cose. Allora-'diventa necessario, evidentemente, l'uso della forza dall'esterno. Però questa forza, sotto cui si sfascia l'edificio corroso, é in se stessa general- mente secondaria. In ogni caso non é desse la causa, ma tutt'al più un sintomo del vero avvenimento. Quello che decide, insomma, é sempre l'evoluzione; con o senza rivolta il nuovo diritto trionfa. Ripeto che non é possibile riassumere in qualche colonna questo volume di quasi 500 grandi pagine. E' un'opera che bisogna leggere e meditare; e si legge con vero e grande piacere, poiché, nonostante la mole e l'argomento, non é arida né pesante, Esso é una battaglia per l'umandta, anzi dell'umanità. "Se l'urnanita trionfa, la guerra é morta". Ma l'umanità non vincere, non romperà la spada finché non sia convinta che la spada le nuoce soltanto, non é utile a nulla; e può deporla come un arnese ingom- brante, pericoloso e inservibile a qualsiasi opera di bene. Disarmare l'uomo significa umanizzarlo. Questa opera di "uananizzazione". dell'uomo é an- cora lungi d'esser compiuta, disgraziatamente; e le voci che ne tentano il richiamo, come questa del Nicola!, sembrano parlare ancora al deserto delle coscienze e dei cervelli. Ma questo deserto spetta a noi di vivificarlo e fertilizzarlo, anche se la fatica può parerci improba; anche se in certi mo- menti ci può sembrare inutile o quasi, come nel momento attuale, mentre una nuova guerra si an- nuncia sempre più minacciosa, quando ancora l'eco della precedente non si é completamente taciuta. Nonostante, bisogna persistere con la stessa co- stanza e fiducia che animava Nicola', quando scri- veva: "precisamente perché esiste la guerra é ne- cessario scrivere un libro di pace". E noi possiamo aggiungere: Appunto perché i pericoli di una guer- ra si presentano nùmerosi all'orizzonte, dobbiamo intensificare la nostra azione antiguerriera. HUGO TRENI. Questo articolo ci era stato dato dal nostro fra- tello di lavoro Ugo Fedeli — più noto da gran tempo nel campo intellettuale sotto II suo pseudonimo di Hugo Treni — prima che piombasse su lui (oltre che su altri, al quali tutti ripetiamo l'espressione della nostra solidarietà), inaspettata, ingiusta e cru- dele, la misura della deportazione in Italia. Imbar- cato a forza a Montevideo e sbarcato a Napoli nel decembre scorso, egli 6 stato trasportato a Milano e poi a Pavia, nel reclusorio di quella città, per scontarvi una condanna di 7 anni e mezzo di pri- Il Corporativismo L'organizzazione politica basata su di un'impal- catura corporativa •ha in Italia antiche e gloriose tradizioni. Alcune delle più celebri e raffinate re- pubbliche comunali del Medio Evo italiano si basa- vano sulle corporazioni. La democrazia fiorentina del secolo XIV, tanto feconda in risultati economici e culturali, era una democrazia corporativa. Il po- polo, abbattuta l'aristocrazia di origine feudale, si dette con le "ordinanze di giustizia" del 1294 un'or- ganizzazione politica che aveva le sue radici nella classificazione delle arti e mestieri. Chi non appar- teneva a nessuna delle "arti" o dei mestieri in cui si divideva la popolazione produttrice, non poteva occupare alcun posto di pubblica utilità, Dante Ali- ghieri, aristocratico di nascita e di spirito, il più inclassificabile dei genti, dovette nonostante iscri- versi, se volle partecipare alla vita pubblica della sua patria, in una delle arti chiamate maggiori, quella dei medici e farmacisti. Attraverso i loro rappresentanti, le corporazioni dominavano tutta la vita pubblica. I palazzi delle corporazioni (dei lavoranti della lana, dei mercanti, dei notai) costruiti con le ricchezze prodotte da quel primo fiorire dei commerci e delle industrie, figurano tra i più bei monumenti che il Medio Evo ha lasciato nelle piazze d'Italia. E non solamente d'Italia. Basta pensare alla "Grand' Place" di Bru- xelles, nel lato nord'ovest della quale si succedono i lussuosi antichi palazzi delle corporazioni dei mer- canti, dei battellieri, dei falegnami. dei fornai, per avere una visione esatta di ciò che furono quelle organizzazioni corporative del Medio Evo. Orbene, il fascismo e prima di lui D'Annunzio ne han risuscitato il nome. In che relazione sta questo nome con la realtà di or sono sei secoli e con la realtà presente? Ha veramente il sistema corporativo fascista la originalità e l'efficacia che i suoi teorici, o per meglio dire i suoi propagandisti vogliono attribuirgli? Istituzioni giuridiche create dal popolo, le corpo- razioni furono in molte città d'Italia la base di quelle libertà comunali del Medio Evo che nella penisola iniziarono la distruzione del regime feudale, antici- pando di sette secoli le conseguenze della presa della Bastiglia. Nelle corporazioni medioevali ve- diamo riflettersi già chiaramente, in quei tempi o- scuri e confusi del dominio imperiale ed ecclesia- stico, la lotta di classe nelle sue distinte fasi. Si ricordino, di Firenze, le lotte del "popolo grasso" ("arti maggiori": arti é lo stesso che corporazioni) contro la nobiltà, e quelle del "popolo magro" ("arti minori") contro il popolo grasso. E veggasl, infine, la disordinata rivolta del salariati più umili, che nel fiorentino di quel tempo si chiamavano "ciompi" e che nel tedesco di Mara si chiamerebbero "Ium- pen proletariat", rivolta seguita dalla costituzione di altre tre corporazioni che entrarono a far parte del governo della dita. Il fascismo adopra le parole "corporazioni" e "sta- to corporativo" rivendicando per sé i titoli di no- biltà che derivano da una lontana e gloriosa tradi- zione storica. Però, che relazione può esservi tra un sistema che pone il Comune nelle mani delle corporazioni e quello che fa delle corporazioni uno strumetto passivo nelle mani di uno Stato centra- lizzatore e totalitario? Dice Pasquale Villari, lo storico più competente della Repubblica fiorentina: "Noi non dobbiamo im- maginarci che un tale governo (del Comune di Firenze) avesse l'importanza .che hanno i governi delle società moderne, perché in Firenze il governo vero restava sempre nelle mani delle associazioni... Il- Governo centrale aveva un'importanza assai se- condaria, il che ci spiega ancora come mai, in quelle continue rivoluzioni, in quei continui mutamenti di leggi e di statuti, quarido a noi pare qualche volta che un goverao pia non esista, le cose potessero nondimeno procedere secondo 111 loro ordine natu- gione. Sarebbe questa una vecchia condanna per reato politico-sociale, inflittagli In contumacia e a sua insaputa 10 o 12 reni addietro in un secondo processo, dopo che In un primo I giudici avevano sentenziato II suo caso come compreso In una allora recente amnistia. Non facciamo commenti, che del resto ormai sa- rebbero tardivi, dopo quelli di tutta la stampa libera Internazionale. Ma a chi fosse tentato di meravi- gliarsi che un fatto cosi grave — che fino a ieri tutti erano concordi a definire un "attentato al di- ritto delle genti" — sia potuto avvenire, facciamo osservare che ogni meraviglia sarebbe assolutamen- te fuori di posto. Qui ora é la stessa cosa che in tante altre parti d'America e d'Europa, — e con questo é detto tutto... Tiriamo avanti! Fascista Italiano vale o normale... Non era uno Stalo accentrato come i moderni, era una specie di confederazione di arti e mestieri, di consorterie, di società diverse. Questo carattere generale lo troviamo in tutti i Comuni Italiani, ma in Firenze più che altrove..." Quando D'Annunzio, spinto da una febbre d'a- zione tutta letteraria, condusse i suoi legionari alla coneelista di Fiume e si trovò poi nella necessità di organizzare la vita nel piccolo Stato improvvi- sato, compilò una costituzione che ha la sua pic- cola importanza fra gli antecedenti teorici del cor- porativismo (voglio dire nella storia della parola). D'Annunzio, come quasi tutti gli artisti raffinati, ha una predilezione di carattere estetico per le cose e le istituzioni appartenenti a un lontano passato. Il lusso splendido e crudele delle corti del Rina- scimento, la dorata decadenza bizantina o l'aurora feconda e sana del Comuni, sono per lui fonte di poesia e oggetto di culto. E nella sua ansia di vi- vere la poesia volle risuscitare in Fiume il comune medioevale, idealizzandolo e sostituendo al profondo senso pratico del nostri padri il lusso Inutile delle sue fantasie estetiche. E fu quello Statuto, chia- mato "La Carta del Carnaro", che iniziò la moda e la fortuna della parola "corporazione". Però le corporazioni di D'Annunzio, che, d'altra parte, re- starono sulla carta e non giunsero mal fino alla banalità della realizzazione pratica, erano decen- tralizzate e democratiche e non trasmisero alle col, porazioni fasciste posteriori altro che il nome e la rettortca. Né potevano trasmetter loro altra co- sa, poiché ciò che fu realtà reale nel Medio Evo non può essere oggidi niente altro che realtà poe- tica. Le corporazioni create dall'artigianato sono un controsenso nella grande industria. L'unica cosa che poté risuscitare il fascismo fu la gerarchia chiu- sa che opprimeva tutta l'organizzazione interna del- le corporazioni medioevali e che se allora era un prodotto dei tempi, é oggi un anacronismo artifi- ciale. • • Tre punti mi sembra necessario chiarire per una più esatta comprensione delle cose: anzitutto la restia sindacale italiana del periodo prefaseista, vale a dire chi che il fascismo distrusse; poi la teoria fascista dello Stato corporativo colme si manifesta nelle nuove leggi; e infine le aolazioni fra le leggi e i fatti. In Italia 11 movimento operaio, dopo i primi ti- midi tentativi dovuti nel secolo passato alla propa- ganda dl Mazzini (società operaie a tendenza repub- blicana) e di Bakunin (fasci operai internaziona- listi), si era grandemente rafforzato nei primi anni del secolo attuale. Nel 1906, da un congresso sin- dacale che rappresentava 250.000 operai organiz- zati, sorge la Confederazione Generale del Lavoro, che restò poi la principale organizzazione operala italiana finché durò in Italia la possibilità di una vita libera. Nel medesimo anno la neonata confede- razione stabili un'alleanza con la Lega Nazionale delle Cooperative e con la Federazione Nazionale delle Società di M. 5, La Confederazione, sorta indipendentemente dal partiti, segui però sempre una linea di azione social- democratica (1). Pia radicale, in senso sorellano e libertario nello stesso tempo, fu l'altra organiz- zazione, sorta dalla minoranza dissidente dal sud- detto congresso e aumentata dall'adesione degli a- narchici: la Unione Sindacale Italiana, che giunse in seguito a raccogliere un 100.000 organizzati ed esercitò una influenza notevole nell'Italia del Nord. Fuori di queste due organizzazioni esistevano i- noltre alcuni sindacati autonomi, fra cui quello dei (1) Pia tardi, anche ufficialmente, strinse un pat- to d'alleanza col Partito Socialista (sulla fine della guerra 1914-18 o poco dopo).

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